La storia di un giovane brasiliano cresciuto in un sobborgo vicino a San Paolo

 

 

E' tutto un dono

 

di Attilio De Souza, Brasile

 

 

Tutti conoscono i problemi di povertà delle periferie delle grandi città. Ma non tutti, forse, conoscono le meravigliose storie che Dio non di rado intesse proprio in tali situazioni. Basta a volte un incontro, un rapporto vero che si instaura, per far scoprire il filo d'oro d'una vita.

 

Come per la stragrande maggioranza delle famiglie del mio paese, anche la mia ha dovuto provare cosa significhi essere poveri. Ero ancora piccolo quando i miei genitori, insieme a noi cinque fratelli, per trovare lavoro si sono trasferiti dal nordest al sud del Brasile. Il passaggio da un ambiente rurale, con le sue tradizioni ancora sane e la sua religiosità popolare, alla periferia di San Paolo, senza fissa dimora, è stato certamente molto traumatico per tutti noi.
Ai nostri genitori - date le tristi circostanze e la difficoltà a provvedere il necessario per sopravvivere - di tempo ne rimaneva ben poco per poter pensare a noi. L'avventura scolastica era lasciata all'iniziativa di ciascuno di noi e la preoccupazione di una formazione religiosa non era per niente avvertita, tanto era scarso il tempo. Per cui io, da piccolo, non sono stato neanche battezzato, anche se ricordo che credevo in Dio ed ero sicuro che egli voleva bene alla mia famiglia. Forse fu questa convinzione a darmi la forza di andare avanti in mezzo a tante difficoltà: dalle sei del mattino fino a mezzogiorno aiutavo mio padre a fare mattoni, nel pomeriggio facevo 5 chilometri a piedi per andare a scuola.

Per continuare gli studi, all'età di quindici anni lasciai la mia casa ed andai ad abitare presso un mio cugino. Lavoravo tutto il giorno nel suo bar e di notte studiavo.

A 17 anni tornai a casa dai miei genitori che dopo anni di indifferenza religiosa avevano aderito ad una setta protestante. Al contatto con la Parola di Dio il clima in famiglia era migliorato tanto che non si sentivano più parole pesanti e si notava più comprensione reciproca. Cominciai anch'io a frequentare la loro chiesa, ma dopo sei mesi l'abbandonai: sentivo che non era lì il mio posto.

Intanto avevo trovato lavoro in una fabbrica: le ore di lavoro al giorno erano 12; il clima morale che si respirava pesante: arrivismo tra i colleghi, autoritarismo nei padroni e continui discorsi immorali. La mia giovinezza aveva bisogno di respirare, incontrare gente diversa, sentirmi libero insomma. Allora mi legai ad un gruppo di giovani che ascoltavano musica rock per intere notti. Fu davvero un dono di Dio se in quel periodo non mi feci prendere dall'alcol e dalla droga.

Ad un certo punto notai in fabbrica alcune persone che non si comportavano come le altre: erano conosciute come cattolici praticanti. Per due anni, ma senza successo, uno di loro ha continuato ad invitarmi ad andare in chiesa. C'era però dentro di me un gran vuoto e, non trovando una risposta, un giorno accettai il suo invito. Nacque in me una nuova speranza e chiesi il battesimo. Dovetti frequentare per un anno delle lezioni di catechismo e nella Pasqua dell'85 fui finalmente battezzato.

Fu un periodo di luce e mi sentii spinto a lavorare per Dio. Diventai catechista e cominciai ad accompagnare alla cresima un gruppo di giovani.

 

 

 

L'incontro con la vera vita

 

In quel periodo arrivò in parrocchia un giovane olandese, André, ormai prossimo all'ordinazione sacerdotale. Rimasi colpito dal suo modo di stare con i bambini, con i giovani, con gli adulti ed, incuriosito, cominciai a fargli tante domande. All'inizio egli non mi disse tante cose di sé. Col tempo venni a sapere che abitava col nostro parroco, a due chilometri dalla chiesa parrocchiale, nella cittadella “Araceli” del Movimento dei focolari. Non avevo mai visitato quella località. Vi andai la prima volta per l'amicizia che mi legava a questo giovane. Scoprii che in quella cittadella vivevano, oltre ai sacerdoti, tante famiglie e tanti giovani tutti impegnati in una vita profondamente evangelica. Presi parte ad un loro incontro ed ebbi l'impressione di aver trovato qualcosa di prezioso. Una luce mi fece vedere il filo d'oro che legava tutti i fatti della mia vita e compresi che persino le difficoltà e le sofferenze passate obbedivano ad un piano d'amore di Dio. “E adesso cosa devo fare per corrispondere?”, mi chiesi. Mi fu consigliato di iniziare mettendo amore nelle piccole cose di ogni giorno. E così cominciai. Aiutavo, per esempio, mia madre a lavare i piatti o facevo compagnia a persone sole. Sperimentai, in quei mesi, una gioia immensa mai provata e scoprii il valore della Parola di Dio che, messa in pratica, cambia la qualità della vita.

Fu in questo clima che man mano mi resi conto che Dio mi chiamava a seguirlo nel sacerdozio. Ne parlai col mio parroco e col vescovo, e nel febbraio dell'87 entrai in seminario. Trovai un ambiente un po' difficile, spesso pieno di tensioni, dovute per lo più alla tremenda situazione sociale del nostro paese. Sentii allora ancor più la necessità di costruire la mia vita sulla roccia, facendo di Dio l'unico mio Ideale.

Fortunatamente, ogni fine settimana, potevo tornare in parrocchia dove, anziché fermarmi con i miei, stavo con il parroco e l'amico olandese ormai divenuto sacerdote. Con loro si pregava, si scambiavano esperienze e si faceva meditazione insieme. Inoltre, si era creato un bel rapporto anche con i laici del Focolare. In quest'unità con tutti loro trovavo la forza per andare incontro a tutti. Sapevo poi che ogni situazione difficile era una nuova volontà di Dio da amare, confidando in Gesù Crocifisso e abbandonato che aveva fatto suo ogni dolore dell'umanità.

 

 

 

Ormai in seminario

 

E' nato così, in seminario, un rapporto profondo e sincero col rettore, con il personale di servizio e con i compagni. Con essi, a volte, ho dovuto dire chiaramente il mio pensiero ed andare controcorrente. Ma sempre è stato possibile conservare con tutti un clima improntato al dialogo ed alla carità. Ho proposto loro di assumerci insieme certi lavori di casa, di far circolare fra noi appunti e libri e di curare bene i momenti di preghiera comunitari. Ho poi cercato di mettermi a disposizione di tutti e così vari compagni si sono aperti raccontandomi le loro difficoltà.

Successivamente in seminario mi sono stati affidati vari incarichi ed io li ho accettati perché mi sembravano delle occasioni per amare di più. Sono stato così per due anni economo della casa e rappresentante della comunità nella facoltà. Più tardi mi hanno eletto coordinatore di tutti gli studenti di filosofia a livello regionale. Sono stati impegni a volte pesanti e spesso sono stato tentato di rinunciarvi, ma, consigliandomi con il parroco e con André, capivo che l'amore vero si misura sulla croce e, ripensando a Gesù abbandonato, ho proseguito.

In questi anni il carisma dell'unità ha dato un fondamento nuovo alla mia vita. Grazie a questo carisma ho scoperto Dio in maniera più profonda ed ho potuto sperimentare realmente il suo Amore. Allo stesso tempo sempre più avverto nella mia storia la presenza di Maria. Lei - ne sono certo - ha voluto prendersi cura di me in un modo che non avrei mai pensato.

 

Attilio De Souza