L'ecclesialità, ricompresa e vissuta a partire dalla sua radice

 

 

In cammino col Risorto:
la scoperta di “Gesù in mezzo”

 

di Enzo Maria Fondi, incaricato per la formazione spirituale nel Movimento dei focolari

 

 

Rimessa in luce quasi 50 anni fa da Chiara Lubich e le sue prime compagne, la presenza del Risorto fra coloro che sono uniti nel suo amore, sta diventando ormai un punto fondamentale nel patrimonio della vita della Chiesa. Sta qui infatti uno dei punti più originali dell'ecclesiologia, come è stata messa a fuoco dal Concilio in poi, e un criterio imprescindibile di autenticità per ogni forma di vita associativa cristiana. Enzo Fondi, uno dei primi focolarini, traccia le dimensioni di quella che, a buon diritto, si può considerare una vera e propria innovazione nella storia della spiritualità cristiana.

 

Affrontiamo oggi un argomento che rappresenta, si può dire, il nucleo centrale e caratteristico di questa esperienza spirituale che state conoscendo e approfondendo. Ma può rappresentare anche - ci sembra - lo scopo principale di ogni vita associata ecclesiale che voglia essere comunione e creare comunione.

Se l'amore scambievole - come ha detto Chiara - è il cuore, il motore della vita cristiana, questo di cui vogliamo parlare oggi è come il sangue che scorre, che circola nel cuore e in tutto l'organismo: la presenza di Gesù fra noi.

E' questo l'aspetto della spiritualità del Movimento che rispecchia tutta la novità e la fecondità di una vita evangelica vissuta nella prospettiva dell'unità, e cioè con una tipica dimensione comunitaria.

E mi riallaccio alla conversazione di Chiara, non solo per continuare sulla stessa linea, ma anche per sottolineare quella scoperta fondamentale: l'amore scambievole è la conditio sine-qua-non della vita cristiana, ed è anche la premessa indispensabile senza la quale non si può parlare di vera comunione ecclesiale.

Dunque, quel primo gruppo di ragazze, con Chiara, vivevano e scoprivano - sotto l'azione del carisma -, giorno dopo giorno, il piano di Dio, come lo Spirito Santo dava loro di capirlo.

E fu così forte e inatteso il cambiamento che si produceva quando cominciarono a vivere il Nuovo Comandamento, che la loro vita - dicevano - si cambiò come dalla notte al giorno. Cosa era successo? Adesso, a distanza di 40 anni, si può spiegare, commentare, dare delle risposte. Ma allora non ci ponevamo tanti perché, perché l'essenziale era vivere, tutti lanciati nell'avventura di credere all'amore di Dio, con la fiducia dei bambini e lo zelo dei neofiti.

Infatti, come ha detto Chiara: “Noi non sapevamo cos'era quello che ci dava tanto sollievo all'animo, tanta luce, tanta sicurezza nel nuovo cammino intrapreso. Ci accorgevamo invece quando mancava, quando, per qualche piccola mancanza di carità, qualcuno di noi si ripiegava su se stessa, invece di essere proiettata fuori ad amare l'altro, a vivere l'altro, quando non si viveva più nell'amore, in Dio-Amore, nella sua volontà. E allora ecco che in quei momenti si spegneva in mezzo a noi la luce e perdeva senso tutta la vita che avevamo intrapreso”.       

Ma cos'è dunque che dava senso, valore, rilievo a tutto?

La risposta illuminante, entusiasmante, Chiara e le prime focolarine la trovarono nel Vangelo di S. Matteo, cap. 18, 20: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

La loro non fu un'esegesi, ma una scoperta di quelle che lo Spirito Santo fa fare e divenne una convinzione profonda. Sì - esse dissero - se noi ci amiamo come Lui ci ha amato, se facciamo la sua volontà, è proprio Lui ad essere qui in mezzo a noi. Come? Non sappiamo, ma una cosa è certa: che in qualche modo Dio stesso è presente - “dove c'è la carità e l'amore Dio è là” -, Gesù, con il suo spirito che è lo Spirito Santo.

Nessuno si rese conto allora - né poteva farlo - del valore di questa scoperta nella storia della spiritualità cristiana e nella evoluzione della ricerca teologica.

A distanza di molti anni da quei tempi in cui la novità della presenza di Gesù fra i suoi risuonava soltanto nelle parole dei primi membri del Movimento, ora è invece patrimonio della Chiesa. Ora si parla di Gesù in mezzo come di una presenza reale, personale, dinamica. Ora il vescovo Klaus Hemmerle può scrivere:

“L'origine di tale luce (sulla presenza di Gesù fra i suoi) si è avuta nel focolare fin dal 1943, in modo semplice, nell'immediatezza dei bambini di fronte alla parola della Scrittura. La consonanza con i testi del Concilio Vaticano II e con tanti discorsi di Paolo VI (Klaus Hemmerle scriveva queste righe nel 1975) è addirittura impressionante. Questa verità che, dopo i Padri della Chiesa, non aveva quasi più influenzato così fortemente la coscienza teologica e spirituale, viene di nuovo in evidenza”.

Questa di Gesù in mezzo, del Risorto vivente fra noi, “è spiritualità, però una spiritualità che non sta accanto alla teologia o accanto alla comunità ecclesiale in quanto tale, ma una spiritualità che crea la sintesi, di cui per tanto tempo si sentiva la mancanza tra realizzazione personale, sapere teologico e comunità ecclesiale”.

Cerchiamo dunque di penetrare più a fondo questo punto fondamentale della spiritualità dell'unità. Cerchiamo di cogliere il segreto di quella sintesi, per riuscire a costituire, negli ambienti nei quali viviamo, delle cellule vive del Corpo Mistico, vive perché portano in sé la vita che è Cristo e la irradiano attorno a sé.

 

 

 

Ciò che è essenziale perché la vita

associativa sia unità in Cristo

 

L'esperienza pluriennale, fatta di successi, ma anche di fallimenti, ci ha permesso di cogliere ciò che è essenziale alla vita associativa, per farla diventare unità in Cristo e luogo della sua presenza. Si tratta di enucleare quegli elementi che valgono per tutti, perché tutti possano viverli, in modo che dovunque ci si trovi, laici o sacerdoti, religiosi o professionisti, operai o studenti, possiamo riuscire a meritare la presenza del Risorto fra di noi.

Quali sono, dunque, le condizioni essenziali per far sì che fra due di noi ci sia quel Terzo che ci dà forza, luce e tutti gli altri frutti del suo Spirito che sono “carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza” (Gal 5,22)?

Innanzitutto, come delle altre parole del vangelo, anche di queste si deve dire che non le si può staccare dal contesto e che presuppongono un legame con tutto il resto del Vangelo, al punto che, si potrebbe dire, rappresentano come la punta di un iceberg, che ha sotto di sé tutto il peso, la sostanza della Scrittura.

In altre parole, per esemplificare, se due persone si incontrano e hanno fatto ambedue la scelta di Dio, se cercano di rievangelizzare la loro vita vivendo la Parola, se vogliono amare Dio con tutto il cuore, tutta la mente, tutte le forze, se sono disposte ad amare l'altro come Gesù l'ha amato e cioè a dar la vita, queste due persone potrebbero meritare la presenza di Gesù fra loro.

 

 

 

Che cosa vuol dire
essere uniti nel nome di Gesù

 

Ma allora - si dirà - bisogna essere santi per avere Gesù in mezzo?

Fin dal primo momento si osservò che Gesù non aveva detto: “dove due o tre santi” ma semplicemente “dove due o tre”, quindi, al limite, anche due o tre peccatori che decidono di convertirsi e di vivere per Cristo possono avere Gesù fra di loro. Basta essere uniti nel suo nome, che significa in lui, nella sua volontà, nell'amore reciproco, che è la sua ultima e più alta volontà. Dove dunque c'è unità di sentimenti e di volontà di amare come Lui ha amato, ci possono essere le condizioni per meritare la presenza di Gesù.

Per spiegarmi meglio, vorrei raccontarvi qualche esperienza personale su Gesù in mezzo.

Ricordo, per esempio, il mio primo anno di focolare. Si era nel 1950 e mi ero appena laureato in medicina. Dio mia aveva fatto sentire la chiamata al focolare, o meglio, per dire come stavano le cose in realtà, non essendoci un focolare maschile a Roma, la chiamata a seguire Gesù, in questa via, non significava entrare in una qualche istituzione, né avere delle certezze, assumere un ruolo nella realtà ecclesiale (perché allora non si vedeva ancora alcuno spazio istituzionale per il focolare). No, era soltanto una forte attrazione a seguire Gesù attraverso quelle persone e in particolare quella persona, Chiara, che mi aveva fatto scoprire l'essenza della vita cristiana che è l'amore e che comunicava con le sue parole e la sua vita questo carisma dell'unità.

Poi nacque anche il primo focolare maschile a Roma e io mi ritrovai in cucina a preparare pranzi e cene. In genere, subito dopo la laurea ci si specializza in qualche branca del sapere medico. Stando però in cucina, potevo al massimo dire a me stesso che stavo iniziando una specializzazione in dietetica... ma rimaneva il fatto che tutto sembrava una follia. Ma che cosa mi spingeva a continuare, chi mi dava la forza, lo sprint, la gioia di andare avanti? Questo lo capivo molto bene quando tutto questo zelo e questa forza scomparivano. Ed era quando qualche mia preoccupazione o imperfezione mi aveva fatto ripiegare su me stesso ed aveva interrotto quella corrente di amore che mi legava agli altri. A questo punto, tutta la mia situazione, quello stare accanto ai fornelli, mi pareva una pazzia, un enorme sbaglio, un non senso... Calava come la notte, fino a che, ricominciando da qualche piccolo atto d'amore per gli altri, e uscendo fuori di me stesso, trovavo accanto a me altri che facevano lo stesso. E allora, a poco a poco, si ricomponeva l'unità, l'armonia e ricompariva il sole e cioè quella particolare gioia, quella voce inconfondibile che mi aveva chiamato e continuava a chiamarmi e mi riempiva di nuova fiducia e nuove forze.

E' infatti la presenza di Gesù che dà senso a questa nuova vita e infonde il coraggio di andare avanti.

 

 

 

Gli effetti di quella presenza

 

Ma ciò che vale nell'esperienza del singolo, vale a maggior ragione per l'esperienza del Movimento, soprattutto nei momenti più difficili della sua storia.

Qualche anno fa, per esempio, giunsi in Libano, che era già in piena guerra civile. Arrivai nella parte cristiana dopo un viaggio fortunoso e ricco di imprevisti.

Mi ritrovai fra centinaia di persone già provate da lunghi anni di disagi e di pericoli, e come marcate da avvenimenti traumatici.

Pensavo che sarebbe stato difficile parlare di pace a chi non aveva negli occhi altro che guerra e distruzioni e di parlare di amore a chi vedeva intorno a sé solo odio e violenza. Ma avevo sottovalutato gli effetti della presenza di Gesù.

Ricordo in particolare una serata passata con un gruppo di gen. Non c'era elettricità, né riscaldamento e si stava in montagna. Quei giovani avevano fatto molta strada per arrivare, dopo essersi informati alla radio che in quella zona non c'erano bombardamenti in atto.

Ebbene, io porto con me il ricordo di quella serata come una delle esperienze più belle della presenza di Gesù.

Sì, perché mentre si parlava e ci si scambiavano esperienze, a poco a poco, tutto il mondo esterno scompariva, si dileguavano le ombre e le paure della guerra, che restava solo come uno sfondo molto lontano. E, al posto di tutte le preoccupazioni e le paure, subentrava una grande pace, un clima di gioia che colmava tutto e non lasciava spazio per altri pensieri o sentimenti che non fossero quelli di continuare e approfondire una tale comunione di vita. E ci sembrava di rivivere l'esperienza delle prime focolarine durante la guerra a Trento, quando era così forte e coinvolgente la nuova vita iniziata, che tutto il resto sembrava sparire, guerra compresa.

Ricordo un gen che aveva già deciso di lasciare il Libano e che in quella serata, capì che doveva rimanere, per condividere con gli altri tutte le difficoltà e i pericoli della guerra e che il suo posto era lì, fra la sua gente. Quando appunto c'è Gesù fra noi, si ha la sensazione che niente al mondo possa scalfire la nostra comunione e che, con lui, tutto è possibile.

E si ripete, pensiamo, in piccolo, l'esperienza delle prime comunità cristiane, quando tutti erano un cuor solo e un'anima sola e, per la forza e la consolazione dello Spirito che univa i primi cristiani, essi erano in grado di sopportare persecuzioni e di affrontare con slancio anche il martirio.

 

 

 

La scoperta di Gesù in mezzo
sullo sfondo del Vaticano II

 

A questo punto vorrei fare una considerazione anche se, in fondo, può sembrare ovvia.

L'esperienza di Gesù in mezzo è il culmine di un cammino comunitario, è l'esperienza tipica di una spiritualità collettiva.

Questo lo si capisce sempre meglio a misura che si penetra e si realizza la definizione conciliare della Chiesa come comunione. O meglio, si può dire, almeno secondo la nostra esperienza, che proprio cercando di attuare quella unità che rende possibile la presenza del Risorto fra noi, siamo introdotti nel mistero stesso della comunione ecclesiale. Partendo dalle stesse dichiarazioni conciliari sulla presenza di Cristo nella sua Chiesa, si può capire come questa spiritualità dell'unità possa contribuire ad attuare questa presenza, oggi, nella Chiesa.

Intanto va detto che è sorprendente notare quante volte - a differenza di quasi tutti gli altri Concili nella storia della Chiesa che non ne parlano - quante volte sia citata la frase del Vangelo: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Si può dire che non ci sia documento conciliare in cui non sia riportata quella frase, o il senso di quella frase.

 

 

 

Rinnovamento della liturgia
e della preghiera

 

Per esempio, la Costituzione sulla S. Liturgia, dopo aver enumerato le varie presenze di Cristo nella vita della Chiesa, dice: “E' presente infine quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome lì sono io in mezzo a loro”“ (SC 7).

Di questa presenza il Movimento ha una sua lunga esperienza, a livello sia di piccoli gruppi che di grandi assemblee liturgiche.

E' divenuta infatti prassi comune, fin dai primissimi tempi, il pregare insieme nel cosiddetto “consenserint”. Scusate la parola latina, ma allora, e cioè in tempi pre-conciliari, si usava citare il Vangelo latino. E la versione latina di Matteo 18, 19-20 recita: “Si duo vel tres consenserint”, si metteranno d'accordo, si uniranno “per domandare qualsiasi cosa questa sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Perché, dove sono due o tre riuniti nel mio nome, ci sono io in mezzo a loro”. Qui è tutto il contenuto e il senso della preghiera cristiana. E' per la presenza e la mediazione di Gesù che la preghiera del cristiano è efficace, perché è lui stesso, fra coloro che sono uniti nel suo nome, che chiede al Padre. “E' Cristo, dice S. Agostino, che prega in noi, prega per noi, è pregato da noi”. La preghiera cristiana è fondamentalmente, sia nel singolo che nella comunità, preghiera di Cristo.

Ma quello che avviene in piccoli gruppi, può avvenire anche in grandi assemblee liturgiche, purché i presenti siano concordi e fusi insieme dalla carità, di modo che quel Gesù presente sacramentalmente sull'altare, sia presente anche realmente, per l'amore scambievole, fra i membri dell'assemblea. E così si possa dire che è un unico Cristo a offrirsi al Padre sia sull'altare che nella comunità dei fedeli, per quella capacità di generare Cristo che è nel sacerdozio ministeriale, ma anche del sacerdozio regale dei fedeli.

Un'assemblea di questo genere ha, fra l'altro, un enorme valore di testimonianza, come abbiamo potuto constatare per le conversioni che produce. E' una celebrazione eucaristica che agisce non solo ex opere operato e cioè per l'azione sacramentale del Signore, ma anche ex opere operantis e cioè per l'amore genuino che lega fra loro i fedeli e rende operante la presenza mistica di Cristo.

 

 

 

Gesù in mezzo e la testimonianza:
l'esperienza delle “cellule d'ambiente”

 

Prendiamo ancora, fra i testi conciliari, il Decreto sull'Apostolato dei Laici, quando suggerisce che i cristiani si radunino insieme a colloquio “in piccoli gruppi senza alcuna rigida forma di istituzione od organizzazione, in maniera che questo appaia sempre di fronte agli altri come segno della comunità della Chiesa e quale testimonianza di amore” (AA 17). E più avanti, parlando dell'apostolato associato cita espressamente le parole “dove due o tre sono riuniti nel mio nome” e dice: “I fedeli esercitano il loro apostolato in spirito di unità” (AA 18).

Parla poi del luminoso apostolato comunitario delle parrocchie e delle famiglie.

Anche qui può essere utile ricordare una caratteristica esperienza che si vive nel Movimento e che sembra possa offrire un contributo alla attuazione dei testi conciliari che abbiamo appena citato.

E' l'esperienza delle cosiddette “cellule d'ambiente”.

Aveva scritto Chiara, in una delle sue prime meditazioni: “Se ognuno di noi si perde nel fratello e fa cellula con esso (cellula del Corpo Mistico) diviene Cristo totale, Parola, Verbo”. “Noi dobbiamo creare continuamente queste cellule vive del Mistico Corpo di Cristo, che sono fratelli uniti nel Suo nome, per dar vita all'intero Corpo...”. E queste cellule - diceva poi Chiara - possono sorgere nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle associazioni, nelle società umane, nelle scuole, negli uffici, dovunque. “Ogni piccola cellula accesa da Dio in qualsiasi punto della terra, dilagherà poi necessariamente”Ed è proprio quello a cui abbiamo assistito, e assistiamo continuamente: a un dilagare e al moltiplicarsi di queste cellule dovunque.

Là dove cristiani decisi e impegnati a vivere la spiritualità dell'unità si incontrano sul posto di lavoro, costituiscono spontaneamente piccole cellule che hanno il solo scopo di portare Cristo in quell'ambiente, influendo sulle strutture e sulle persone.

La stessa cosa accade nelle comunità parrocchiali che si rinnovano sotto l'azione di queste cellule per la presenza di Cristo.

 

 

 

Gesù in mezzo come via                                                                                                           

verso l'unità dei cristiani

 

E ancora il Decreto sull'Ecumenismo. Mi pare qui si veda riflessa, specialmente nel capitolo sull'ecumenismo spirituale, tutta la nostra esperienza preconciliare.

Ricordo i primi contatti con gli evangelici tedeschi e la scoperta, che allora era veramente una novità, che anche con loro si poteva vivere il vangelo e avere Gesù in mezzo. E quando leggemmo nella Unitatis Redintegratio che la Chiesa ci invitava tutti a condurre una vita secondo il vangelo e a praticare il “consenserint” con cristiani non cattolici, secondo Matteo 18, 19-20, noi potevamo confermare che, per l'esperienza già fatta, qui c'era una grande risorsa per l'ecumenismo. Infatti l'unità, la ricostruzione dell'unità è solo opera sua, di Gesù, e quante volte abbiamo visto che, per la sua presenza, cadevano pregiudizi, si potevano affrontare le questioni più scottanti e spesso tante ombre secolari si dissolvevano come nebbia al sole.

 

 

 

La realtà della Chiesa
riscoperta nella sua essenza

 

Se volessimo ora riassumere in poche parole il significato e la valenza ecclesiale dell'esperienza del Risorto fra noi, dobbiamo prendere in prestito un'espressione di Tertulliano (che è poi comune a tanti Padri della Chiesa): “Dove tre sono riuniti, anche se laici, lì è la Chiesa

Quando si parla dunque di essere uniti nel nome di Gesù, non si parla tanto di una tecnica, di una pratica spirituale, ma di ciò che costituisce la Chiesa nella sua essenza che è comunione.

Siamo dunque alle radici dell'ecclesialità, perché dove due o più si uniscono nel nome di Gesù, lì si può dire veramente la Chiesa comincia a vivere o rinasce o rivive.

Si parla ora, a proposito di sacerdozio ministeriale, del suo ruolo fondamentale di servizio alla comunione. Quale servizio più bello di quello che si fa alla Chiesa, cercando di realizzare l'unità, di generare Cristo in mezzo a noi?

La tensione all'unità è un segno dei tempi e si va verso un futuro che coinvolgerà sempre di più, nel bene e nel male, tutti insieme gli uomini della terra, fatti gli uni più prossimi agli altri, per i mezzi di comunicazione, per i contatti sempre più frequenti e immediati.

E se c'è una spiritualità che voglia dare un'anima cristiana al mondo d'oggi e di domani, deve avere necessariamente una forte dimensione comunitaria.

In questa prospettiva si pone il contributo della spiritualità del Movimento dei focolari alla Chiesa e alla società. Non è il contributo di nuove strutture e istituzioni, che pure sono necessarie come è necessario un recipiente a contenere l'acqua.

In conclusione, vorremmo poter offrire al mondo non tanto delle santità individuali, quanto il Santo che è fra noi. E con lui, lo abbiamo constatato in 40 anni di vita, tutto è possibile.

Aggiungere, dunque, una dimensione comunitaria alla formazione sacerdotale, significa puntare allo stesso tempo e con la stessa intensità a far vivere sempre più Cristo dentro di noi e Cristo in mezzo a noi, il che significa generare la Chiesa.

 

Enzo Maria Fondi