Una lettura della storia che viviamo

 

 

L'unità - un segno dei tempi

 

di Piero Coda, professore di teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense

 

 

Uomini isole, gruppi isole, nazioni isole, sono sempre più un anacronismo. La responsabilità per l'altro, l'amore disinteressato per chiunque, è la coscienza nuova dell'uomo dei nostri tempi. Il mondo di oggi si presenta come un grande cantiere nel quale l'umanità, sotto l'impulso dello Spirito, è chiamata a costruire il proprio futuro nella prospettiva dell'unità.

C'è un avvenimento, accaduto in questi
ultimi tempi, che non solo ha colpito profondamente l'immaginario collettivo, ma si è caricato di un profondo valore simbolico di ciò che l'umanità intera sta sperimentando nei decisivi giorni del nostro presente: il muro di Berlino è stato abbattuto! Ciò che per lunghi, opprimenti e a tratti drammatici anni, proprio nel cuore dell'Europa “cristiana”, aveva rappresentato il segno tangibile della separazione, della contrapposizione ideologica, della piaga della disunità fra Est e Ovest, è crollato.

E' ancora difficile valutare in modo equilibrato ciò che sta succedendo in questi mesi soprattutto nell'Est dell'Europa, e quali sono le conseguenze che questi avvenimenti potranno avere sul futuro dell'Europa e del mondo. Un dato certo è però che, finalmente, è crollata insieme col muro la divisione istituzionalizzata fra l'Est e l'Ovest: in concreto, fra due parti della stessa umanità, a causa di due diverse ideologie ed organizzazioni politiche ed economiche, entrambe tese, secondo le loro affermazioni programmatiche, a realizzare il progresso dell'uomo, la giustizia fra gli uomini, ma, in realtà, colpevoli di far vivere l'umanità del nostro tempo nella tensione parossistica di un possibile conflitto mondiale e di una possibile autodistruzione atomica.

Ciò che sta accadendo non è - senza dubbio - privo di ambiguità e di incognite. Il processo in atto all'Est è ancora debole, iniziale, incerto; e dall'altra parte è forte, nell'Ovest del mondo, nelle società opulente, la tentazione di credere semplicisticamente che il crollo del muro di Berlino rappresenti di fatto il trionfo della ideologia capitalista. Ma nonostante queste profonde ambiguità, l'evento che i due mondi della “guerra fredda” e dell'“equilibrio del terrore”, finalmente possano comunicare, possano dialogare, rappresenta una tappa fondamentale e - ci auguriamo - irreversibile, della storia del nostro tempo. La gioia e la speranza sgorgate nel cuore di ogni uomo di fronte a questi eventi ne sono il segno.

 

 

 

Caduto il muro Est-Ovest
si allarga il fossato Nord-Sud

 

E' anche vero, però, che il superamento della logica dei blocchi fra Est e Ovest mette in più profondo risalto il divario drammatico fra il Nord e il Sud del mondo, fra la storia di crescita e di sviluppo delle società occidentali ricche, e quel “rovescio della storia”, quella storia di miseria e di oppressione, che piaga milioni di persone umane nel Sud del nostro pianeta. Basta aver visitato una volta - come mi è capitato, e ne ringrazio Dio! - le “favelas” delle città del Brasile o le “bidonvilles” di qualunque altra città del Sud del mondo, per rendersi conto in maniera inequivocabile della urgenza e della drammaticità della situazione del mondo contemporaneo!                

Tanto che affiora spontanea e drammatica - dopo questa immersione nella sofferenza di milioni di nostri fratelli - la domanda su come sarà possibile sormontare questo fossato di giorno in giorno sempre più ampio e più profondo fra chi è ricco, e diventa sempre più ricco, e chi è povero e diventa sempre più povero: povero di mezzi di sussistenza, dei propri più elementari diritti, di cultura, in una parola di ciò che rende umana la vita dell'uomo.

Ma, paradossalmente, proprio questo divario, come è stato notato da un numero sempre più grande e sempre più concorde di esperti di economia politica a livello internazionale, e come ha sottolineato lucidamente Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis, mostra all'evidenza che il mondo di oggi, nelle sue strutture politiche, economiche e sociali, è legato da una interdipendenza organica e profonda, che fa sì che a lungo andare, per la sua stessa sopravvivenza e per il suo stesso sviluppo socio-economico, il Nord del mondo non potrà far a meno di intervenire in qualche maniera a favore del Sud, operando una revisione radicale della propria filosofia economica e politica. Lo sviluppo, è stato detto, o diventa un fatto generalizzato, oppure provocherà, nel giro di pochi anni, una retrocessione galoppante all'interno stesso delle società sviluppate.

 

 

 

La sfida ecologica

 

Il medesimo discorso si può fare se allarghiamo il nostro sguardo su un'altra grande sfida che è all'orizzonte dell'umanità del nostro tempo: la sfida della ecologia. Un certo modello di sviluppo economico, una certa gestione delle tecnologie avanzate, ha provocato e sta provocando dei danni che, almeno in alcune espressioni, sono già irreparabili per l'eco-sistema del nostro pianeta. Il far fronte a questi danni sempre più ingenti, o almeno il contenerli, secondo gli esperti non può più essere oramai opera di uno stato o di un gruppo di stati soltanto, ma di una concertazione a livello planetario, che possa individuare delle strategie globali per far fronte a questi problemi, e nello stesso tempo possa avere i mezzi sufficienti e adeguati per metterle in atto. Il che sarà del resto possibile soltanto grazie a una decisa conversione del nostro modello di vita. E' questo, in sintesi, l'invito venuto dall'Assemblea ecumenica di Basilea del maggio scorso, e il significato del messaggio inviato da Giovanni Paolo II per la prossima giornata mondiale della pace. Dunque, non solo il crollo del “muro” fra Est e Ovest ha mostrato a fatti la necessità ineludibile di imboccare la via del dialogo e della solidarietà, ma anche il rapporto Nord-Sud e la questione ecologica mostrano come il dato oggettivo fondamentale del nostro tempo sia quello della interdipendenza fra tutti i sistemi politici ed economici della terra, che deve tradursi - a livello etico - in solidarietà.

 

 

 

Un “sesto continente” in movimento

 

Un ultimo elemento, che viene a precisare ulteriormente da un lato, e a complicare dall'altro, la situazione dell'umanità del nostro tempo, è costituito dagli ingenti movimenti migratori che caratterizzano la vita dell'umanità in questo scorcio del secondo millennio di vita cristiana. Ingenti movimenti migratori - un vero e proprio “sesto continente” in movimento, è stato detto -, rappresentati non solo dal passaggio dal Sud al Nord del mondo per evidenti motivi economici e demografici, ma anche da spostamenti di popolazione all'interno delle diverse zone del Sud per le accresciute possibilità di comunicazione e di mobilità, oltre che dovuti alle accresciute esigenze di dialogo, di studio, di aggiornamento, di relazioni economiche, all'interno stesso del Nord. Questi movimenti migratori, secondo le proiezioni sociologiche, sono destinati a mutare profondamente la composizione dell'umanità, assumendo i contorni di una sfida epocale che provocherà la nascita, all'interno di ogni regione geografico-culturale, di società multi-razziali, multi-culturali, multi-religiose.

In questo senso, quel famoso dialogo fra l'Occidente e l'Oriente del mondo, o, per usare delle categorie culturali e religiose, fra il cristianesimo e le religioni orientali, che lo storico A. Toynbee prevedeva come la grande frontiera del terzo millennio dell'era cristiana, non avviene più soltanto a distanza - nel rapporto fra questi diversi universi culturali, ciascuno situato nella propria area geografico-storico e culturale -, ma all'interno di ognuna di queste aree, sempre più destinate a un'osmosi e a un rimescolamento profondi.         

In una parola, la prospettiva del “villaggio planetario”, previsto da Mac Luhan, è una realtà sempre più concreta e interpellante. Lo stesso fatto della contemporaneità dovuta alle telecomunicazioni, grazie alle quali l'umanità può vivere e partecipare “in diretta” agli avvenimenti che succedono in un'altra parte del mondo rappresenta, forse, la figura più emblematica di questo momento storico inedito, magnifico e drammatico allo stesso tempo.

 

 

 

Un ordine sociale mondiale e una

pancultura planetaria da sviluppare

 

Come testimoniano eventi carichi di significato, come la preghiera dei capi delle grandi religioni ad Assisi, o l'Assemblea ecumenica di Basilea e in prospettiva quella di Seul, o la stretta di mano fra Gorbaciov e Giovanni Paolo II, ciò che sta per scoppiare, ciò che già è scoppiato, e ancora più pienamente deve scoppiare nel nostro mondo, è la pace. La pace come nuovo orizzonte di rapporto fra gli uomini, i popoli, le razze e le culture; nuovo orizzonte di rapporto fra gli uomini e l'eco-sistema; nuovo orizzonte di rapporto fra gli uomini e il Dio della pace.

Questa, in realtà, è la più grande sfida del nostro tempo: una sfida che richiede una risposta lucida, coerente, coraggiosa e pronta. Die Zeit - ha ricordato K.F. von Weizsäcker - drängt: il tempo stringe! La transizione economica, politica, socio-culturale che tutti quanti viviamo e che è una transizione oggettiva, dovuta a molteplici elementi di carattere strutturale, richiede allo stesso tempo una transizione antropologica, richiede, come mai sinora nella storia dell'umanità, la formazione di un uomo all'altezza dei tempi, di un uomo che sappia assumere responsabilmente questa sfida della pace nella pluriformità delle sue dimensioni. Un “uomo-mondo”, un “uomo-della-pace”!

Anzitutto, oggi la pace è una necessità oggettiva che nasce da quella interdipendenza strutturale di cui abbiamo detto. Il sociologo e storico N. Elias, nel suo famoso discorso “Osservazioni sullo sviluppo dell'umanità nel XL anniversario della fine della II guerra mondiale”, notava, paragonando il momento storico che viviamo alla precedente evoluzione della umanità, che “lo sviluppo della storia è giunto a un punto, anzi meglio, in una fase, nella quale gli uomini, per la prima volta sono posti di fronte al compito di darsi un'organizzazione globale in quanto umanità. Questo compito si pone come esito di un lungo processo di sviluppo, uno sviluppo che fornisce nello stesso tempo agli uomini anche i mezzi tecnici per una organizzazione dell'intera umanità. Ciò di cui parlo - sottolinea Elias - non è quello che in genere si chiama utopia; il compito di sviluppare un ordine sociale che comprende tutta l'umanità, è un compito che si pone oggi agli uomini come un dato di fatto sia che essi ne siano oppure non ne siano consapevoli”. C'è da notare che Elias sottolinea come lo sviluppo della storia non solo impone oggi all'umanità il compito di darsi un'organizzazione globale, per evitare il pericolo di una guerra autodistruttiva, ma abbia fornito anche gli strumenti per potersi dare questo tipo di organizzazione.

In effetti, i sociologi notano come oggi si possa parlare di una pancultura planetaria in via di formazione; e il teologo moralista tedesco W. Korff ha sottolineato come siano fondamentalmente due gli elementi che vengono a caratterizzare la cultura planetaria del nostro tempo, pur nel rispetto della specificità e della pluralità delle diverse culture. Questi due elementi sono: da un lato, la recezione globale della cultura tecnico-scientifica di origine occidentale, moderna; dall'altro, la presenza di una crescente sensibilizzazione nei confronti della questione dell'uomo in quanto tale.

Circa la prima caratteristica è un dato di fatto che la cultura tecnico-scientifica e l'organizzazione economico-sociale che ne consegue, di stampo occidentale, va espandendosi in bene e in male in tutto il mondo. Circa il secondo dato di fatto, è altrettanto evidente, e da un punto di vista assiologico è certamente più importante, che sempre più è condivisa a tutte le latitudini sociali e culturali l'idea etica regolativa della dignità umana; per cui - a detta di molti - si può già cominciare a parlare di un “ethos comune globale e aperto”, di unacoscienza comune dell'umanità” del nostro tempo. E' evidente che, all'origine di questo ethos globale e comune, che in fondo è quello che ha trovato una sua prima codificazione autorevole nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo da parte della Organizzazione delle Nazioni Unite, vi è certamente l'ispirazione biblico-cristiana E' lo stesso Korff a sottolineare come “il comandamento dell'amore e i diritti umani siano strettamente connessi: i secondi risiedono nella conseguenza del primo e solo questa doppia richiesta del comandamento dell'amore e dei diritti umani, apre la strada a ciò che caratterizza un possibile ethos globale mediante il quale ogni uomo si vede rispettato e voluto in quanto essere ragionevole, affidato a sé stesso, e responsabile

 

 

 

Un ethos comune
fondato sull'amore del prossimo

 

Dunque, la sfida della pace come sfida oggettiva del nostro tempo si trasforma di per sé stessa in una sfida etica, nell'invito a un salto di qualità di tutta l'umanità per trovare una comune base di vita in un ethos che abbia il suo centro nella dignità e nei diritti dell'uomo.

Ciò rappresenta anche un salto di qualità nei confronti della cultura moderna occidentale. Il filosofo italiano I. Mancini - riecheggiando E. Lévinas - ha sottolineato che i tempi esigono il passaggio a un nuovo orizzonte etico. “Se - egli dice - nell'età classica, greca soprattutto, l'aspirazione del saggio era, nel suo termine comprensivo, l'essere; e nell'età moderna il termine agognato era stato l'io - il soggetto -; nell'età futura, il terzo millennio, il termine comprensivo di tutto dovrà diventare l'altro e il suo volto, biblicamente il prossimo”.

Dunque, un ethos globale fondato sul rispetto della dignità dell'uomo, di più sull'amore al prossimo. Questo vale sia a livello planetario, perché solamente lo sviluppo e la universalizzazione di questo ethos può ottenere l'assunzione della interdipendenza, a livello di responsabilità etica, come solidarietà; sia a livello dei rapporti interpersonali. Sappiamo tutti quanto nell'Occidente stesso, nonostante l'affermazione, a livello di principio, dei diritti e della dignità dell'uomo, il tessuto etico delle nostre società sia profondamente corroso, e come proprio nell'area geografico culturale dove è emerso in maniera più forte l'imperativo etico della dignità umana, assistiamo, forse, alla crisi di senso più forte dell'uomo contemporaneo.

Guardando alle cose in profondità, penso si possa dire che la crisi fondamentale della cultura moderna occidentale che non riesce a tradurre in operatività storica i principi dell'ethos comune che ella stessa ha delineato, sta nel fatto che le ideologie che hanno caratterizzato il mondo moderno si sono fondate sull'ateismo e cioè sull'allontanamento programmatico o metodologico della presenza di Dio dalla storia e dalla costruzione della società.

Con parole in certo modo profetiche, l'economista e poi filosofo e pensatore religioso russo S. Bulgakov, già all'inizio del nostro secolo sottoponeva a una critica lucida e impietosa il modello di società occidentale sia marxista che capitalista, individuandone il punto debole fondamentale proprio nella affermazione programmatica o implicita - a seconda dei casi - dell'ateismo, e affermava:” Quando al Maestro dell'amore (e cioè al Cristo), fu chiesto quale fosse l'essenza della Legge, Egli rispose che essa consiste in due comandamenti: il primo l'amore di Dio; il secondo, che discende dal primo, l'amore del prossimo. Egli mostrò qual sia il corretto, normale rapporto tra interesse religioso e interesse sociale e senza diminuire il secondo nel suo significato, gli attribuì solo il secondo posto. Nell'umanità presente si è perso questo corretto rapporto e la concezione contemporanea riconosce solo il secondo comandamento (se lo riconosce!) subordinando il primo al secondo o sostituendo il primo con il secondo. Abbiamo visto di quali contraddizioni soffra questa concezione (e noi lo abbiamo sotto gli occhi in questi giorni!). E' toccato dunque in sorte - conclude Bulgakov - a questa concezione, di confermare negativamente la verità, avendo mostrato l'impossibilità di negarla!”.

 

 

 

Ricominciare con una profonda scelta di Dio

 

La crisi delle ideologie moderne, sia quella più evidente dell'ideologia marxista sia quella sotterranea, ma non meno corrosiva dell'ideologia capitalista, mostra proprio al negativo la verità di ciò che essa voleva negare, cioè la verità della presenza di Dio per dare senso e verità alla storia dell'uomo.

La costruzione della pace, una cultura fondata sull'amore al prossimo, l'anima di un ethos globale comune aperto, come unico possibile sistema regolativo di un'umanità che assuma il compito etico della solidarietà, non può non essere fondata su Dio.

La prima grande sfida del nostro tempo è proprio quella di ricominciare con una profonda scelta di Dio, con la volontà di mettere Dio al primo posto nella vita dell'uomo, delle sue relazioni sociali, delle sue progettazioni economiche, politiche e culturali per poter costruire ogni cosa su quella roccia che è Dio stesso, secondo le parole di Gesù: “Chiunque non mette in pratica la parola di Dio è simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa cadde e la sua rovina fu grande” (Mt 7,26-27).

E' solo partendo da una radicale e totalitaria scelta di Dio che l'uomo può scoprire la dignità sua e del prossimo e che la solidarietà e la pace possono essere edificate sulla roccia.

 

 

 

La misura nuova dell'essere uomo

 

In questo contesto l'annuncio del vangelo di Cristo acquista ancora una volta tutta la sua attualità e la sua forza. La Chiesa sa per esperienza, per dono, per grazia, che il luogo dove imparare questa misura nuova di essere uomo capace di assumere la sfida del nostro tempo, è Cristo. Probabilmente, è questo il grande significato della “nuova evangelizzazione” che, sulla scia dell'invito pressante di Giovanni Paolo II, nei diversi luoghi del mondo le Chiese sentono di dover assumere sempre più profondamente: guardare a Cristo, per dirla con H.U. Von Balthasar, con occhi semplici, immergersi nell'originalità del suo mistero, per imparare la misura d'essere uomo all'altezza del progetto di Dio e all'altezza della sfida dei nostri tempi. Occorre - per riprendere una recente affermazione del Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, Karl Lehmann - re-imparare l'elementarietà, la freschezza della fede, per viverla, per incarnarla, per testimoniarla, per trasmetterla.

Sembra paradossale, ma il vangelo non è superato dall'urgenza, dalla drammaticità e dalla complessità delle sfide dei nostri tempi; ma questa necessità di pace e di unità, come sfida centrale del nostro tempo, come mai ne mette in luce tutta la forza e la novità. L'impegno fondamentale del cristiano, di ciascuno di noi, è quello di mettersi ancora una volta alla scuola di Cristo per imparare questa misura nuova di essere uomo, per far dono all'umanità di quella misura nuova, che essa invoca, anche senza saperlo, già profeticamente incarnata - nonostante tutti i nostri limiti - nella vita della comunità cristiana.

Ma come guardare a Dio, come guardare alla misura d'essere uomo di Cristo con occhi semplici, per incarnarlo nell'oggi? Per rispondere non voglio disegnare qualcosa di astratto a tavolino; ma preferisco, con voi, partire con semplicità da una mia esperienza personale di credente e anche di teologo. La mia esperienza mi ha insegnato che la presenza di Dio nella storia dell'uomo non è solamente una presenza che, al di là delle contraddizioni, guida la storia verso orizzonti sempre nuovi, verso una crescita dell'umanità nel suo insieme e nelle sue singole parti, come stupendamente ci ha descritto la Gaudium et spes; ma anche, secondo la promessa di Gesù, è una presenza nello Spirito che guida in modo specialissimo la Chiesa verso una comprensione della “verità tutta intera”, verso una penetrazione e un'attualizzazione sempre più piena della misura di verità, di umanità che Cristo ci ha mostrato. Ciò non avviene in astratto nella storia della Chiesa, ma attraverso dei concreti e singolari carismi che lo Spirito Santo dona alla sua Chiesa.

Per me personalmente, l'accesso al mistero della verità e della grazia di Dio nel suo “oggi” di salvezza in mezzo agli uomini, questi occhi semplici con cui guardare il mistero di Dio e con cui cercare di leggere e di vivere la sfida dell'umanità di oggi alla luce del mistero di Cristo, mi è stato dato dall'incontro con il carisma dell'unità di Chiara Lubich e del Movimento dei focolari. E' stato un incontro che ha risvegliato la mia fede cristiana e l'ha arricchita e approfondita secondo questa nuova misura che - mi sembra - è richiesta dai nostri tempi. In che maniera? Cercherò di rispondere in breve.

 

 

 

Far abitare Dio in mezzo agli uomini

 

Innanzitutto, nel senso che mi ha aperto ad una comprensione radicalmente semplice e nuova del mistero di Dio. Il Dio rivelato da Cristo è un Dio che è Amore e che guida la storia dell'umanità verso un destino di amore in cui gli uomini, progressivamente, possano imparare e sperimentare - per dirla con Ireneo di Lione - ad essere fratelli fra di loro nella mutua carità. Una luce semplice, ma fondamentale: che sta tutta in quel “noi abbiamo creduto all'amore di Dio per noi”, di cui parla San Giovanni nella sua prima lettera (1 Gv 4,16), riassumendo il senso e la sfida dell'evento-Cristo per noi. Ciò significa avere in dono degli occhi capaci di rileggere la trama variegata e contraddittoria della propria vita - in primo luogo -, ma anche della storia dell'umanità nel suo insieme, alla luce di questo filo d'oro - tenue, forse, ma tenacissimo, inscalfibile - dell'amore di Dio.

E poi, uno sguardo nuovo, degli occhi semplici per incontrare in modo vero ogni altro uomo. Uno sguardo nuovo, una luce nuova per comprendere in maniera radicale e profonda il comandamento primo del Cristo “Ama l'altro come te stesso”. L'altro! Chiunque esso sia, dell'Est o dell'Ovest, del Nord o del Sud, di questa cultura o di quell'altra cultura. L'altro, un altro me stesso! E' solo questo sguardo nuovo sull'altro uomo che permette di cominciare a rispondere alla sfida dell'unità e dell'interdipendenza a partire dai rapporti personali nei quali sono inserito.

E' questo rapporto nuovo con Dio, che è Amore, e con il prossimo, che è un altro me stesso, che mi permette di comprendere come la solidarietà che è necessario vivere fra gli uomini del nostro tempo, per quel complesso di sfide di cui ho parlato, è imparare il reciproco amore come misura di umanità alla quale sono chiamato: “Ama l'altro come te stesso, perché l'altro ti possa amare come sé stesso, perché fra voi ci sia quel reciproco amore che è la vita di Dio, che è Amore”.

La pace, lo shalom che deve scoppiare fra gli uomini, è la presenza stessa di Dio, la presenza del suo amore che sboccia nel reciproco amore fra gli uomini: amore che è rispetto, accoglienza, servizio dell'altro, capacità di donare la propria vita per ognuno come per l'amico... Dio, oggi, non vuole, non può più abitare soltanto dentro di me, vuole, deve abitare fra noi. Non è questo il senso della storia della salvezza?

“Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed Egli sarà il Dio-in-mezzo-a-loro!”
(Ap 21, 3).

E' la sfida dell'oggi storico e salvifico: far abitare Dio nel reciproco amore fra gli uomini. E nello stesso tempo, passando attraverso questo fondamentale contesto delle singole relazioni personali, è anche sfida a costruire delle strutture e degli strumenti nuovi che regolino la vita sociale, economica, politica non più in base alla legge antica della conflittualità e della sopraffazione fra gli uomini, ma in base alla legge nuova, alla legge trinitaria della reciprocità nell'amore.

Utopia? Certamente potrebbe esserlo! E invece è profezia perché ha la sua radice nell'evento storicamente decisivo di Gesù di Nazareth, della sua morte e della sua resurrezione. Sì, questo guardare a Dio con occhi semplici, per scoprirlo e sperimentarlo Amore, e questo guardare all'uomo con occhi semplici, per scoprirlo ed amarlo come fratello, ha una radice di tale profondità che niente più è capace di divellare o di sradicare dalla nostra fede e dalla nostra storia. Quella radice è la croce di Cristo, è Cristo crocifisso stesso, misura dell'amore di Dio, per me, misura del mio amore per Dio e per i fratelli.

La radice da cui può fiorire la civiltà dell'amore, la civiltà della pace, altra non può essere che l'evento del Cristo che patisce persino l'abbandono di Dio sulla croce per insegnarci l'amore di Dio, l'amore per Dio, l'amore fra noi.

Ciò significa, innanzitutto, che occorre passare per la via della scelta dei poveri, dei più poveri fra i poveri per mostrare a loro, attraverso la nostra testimonianza, che Dio li ama e li ama concretamente perché li libera dalle loro situazioni di oppressione, di povertà, di mancanza di Dio, di mancanza del senso. Il povero è l'uomo che ti passa accanto e che ha in sé la ferita dell'esser-uomo, la ferita del “perché” che Gesù ha fatto suo sulla croce, e che tu devi fasciare, facendoti di lui prossimo, come il samaritano sulla via di Gerico.

Ma immergersi in questa radice, rimanere aggrappati a questa radice, significa allo stesso tempo saper imboccare la via del posporre ogni cosa, le proprie sicurezze, i propri affetti, il proprio passato, il proprio futuro, il proprio presente, per amore di Dio e per amore del fratello, perché Cristo possa generare in noi e fra noi l'Uomo Nuovo. Se è vero - come afferma stupendamente San Paolo nella Lettera agli Efesini - che “(Cristo) è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia (...) per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo” (2,14-15), perché ciò ch'è stato possibile per giudei e greci, non può essere possibile oggi, in Cristo, fra tutti i popoli, in prospettiva planetaria?

La radice, semplicissima e altissima, della nuova civiltà dell'unità e della pace è - oggi come ai tempi dell'apostolo Paolo - il Cristo crocifisso, il Cristo che grida, dall'alto della croce, il suo abbandono. Egli - come ha intuito sin dall'inizio della storia del Movimento, per un dono di grazia, Chiara Lubich - è l'icona del nostro tempo che implora l'avvento di Dio fra gli uomini; e l'icona dell'infinito, origine di sempre nuovo stupore, amore di Dio per me, per ogni uomo! Amore che si annienta in libera kenosi di fronte all'umanità per manifestare l'assolutezza di ogni uomo, e per invitarmi a una risposta di libertà e di amore.

E solo quando saprò farmi eco di questo grido, accogliendolo dentro di me e penetrando nella profondità di questa radice, potrà scaturire la misura nuova dell'essere uomo che Dio si attende da me, dal mio fratello, dall'amore fra noi.

Eccomi! contemplandoti crocifisso sono “vinto” dal tuo amore, da Te che sei l'Amore, e - quale tuo frutto - voglio essere sacramento del tuo amore per ogni fratello: suscitatore di libertà, scaturigine di amore, dimora con tutti di te fra noi!

E' guardando a Lui che si può imparare la misura nuova d'essere uomo, nascosta nel progetto di Dio e richiesta dai nostri tempi.

E' Lui - in fin dei conti - la risposta alla domanda che secoli fa si poneva, in una stupenda poesia, il mistico sufi Gialal ed-din Rumi:

“Il Signore ha bisbigliato qualcosa all'orecchio della rosa
ed eccola aprirsi al sorriso.
Il Signore ha mormorato qualcosa al sasso
ed eccolo gemma preziosa scintillante nella miniera.
Il Signore ha detto qualcosa all'orecchio del sole
ed ecco la guancia del sole coprirsi di mille eclissi.
Ma che cosa avrà mai bisbigliato il Signore all'orecchio
dell'uomo perché egli solo sia capace di amare e di amarLo?
Ha bisbigliato Amore!”

Gesù abbandonato è - come dice Chiara - la spiegazione di cos'è l'amore.

 

Piero Coda