Da Malta, un modello che promette per il futuro

 

 

Quale pastorale vocazionale?

 

a cura di Lino D'Armi

 

 

Pensando al problema delle vocazioni e ad una pastorale per esso adatta, inevitabilmente ci si trova assaliti da tante domande: perché sono pochi i giovani che oggi sentono la chiamata a seguire Gesù nel ministero presbiterale o nella vita consacrata? cosa possiamo fare per risvegliare in loro il senso della “divina avventura” così come hanno fatto ai loro tempi Bernardo di Chiaravalle e Francesco di Assisi? esiste un tipo di pastorale giovanile da attivare con più impegno? Ne parliamo con don Francis Bonnici di Malta, invitato a parlare di questo tema al recente Sinodo.

GEN'S: Il problema delle vocazioni sacerdotali, anche se non uguale in tutte le aree geografiche resta tuttora grave. Cosa si può fare?

La vocazione è un mistero e personalmente ne rimango sempre affascinato. I vangeli ce la presentano come un meraviglioso incontro d'amore tra Dio e l'uomo. La vocazione è dunque un dono del tutto gratuito. Nessuno di noi può disporne; nessuno la può “produrre”. Possiamo soltanto prepararle la strada. Rimane per questo sempre fondamentale la preghiera per le vocazioni richiesta, del resto, da Gesù stesso.

C'è un altro fatto, nei racconti evangelici, che fa pensare: Gesù, prima di chiamare a un particolare compito, a un determinato lavoro, chiamava a seguirlo. Invitava a posporre tutto per vivere in profonda comunione con Lui e con gli altri discepoli. Ed era questa la scelta decisiva da fare. Colpisce, nei racconti del vangelo, vedere come non era mai un problema la chiamata ad un determinato ministero. Era difficile, invece - e lo testimoniano episodi come quello del giovane ricco -, decidersi a seguire Gesù.

Quanto al metodo di formazione, che Gesù sembra usare, consiste appunto nella comunione di vita che è una vera e propria scuola, nella quale i suoi apprendono le leggi della vita: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5, 3). “Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12, 24)...

 

Innanzi tutto:

un'evangelizzazione profonda

GEN'S: E come allora, impostare una pastorale vocazionale adatta ai giovani di oggi?

Penso che il compito primario di una pastorale vocazionale - e oggi se ne prende sempre più coscienza - è offrire ai giovani l'occasione di penetrare con la loro vita più profondamente nel vangelo. Non basta che si presenti a loro un ideale sacerdotale. Occorre innanzi tutto aiutarli a diventare discepoli di Gesù: veri cristiani prima che sacerdoti.

 

Sappiamo tutti che a questo scopo non è sufficiente la sola istruzione. L'importante è vivere: vivere il vangelo, farne esperienza in prima persona. Solo così la pastorale vocazionale, e quella giovanile in generale, è fondata sulla roccia, secondo quella parola di Gesù che dice:  “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia” (Mt 7, 24).

 

Durante i miei 18 anni di lavoro nella pastorale vocazionale sono rimasto spesso colpito da come era diverso l’ascolto dei giovani quando cercavo di fare loro una catechesi vocazionale incentrata in determinate idee, come quella del sacerdozio, da quando invece cercavamo insieme di vedere la nostra vita alla luce del vangelo e dell’esperienza che ne andavamo facendo. Puntiamo, perciò, ormai da anni, nei gruppi vocazionali soprattutto sull’impegno di vivere insieme la Parola. Proponiamo periodicamente a tutti - dai 10 ai 20 anni - di approfondire ora l’una ora l’altra frase della Scrittura mettendola in pratica nelle situazioni di ogni giorno. Negli incontri che facciamo con loro li invitiamo innanzi tutto a scambiarsi le esperienze che ne sono fiorite. Con i più grandi, inoltre, in occasione delle giornate e dei week-end che trascorriamo con loro, cerchiamo di mettere a fuoco, uno alla volta, i grandi cardini del vangelo: la scoperta di Dio come Amore, l’impegno di fare la sua volontà, l’amore del prossimo e così via. Ogni tema che si propone è comunque sempre orientato alla vita concreta.

Ai giovani piace molto questo modo di fare. Abbiamo notato come questo impegno di vivere insieme il vangelo opera in loro una vera trasformazione. A provocarla - ne siamo ben consci - non siamo noi, ma è Gesù stesso, l’Unico Maestro, attraverso la sua Parola. E così i giovani rivivono l’esperienza dei discepoli: ascoltando Gesù e mettendo in pratica le sue parole, passano da una mentalità semplicemente umana ad una mentalità evangelica.

Passaggi obbligati quando un giovane entra nel vangelo

 

GEN’S: Quali i tratti salienti di questo sforzo di mettere insieme in pratica la Parola di Dio?

 

L’ideale che oggi forse fa più presa nelle giovani generazioni sembra essere quello della propria autonomia e della libertà personale. I giovani ricercano l’essere, ma finiscono troppo spesso di fermarsi all’avere. Conosciamo tutti gli effetti del consumismo e come esso rischi di soffocare nell’uomo ogni senso del trascendente. Vivere la Parola libera i giovani da questi facili miraggi e fa scoprire loro il vero scopo per cui vivere. Gesù propone loro di mettere Dio al primo posto, spostando tutto il resto. E loro lo fanno. Ci sorprende sempre di nuovo vedere come i giovani che vengono ai nostri incontri non abbiano difficoltà a lasciar da parte i divertimenti dei loro compagni.

Il fatto è che hanno trovato un ideale che è più bello di tutto quello che il mondo può loro offrire. Vivendo la Parola scoprono che non sono più soli ma che hanno un Padre che li ama e li pensa. “Perfino i capelli del vostro capo”, dice loro Gesù, “sono tutti contati, non abbiate dunque timore: voi valete molto di più” (Mt 10, 30). E’ in questa promessa che i giovani trovano il fondamento della loro vita, la loro vera identità.

Credono quindi nello sconfinato amore di Dio per loro e vi vogliono rispondere. E’ ancora la Parola a indicare loro la strada: “Non chiunque dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). Ciò fa loro scoprire una religione che non è fatta principalmente di sentimento ma che si esprime nell’impegno di ascoltare momento per momento la voce di Dio come si manifesta a loro nei comandamenti, nei precetti della Chiesa, nella loro coscienza, nei propri doveri. Certi che è un Padre che loro parla si abbandonano unicamente al suo disegno. Sanno, infatti, che tutto quello che  potrebbero programmare da sé sarebbe sempre qualcosa di limitato. La loro esistenza si trasforma così in una meravigliosa avventura divina.

 

 

 

Allenarsi all’amore cristiano

 

C’è poi una parola in particolare che colpisce i giovani e che trasforma la loro vita. Gesù dice loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Cominciano allora a vedere Gesù in quanti incontrano lungo l’arco della giornata, e ben presto si stagliano in loro i distintivi della carità cristiana: iniziano ad amare tutti senza fare più differenza fra simpatici ed antipatici, fra giovani ed anziani; trovano la forza di amare per primi chi passa loro accanto; sono pronti a servire, a immedesimarsi con l’altro nelle sue gioie e nelle sue necessità.

Allenandosi continuamente in questa arte di amare cristiana mettono così solide basi non solo per una vita nel matrimonio ma anche, se Dio li chiama a questo, per una vita nel celibato.

Amando così, spesso sono riamati e allora sperimentano gli innumerevoli frutti dell’amore scambievole. E’ quanto avviene specialmente nei frequenti momenti di convivenza che cerchiamo di realizzare con loro. Essi hanno per “legge” il comandamento nuovo di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (cf Gv 13, 34). Questo è diventato ormai l’anima di ogni momento vissuto con loro: dalla preghiera alla preparazione dei pasti, dal lavoro manuale ai giochi. Tutto è un’occasione per sperimentare il nuovo stile di vita portato da Gesù sulla terra. E si può arrivare persino a una vera e propria comunione di beni come sta già avvenendo fra i nostri seminaristi maggiori.

Nasce così fra i giovani l’atmosfera di una vera famiglia. Ma non solo. “Dove sono due o più riuniti nel mio nome - ha detto Gesù - là sono io in mezzo a loro” (Mt

18,20). Vivendo il comandamento nuovo, i giovani trovano la chiave per sperimentare tra loro in un modo del tutto particolare la presenza viva di Gesù. E’, in un certo senso, come se Egli uscisse dai tabernacoli per stabilirsi ovunque: nelle case, nell’ambiente di lavoro, a scuola, per strada. Ed è grazie a questa presenza, che essi diventano fonte di irradiazione della vita cristiana in mezzo ai loro compagni. Non a caso, nella nostra diocesi che conta 300.000 abitanti, abbiamo visto crescere, nel giro di cinque anni, da 500 a oltre 1000 i giovani che si riuniscono, a livello di parrocchia, in gruppi vocazionali.

 

GEN’S: E cosa direbbe ad un giovane riguardo alle difficoltà che la vita del vangelo comporta?

 

La mia esperienza mi ha fatto cogliere che con i giovani bisogna presentare tutto il vangelo e non basarsi su facili sentimentalismi. La Parola di Dio vissuta getta una luce nuova anche sul mistero del dolore. Se il mondo attorno insegna ai giovani ad evitarlo, ad averne paura, Gesù fa loro scoprire che ogni sofferenza, ogni incomprensione, dubbio, fallimento, può diventare un incontro con Lui crocifisso, un’occasione di dimostrargli il proprio amore. E così, come per incanto, sperimentano che il dolore, se amato, si può trasformare in un’esperienza di risurrezione, in nuovo amore. E’ soprattutto in questa esperienza personale

e profonda del mistero di Gesù in croce che quelli, che Dio chiama al sacerdozio, trovano lo stimolo di abbandonare altre prospettive affascinanti, come il benessere, la carriera, la famiglia, per mettersi con tutto se stessi al servizio del Regno di Dio.

 

 

 

Più importante della quantità:

la qualità delle vocazioni sacerdotali

 

GEN’S: Quale la rilevanza di tutto questo per le vocazioni sacerdotali?

 

Vorrei innanzi tutto accennare ancora a qualche altro effetto della Parola vissuta insieme: la scoperta viva di Gesù provoca nei giovani una riscoperta anche della Chiesa, una profonda e convinta accettazione della sua dottrina, un amore appassionato per l’eucaristia nella quale vedono la fonte e il culmine della loro unità con Dio e tra di loro. Viene in risalto anche la figura di Maria come la discepola perfetta, modello di ogni cristiano. Come lei i giovani, mano mano che penetrano nella Parola di Dio, diventano sensibili alla voce dello Spirito che parla nel loro cuore. E non desiderano altro che seguire quello che lui continuamente ispira.

Poste queste premesse, la chiamata al sacerdozio praticamente non trova più ostacoli. Quando i giovani sono impegnati in una vita evangelica si staglia con facilità anche la loro particolare chiamata. “A chi mi ama... mi manifesterò” (Gv 14, 21), dice Gesù. Ed è sorprendente la naturalezza con la quale spesso dicono il loro “Eccomi”.

Ma soprattutto le vocazioni che fioriscono su questa base non sono motivate, come altrimenti facilmente avviene, da fattori estranei come la ricerca magari inconscia di una posizione sociale o ecclesiale. Sono solide ed autentiche.

E’ stata per me una delle più grandi gioie vedere tanti giovani arrivare man mano alla maturità di tenersi completamente disponibili per Dio e per la Chiesa. Non è stato difficile allora proporre chiaramente il sacerdozio a coloro che, attraverso segni oggettivi, sembravano manifestare questa chiamata. 110 giovani hanno deciso in questi anni di entrare in seminario. 45 di loro sono già sacerdoti. Altri si sono avviati alla vita religiosa e moltissimi a una vita laicale impegnata.

Fiorendo così, la vocazione è tutt’altro che una “autocandidatura” con la pretesa di poter realizzare il proprio ideale sacerdotale. E la pastorale vocazionale, a sua volta, non ha più nulla di un “reclutamento” di persone per riempire i posti vacanti. Al centro è Gesù che, essendo diventato nella vita dei giovani il principale protagonista, rivolge a loro la sua chiamata; chiamata che ha un solo modello: Lui stesso che è stato Sacerdote soprattutto in croce.

 

 

 

Una prospettiva sul celibato

 

GEN’S: C’è qualcosa che Lei vorrebbe ancora dire a chi, come lei, lavora in questo settore?

 

Vorrei sottolineare un fattore quanto mai importante per la pastorale vocazionale. E’ il contributo del seminario e del presbiterio intero. Anche questo, a Malta, in questi anni l’abbiamo potuto felicemente sperimentare. Non c’è nulla che possa favorire nei giovani lo sviluppo di una possibile vocazione sacerdotale quanto la testimonianza di sacerdoti che sono veramente realizzati e tra loro uniti e di un seminario nel quale si respira un’atmosfera di vangelo, di autentica fraternità. Dove è vera e profonda la comunione fra i sacerdoti, dove il seminario testimonia la vita di famiglia dei figli di Dio, i giovani sono nelle condizioni di vedere in una luce completamente nuova il celibato: non già come una rinuncia e una vita nell’isolamento, ma come modo di realizzare una famiglia più universale e quindi di esercitare una paternità quanto mai affascinante.

 

a cura di Lino D’Armi