Comunità parrocchiali e vocazioni. Parla un parroco
Un terreno inaridito?
a cura di Michele Gatta
Da dove nascono oggi le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata? E' quasi unanime la constatazione che una delle fonti nuove più feconde sono i Movimenti ecclesiali nati in questo ultimo squarcio di secolo. E le parrocchie che hanno una lunga tradizione in questo campo si sono forse inaridite? Cosa fare perché in esse i giovani siano capaci di rispondere ad una chiamata di Dio particolarmente impegnativa? Lo abbiamo chiesto a don Bojan Ravbar, parroco nella diocesi di Koper (Jugoslavia), che ha parlato su questo argomento al recente Sinodo.
GEN'S: C'è chi pensa che le
parrocchie da molte parti abbiano ormai esaurito la loro fecondità vocazionale.
Secondo lei, è davvero illusorio attendersi vocazioni che fioriscano dalla
comune vita parrocchiale o lei intravede nuovi orizzonti all'interno di una
struttura ormai così consolidata?
In base alla mia esperienza e ai fatti che in questi anni ho potuto raccogliere a contatto con parroci della mia terra e con tanti altri d'Europa ed oltre, io penso che anche oggi ci si possa attendere tanto dalle comunità parrocchiali, a condizione però che siano vive; che siano cioè - secondo la nota espressione della Lumen Gentium - “famiglia di Dio”, “fraternità animata dallo spirito di unità” (LG 28).
Assistiamo oggi, provvidenzialmente, grazie anche ai nuovi carismi di cui Dio va arricchendo la Chiesa, a un rifiorire di numerose comunità parrocchiali. Fra i tratti salienti di questo rinnovamento me ne vengono in evidenza soprattutto quattro. Sono i ben noti cardini sui quali, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli, poggiava la vita delle prime comunità cristiane (cf At 2, 42 et passim).
Innanzi tutto l'impatto vitale con la Parola di Dio. “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli”, raccontano gli Atti (2, 42). Anche oggi, per l'impulso non di rado dei moderni movimenti, in non poche comunità parrocchiali la Parola di Dio ha ricominciato ad occupare un posto centrale e ci si rende conto che essa non soltanto va ascoltata e celebrata, ma soprattutto vissuta e poi condivisa. E' sempre più frequente, infatti, l'uso di scambiarsi non tanto considerazioni sull'una o l'altra lettura, ma esperienze concrete scaturite dalla vita della Parola. E si sperimenta come questo modo di fare abbia un'eccezionale capacità di creare la comunità: suscita un nuovo stile di vita, annoda rapporti fra persone prima l'una verso l'altra indifferenti.
Il secondo cardine: l'unione fraterna. “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede”, dicono gli Atti, “aveva un cuore solo e un'anima sola” (At 4, 32). Vengono in rilievo oggi, fra tutte le parole della Scrittura, in particolare quelle che riguardano l'amore. Ne nasce nelle parrocchie un'impegno nuovo e concreto di amarsi a vicenda. Non ci si rassegna ad essere massa anonima, ma si vuole essere comunità per davvero. E allora si mette in moto la fratellanza cristiana, si fa strada uno spirito di famiglia e non di rado sbocciano spontaneamente anche forme di comunione di beni avvicinando la realtà a quanto viene affermato della comunità degli Atti: “e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4, 32).
Il terzo cardine: l'eucaristia,
la frazione del pane. La vita di comunione, dove si fa
storica e reale, porta alla riscoperta del significato profondo dei sacramenti,
unificando nel mistero pasquale liturgia e vita. “Ogni giorno - dicono gli Atti
-tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa, prendendo i
pasti con letizia e semplicità di cuore” (At 2, 46). Così in queste
comunità rinnovate la celebrazione eucaristica è il punto di arrivo e di
partenza di tutta la loro vita. Rimangono rinvigorite nella loro unità dal
Corpo di Cristo di cui si nutrono, e ne danno testimonianza, come nei primi
tempi del cristianesimo, presentandosi al mondo come il miracolo di una
creazione nuova: un solo corpo di molte membra.
Il quarto cardine: la
preghiera, l’unione con Dio. In una vita di comunione così intensa scaturisce
un rapporto del tutto nuovo con Dio. Viene naturale, in seno a queste comunità,
lodare Dio con tutta la vita e prendere coscienza che il cammino della santità
non è riservato a poche persone ritirate dal mondo ma è possibile per tutti,
soprattutto se lo si percorre insieme.
La comunità come
scuola di vita cristiana
Insomma, in queste comunità
così rinnovate si avvera un fatto straordinario: proprio come le prime
comunità, sperimentano la luce del Risorto, la sua presenza promessa a coloro
che sono uniti nel Suo nome (cf Mt 18, 20). “Sono uniti i fedeli
nell’amore, nella carità di Cristo?”, si chiedeva Paolo VI visitando una
parrocchia romana. E concludeva: “Di certo questa è una parrocchia vitale; qui
c’è la vera Chiesa; giacché è rigoglioso, allora, il fenomeno divino-umano che
perpetua la presenza di Cristo fra noi” (Alla parrocchia di S. Maria
Consolatrice, Insegnamenti di Paolo VI, 1985 II, pp. 1072-1074).
Non è difficile costatare
come parrocchie di questo genere siano una vera scuola di vita cristiana.
In esse, per la legge della carità fraterna, si impara a vivere per gli altri,
per cui non risulta difficile poi armonizzare tra loro le varie associazioni e
movimenti, poiché ciascuno è ben conscio che occorre amare il gruppo altrui
come il proprio.
Non solo. “La luminosa
vocazione della comunità ecclesiale”, ha detto nel 1986 il S. Padre Giovanni
Paolo II ad un folto gruppo di parrocchiani di tutto il mondo, “è di sforzarsi
di divenire, in un certo senso, un’icona della SS. Trinità (...). Compaginate
dall’amore secondo questo modello, le vostre parrocchie potranno esercitare
un’azione efficace nei confronti delle anime da avvicinare a Cristo” (3/5/86).
Comunità veramente unite secondo questo modello hanno infatti un’eccezionale fecondità
apostolica. Non sono sopraffatte dal mondo, ma sperimentano in certo senso
quanto ancora riferiscono gli Atti: “Intanto il Signore aggiungeva alla
comunità quelli che si erano salvati” (At 2, 48).
Suscitano autentiche
conversioni e non è raro ascoltare in esse espressioni come questa: “Qui, in
mezzo a voi, ho ritrovato Dio”.
Il fiorire di vocazioni:
alcune esperienze
GEN’S: Dicono che i
giovani oggi possono anche aggregarsi per motivi religiosi e umanitari al fine
di realizzare attività a favore dei poveri o degli emarginati, ma non sono
capaci di assumere impegni seri per tutta la vita. Lei cosa ha notato nelle
comunità parrocchiali di cui parlava?
Abbiamo costatato che quando
la parrocchia passa da pura aggregazione di battezzati ad essere una comunità
di persone impegnate a vivere il vangelo e testimoni del Risorto, anche oggi
tanti, giovani ed adulti, sentono nascere o rifiorire in sé quella chiamata che
Dio aveva loro rivolta ma che non era stata avvertita o si era spenta. Il fatto
è che la persona umana, creata com’è ad immagine del Dio uno e trino, porta
sempre in sé l’anelito ad una vera vita di comunione. Quando la trova, si apre
e si manifesta finalmente per quella che è. Viene allora in luce su ciascuno il
disegno di Dio e si vede orientarsi chi al sacerdozio o al diaconato, chi alla
vita religiosa, chi ad una vita laica impegnata. Persino persone lontane
dalla Chiesa, imbattendosi in questo tipo di vita, finiscono non di rado
col consacrarsi al servizio di Dio.
Penso ad esempio ad un
giovane svizzero che aveva perso il contatto con la Chiesa, subito dopo la
prima comunione. Invitato ad una riunione in parrocchia rimane così colpito dal
rapporto fra le persone che decide di ritornarvi ancora. Scopre ben presto il
segreto di questa vita. E’ Dio. “E di colpo mi sono reso conto - sono le sue
stesse parole - che Dio non solo è presente tra coloro che si amano
sinceramente, ma anche nella Chiesa, nella vita di ogni uomo, nell’eucaristia,
dovunque”. Dall’incontro con una comunità viva nasce la scoperta di Dio e della
Chiesa. Inizia così una vita nuova che sboccia nel sacerdozio.
Un altro caso: un
quindicenne, alquanto “imborghesito”, sente emergere in sé poco alla volta la
vocazione al sacerdozio. Ma non si sente di rispondervi. Dopo la venuta di un
parroco, che con tutte le forze si butta ad animare la parrocchia, egli si
trova coinvolto nel dinamismo di una vera comunità. Progressivamente la vita di
comunione ricercata, pagata di persona, vissuta con intensità, marchia
l’esistenza di quel giovane, allenandolo al rapporto con gli altri ed
arricchendolo dei doni di ognuno. La sua chiamata ne risulta rinvigorita.
Capisce che il sacerdozio è
la risposta coerente a quella voce che con sempre più insistenza lo chiama a
servire la comunità. Oggi questo giovane sacerdote lavora per la conferenza
episcopale del suo Paese.
Un’esperienza della mia
terra. Una famiglia abbandonata dal padre viene accolta e aiutata dalla
comunità parrocchiale. Madre e figli scoprono così la via della fede e si
accostano per la prima volta ai sacramenti. Ora sono tutti impegnati nella vita
della comunità e il figlio maggiore ha risposto alla chiamata al sacerdozio.
Dimensione comunitaria della
chiamata
GEN’S: Mi sembra di
capire da questi episodi che la comunità ha un suo ruolo nel far fiorire e nel
portare avanti le vocazioni.
Non sempre, quando si tratta
di vocazione, si pensa abbastanza al ruolo importante della comunità.
Spesso, anzi, si può essere portati a considerare la chiamata come un fatto
puramente personale, fra il singolo e Dio. Ma ciò comporta il rischio che uno
finisca per identificare la voce di Dio con le proprie condizioni
psicologico-spirituali.
In realtà l’iniziativa della
chiamata parte sempre da Dio e mai dal soggetto: “Non voi avete scelto me, ma
io ho scelto voi” (Gv 15, 16). Tutto questo è più evidente in un
contesto di comunione. Sappiamo di fatto che non di rado, quando una comunità è
viva, a scoprire la propria vocazione non è l’individuo da solo. Egli viene
aiutato dalla comunità e da chi, come il parroco, ha in essa una particolare
responsabilità e grazia per il discernimento e l’accompagnamento vocazionale.
Ritorna così pienamente in luce, nella vocazione al sacerdozio, un aspetto
sempre presente nella tradizione della Chiesa: il contributo di tutto il
popolo sacerdotale.
E’ successo per esempio che
un giovane che aveva già i suoi programmi per il futuro riguardanti lo studio
ed una eventuale famiglia, inserito profondamente nella vita di comunione ha sentito la chiamata al sacerdozio.
Nei dubbi che poi si affacciarono e nelle scelte ulteriori, la chiarezza della
voce di Dio, che si esprimeva attraverso la comunità, lo sostenne lungo tutto
il percorso della formazione, fino all’ordinazione. Oggi è un sacerdote
realizzato, profondamente felice del cammino intrapreso.
Ma il ruolo delle comunità
parrocchiali non si limita a suscitare vocazioni. Con la loro vita di comunione
fra persone di tutte le condizioni e vocazioni offrono anche un prezioso
contributo di formazione. Ho notato poi, con sorpresa, come in alcune parrocchie
nascano addirittura spontaneamente delle forme di convivenza che diventano un
vero e proprio “pre-seminario”.
Un vice-parroco in Spagna
con la sua testimonianza ha suscitato un’intensa vita di comunione fra giovani
e adulti. Specie per i primi è sempre aperta la sua casa. Egli li ascolta a
fondo, niente di più. A un certo punto il vescovo affida a quel sacerdote due
futuri diaconi perché vivano con lui. Dopo qualche tempo in due giovani della
parrocchia, che non ci pensavano assolutamente, nasce la vocazione a percorrere
la stessa strada. Col permesso del vescovo anch’essi vanno quindi per un anno
ad abitare con quel sacerdote. L’anno dopo entrano nel seminario maggiore. Nel
frattempo un terzo giovane sente la loro stessa chiamata. Ne segue, voluta dal
vescovo, la nascita di una comunità di orientamento vocazionale.
Concludo con un’esperienza
dal Brasile. In una parrocchia con grossi problemi sociali, il parroco riesce
ad avviare una comunità viva. Dopo qualche tempo alcuni giovani esprimono il
desiderio di diventare sacerdoti. Non potendo inviarli subito in seminario,
perché devono ancora completare la formazione scolastica, il parroco ne parla
col consiglio parrocchiale.
Poi, di comune accordo coi
laici, invita quei giovani ad abitare a casa sua. La comunità, pur povera, si
impegna a provvedere al loro sostentamento. Il vescovo, in visita pastorale,
rimane così colpito dalla vita di questi giovani e dell’intera comunità che
chiede al parroco di accogliere anche giovani di altre parrocchie. Così questa
parrocchia in cui non era mai fiorita una chiamata alla vita consacrata, ha
visto nascere in pochi anni ben 16 tra vocazioni al sacerdozio e alla vita
religiosa. Significativo il fatto che tutto questo è incominciato quando
l’équipe degli animatori - sacerdote e laici - ha deciso di impegnarsi a tutti
i costi a tener sempre viva, per l’amore reciproco, la presenza di Cristo tra
loro. E’ Gesù, infatti, che, presente nella comunità, anche oggi passa, si
ferma e chiama. E tanti, veramente tanti, sostenuti dalle loro comunità
rispondono con generosità al suo sguardo d’amore.
a cura di Michele Gatta