Intervista a Silvano Cola,
uditore al Sinodo sulla formazione sacerdotale
un’identità tratta dal vangelo
a cura di Enrico Pepe
Numerose sono le
Associazioni sacerdotali sorte negli ultimi decenni, spesso in seno a quei
Movimenti ecclesiali che il S. Padre ha definito “uno dei frutti più belli del
vasto e profondo rinnovamento spirituale promosso dall’ultimo Concilio” (Ai
movimenti ecclesiali, 2/3/87). Con la loro vita esse danno un contributo non
indifferente alla riscoperta dell’ identità del presbitero nella società di
oggi. Abbiamo intervistato su questo argomento don Silvano Cola, responsabile
del Movimento sacerdotale del Movimento dei focolari e uditore al Sinodo.
GEN’S: Invitato come
uditore al Sinodo, hai avuto modo di rappresentarvi una delle nuove
Associazioni sacerdotali. Quale, secondo te, il contributo di tali associazioni
alla vita sacerdotale?
Le caratteristiche di queste
fraternità sono molto varie e differenziate, secondo il carisma da cui ognuna è
nata e a cui si ispira nel portare avanti la vita spirituale dei propri membri,
ma non di rado si può notare che lo Spirito Santo in esse sottolinea la visione
del sacerdote che emerge dai vangeli, quella che Gesù stesso ha pensato e
voluto, e che del resto la Chiesa ha sottolineato con innumerevoli documenti.
Lo Spirito oggi spinge questi sacerdoti - sono migliaia a mia conoscenza - a
seguire le linee di formazione che il Cristo stesso ha adottato per i suoi
primi sacerdoti.
GEN’S: Emerge, dunque,
con l’apporto anche delle nuove Associazioni sacerdotali un’immagine del
presbitero per così dire “evangelica”. Potresti enucleare maggiormente queste
linee evangeliche cui accennavi?
Sette sono i punti messi
maggiormente in rilievo.
1. Gesù, dopo aver profuso
su tutti, ma in particolare sui suoi primi sacerdoti, la sua dottrina, dopo
averli resi testimoni degli strepitosi miracoli di cui è costellata la sua vita
pubblica, dopo aver fatto loro intendere che tutto il suo agire era motivato
dalla volontà di compiere unicamente il volere del Padre, prima della sua
passione diede a loro per primi, proprio a loro, un comandamento nuovo:
“Amatevi gli uni gli altri” (Gv 13, 34; cf 15, 12) e lo sottolineò con
la lavanda dei piedi.
2. Quella stessa sera,
inaugurando la nuova Alleanza, donò ad essi per primi il pane della vita, il
suo corpo ed il suo sangue, vincolo d’amore, garanzia dell’attuazione di questo
suo comandamento.
3. Sceso verso il torrente
Cedron pregò il Padre con quella preghiera, che è detta anche sacerdotale,
perché tutti, e prima di ogni altro i suoi sacerdoti, siano uno con Lui e il
Padre.
4. Dopo l’agonia dell’Orto
fu crocifisso, e nell’abbandono totale dimostrò quale fosse la misura
dell’amore da Lui richiesta verso gli altri sacerdoti prima di tutto.
5. Ai piedi della croce
diede a tutti, ma specialmente ad un sacerdote per tutti i sacerdoti, una
madre, Maria: “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv19,
27).
6. Risuscitato il primo
giorno della settimana e apparso ai suoi discepoli conferì loro lo Spirito
Santo, con sacri poteri.
7. Prima di ascendere al
cielo, infine, inviò i suoi a predicare il vangelo a tutte le genti (cf Mt 28,
19).
Centralità dell’amore
reciproco
GEN’S: Certamente in
questo confronto con il vangelo sine glossa, i presbiteri possono
ritrovare le caratteristiche fondamentali della propria identità. Ma potresti
illustrare meglio i riflessi di questi punti nella vita dei sacerdoti?
In effetti, molti sacerdoti
delle nuove associazioni e fraternità sacerdotali guardano oggi a questi brani
del Nuovo Testamento, per sapere come devono essere, per conoscere la loro
identità.
Come Gesù, questi sacerdoti
si sforzano quindi innanzi tutto di vivere in profonda unione col Padre,
cercando di conformarsi in tutto ad ogni sua volontà. In tal modo ritrovano
l’unità interiore e l’equilibrio della vita, e danno la stessa importanza allo
studio come al riposo, alla preghiera come all’attività pastorale, evitando
così l’attivismo esagerato.
Si impegnano ad attuare in
tutta la sua radicalità, innanzi tutto fra loro, il comandamento nuovo, cuore
del vangelo, sintesi della legge. Lo mettono a base di ogni loro attività:
“Ante omnia...” (cf 1 Pt 4, 8). Il comandamento nuovo porta questi
sacerdoti ad essere anche pronti a dare la vita l’uno per l’altro: “Nessuno ha
un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici” (Gv 15, 13).
Rifacendosi a questa misura essi hanno trovato il modo per essere un cuor solo
ed un’anima sola e anche per realizzare spesso, con successo, forme varie di
vita comune.
Espressioni e conseguenze
della vita di comunione
In questa vita di comunione
si scambiano le loro esperienze spirituali, si aiutano vicendevolmente e
realizzano spesso tra loro la comunione dei beni anche materiali
vincendo così i pericoli di
una vita borghese. S. Basilio Magno osservava con arguzia: “Gesù, per
invogliare i suoi discepoli a osservare il ‘suo comandamento’ non richiede loro
né prodigi né miracoli, ma li assicura che ‘tutti si renderanno conto che siete
miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri’ (...). Infatti il nostro
Creatore ha voluto che noi avessimo bisogno gli uni degli altri proprio perché
viviamo in unità gli uni con gli altri... Del resto, se tu vivi da solo, a chi
puoi lavare i piedi? di chi puoi prenderti cura?” (San Basilio, Regulae
fusius tractatae, 3, 1-2; 7, 4).
Nasce allora tra i sacerdoti
quello spirito di famiglia soprannaturale, che supera per intensità e
profondità gli stessi vincoli della famiglia naturale e fa sperimentare loro il
Regno di Dio. E trovano così quella completezza umano-divina che li porta a
vedere il celibato non come problema o come rinuncia, bensì come un più
d’amore.
Questa fraternità effettiva
li immunizza dallo spirito del mondo e dà loro la possibilità di aprirsi ad
ogni problema senza esserne sommersi. Sono quindi in grado di istaurare tutti
quei dialoghi che oggi la Chiesa sente quanto mai necessari. Si può forse dire
che se il Vaticano I aveva dato un forte impulso alla formazione intellettuale
dei sacerdoti, oggi lo Spirito Santo ha voluto accentuare la “via della vita”,
quella dell’amore, che permette alla Chiesa di svelarsi come autentica icona
della Trinità nella storia.
GEN’S: Avevi indicato
ancora altri punti: l’eucaristia, la preghiera di Gesù per l’unità...
In effetti, troppo arduo
sarebbe questo ideale della fraternità sacerdotale se non fosse Gesù stesso ad
avervi posto il solidissimo fondamento: l’Eucaristia. Essa attua la Chiesa
nella sua essenza più profonda, come comunione, come Corpo di Cristo, e prima
di tutto fra i sacerdoti che così vivono. Essa li inabissa nella preghiera,
nell’adorazione, nella contemplazione. Legata com’è al sacerdote, fa
intravvedere in lui il divino di cui è investito e lo rende testimone del
mistero.
Testimonianza tangibile
dell’unità...
Poi l’unità. La preghiera di
Gesù.
Nell’Eucaristia e nell’amore
vicendevole questi sacerdoti trovano il modo di attuarla: “Come tu, Padre, sei
in me e io in te, così siano anch’essi in noi una cosa sola”
(Gv 17, 21). Una sola
cosa anzitutto col Santo Padre, coi loro vescovi e fra loro. Nella fedeltà più
piena al Papa, nell’unità profonda con i propri vescovi e tra loro, essi danno
quella testimonianza d’unità che, secondo la parola stessa di Gesù, più che
ogni altra cosa, conquista il mondo a Cristo: “una cosa sola, perché il mondo
creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). E’ questa unità il punto di
partenza di ogni loro sforzo di evangelizzazione. Anche il nostro S. Padre,
rivolgendosi a Philadelphia a tutti i sacerdoti statunitensi, ha detto
chiaramente: “Il sacerdozio di Cristo è uno, e questa unità deve essere attuale
ed effettiva tra i compagni da Lui scelti (...) Come potrà il mondo credere che
il Padre ha mandato Gesù, se non vede in modo tangibile che coloro i quali
credono in Lui hanno ascoltato il suo comandamento di ‘amarsi a vicenda’? E
come potranno i credenti essere assicurati che questo amore è concretamente
possibile se non hanno l’esempio
dell’unità dei loro
sacerdoti, di coloro che Gesù stesso si forma nel sacerdozio come suoi
compagni?” (Philadelphia, 4/10/79, Ai sacerdoti statunitensi).
... per un impatto effettivo
nella società moderna
GEN’S: Questo riferimento
ai cardini evangelici dell’istituzione del sacerdozio quale via indica, secondo
te, per un impatto efficace sulla nostra società che tanti ormai chiamano
“post-cristiana”?
Vi stavo già accennando.
Sacerdoti così uniti, con Cristo sacerdote in mezzo a loro, danno tale
testimonianza che i laici vengono trascinati a una analoga comunione di vita.
Nascono così comunità vive che a loro volta testimoniano Cristo, essendo nel
mondo il segno eloquente di una socialità nuova che ha per modello la stessa
comunione fra le divine Persone. “Vides Trinitatem - diceva S. Agostino - si
caritatem vides”. Sono centinaia le esperienze che testimoniano l’impatto che
comunità di questo genere hanno sui lontani e l’attrattiva che il loro esempio
suscita anche fra i fedeli delle altre religioni.
Si costata, inoltre, il
fiorire di nuove e solide vocazioni proprio attorno a queste forme di comunione
fra sacerdoti.
Questi sacerdoti non
dimenticano però il prezzo che Gesù ha pagato per generare la Chiesa. Guardando
Gesù Crocifisso, che ha consumato in sè ogni dolore e ricomposto ogni
lacerazione, essi vedono nel dolore la possibilità di fecondare il loro lavoro.
Non si scoraggiano nelle difficoltà, si aiutano a vedere in ogni sofferenza
personale e altrui il suo Volto, vedono in ogni peccatore o lontano da Dio un
candidato all’unità con Dio e con i fratelli, sentono in ogni separazione fra
le chiese cristiane, in ogni non-comunione tra sacerdoti e vescovi, tra
sacerdoti, tra Chiesa e mondo, il grido stesso di Gesù: “Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”, e assumono in sé ogni dolore per trasformarlo in amore. E da Lui
imparano come Egli vuole i suoi ministri: sacerdoti e vittima. Riscoprono così
il valore del proprio sacerdozio regale come base del ruolo ministeriale che
sono chiamati a svolgere.
All’insegna del mistero
pasquale
un sacerdozio non clericale
GEN’S: In un mondo che
contesta ogni forma di potere, come fa il sacerdote ad esercitare il suo
mandato?
La risposta, mi sembra,
viene ancora dai principi evangelici cui accennavamo. I sacerdoti che rivivono
in sé il mistero d’amore della morte e risurrezione del Cristo, sono ben
coscienti di essere stati investiti da Lui di poteri straordinari, ma non
possono dimenticare le parole di Gesù: “Se dunque, io il Signore e il Maestro,
ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv
13, 14). E ciò li spinge costantemente ad un atteggiamento di servizio che
li preserva dal clericalismo e dall’autoritarismo così invisi all’uomo di oggi,
tanto più quando vivono in comunione con i laici, pienamente coscienti del
sacerdozio regale che li accomuna.
Devono annunciare la Parola
di Dio e lo fanno. Naturalmente sanno che il loro annuncio è di ben poca
efficacia se a precederlo non è la loro testimonianza. Innamorati della Parola
di Dio, si aiutano a vicenda a viverla, giorno per giorno. E nell’annuncio
convalidato dalla loro esperienza, colgono evidenti e insperati frutti. Per
esercitare però con competenza i poteri di cui sono investiti e per la loro
predicazione essi si preparano con uno studio diligente ed un costante
aggiornamento.
E infine prendono in casa
Maria. Da Lei, che ha generato Gesù, imparano a rigenerarlo misticamente in
mezzo agli uomini. In Lei vedono, come Giovanni, il modello della Chiesa che
sono chiamati a servire. Ella li custodisce e ricorda loro sempre che ciò che
vale è l’amore e che senza l’amore, che è servizio, anche il ministero
sacerdotale si svuota della sua efficacia e della sua bellezza.
Posso testimoniare, a gloria
di Dio, che tanti, tantissimi sacerdoti e seminaristi, che s’ispirano a questi
principi, hanno trovato nuovo e grande slancio nella loro vita e nel loro ministero,
hanno trovato un aiuto spesso decisivo nei momenti difficili, hanno veramente
edificato la Chiesa.
a cura di Enrico Pepe