Intervista a Mons. Klaus
Hemmerle su alcune priorità nella formazione presbiterale
a cura di Hubertus
Blaumeiser
Il recente Sinodo dei
vescovi ha offerto l’occasione di un esame generale, a livello mondiale, della
situazione della formazione sacerdotale. Ne sono fiorite approfondite
considerazioni consegnate al Santo Padre sotto forma di 41“propositiones”, in
vista di un documento post-sinodale. Abbiamo conversato conmons. Klaus
Hemmerle, vescovo di Aquisgrana e relatore del circolo minore di lingua
tedesca, sulle prospettive di fondo nelle quali si inserisce la formazione dei
candidati al presbiterato.
GEN’S: Nel suo discorso
conclusivo al sinodo, il Santo Padre ha sottolineato molto lo stretto legame
tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Quale il posto del sacerdozio
comune nel cammino verso il ministero sacerdotale?
Vorrei rifarmi qui a una
bella espressione di Johannes Colson citata dal Card. Ratzinger nella sua
relazione teologica al momento dell’avvio dei lavori del Sinodo: “La funzione
essenziale dei sacerdoti è la seguente: conservare il popolo nella coscienza
della sua natura sacerdotale e così averne cura, perché viva come tale, e con
tutto il suo essere glorifichi Dio”.
Per poter compiere tale
chiamata, il presbitero dev’essere cosciente della sua propria appartenenza al
popolo sacerdotale e perciò deve vivere il suo battesimo in una maniera
trasparente e decisa. Tutto ciò che appartiene alla sua vita, dev’essere
abbracciato dalla sua donazione con Cristo al Padre, e al tempo stesso in tutto
dev’essere riconosciuto il dono dell’amore del Padre al figlio prediletto.
Questo implica una conduzione della vita quotidiana secondo il vangelo, una
vita da una parte non lontana dalle condizioni della gente, ma al tempo stesso
una vita che fa capire come e perché la sequela di Cristo con l’esercizio dei
consigli evangelici sia il “caso serio”, vale a dire la realizzazione radicale,
della chiamata comune dei cristiani.
Vivere prima da cristiano,
dunque, per poi esercitare degnamente il ministero presbiterale: questa mi
sembra un’istanza di fondo dell’odierna formazione sacerdotale. L’amore
appassionato per Cristo e l’amore appassionato di Cristo verso tutti sono la
base dell’esistenza del presbitero. Vivere come battezzato -essere seguace di
Cristo pronto a seguirlo nella propria esistenza - per diventar capace di
assumere la missione presbiterale per il popolo di Dio: questo è il naturale
iter della formazione al sacerdozio ministeriale. La differenza specifica del presbitero
presuppone il genus comune dell’essere cristiano e discepolo.
GEN’S: Pensando alla
concretizzazione di questo iter, che cosa secondo lei va messo maggiormente in
luce?
Deve essere molto chiaro che
il cammino della formazione al sacerdozio ministeriale è personale, ma non
individuale. Una comunità viva che allena ad un rapporto vicendevole di
servizio, di dialogo, di farsi uno con l’altro, una scuola dell’amore
scambievole: questa mi sembra una configurazione della formazione presbiterale
che è allo stesso tempo fedele alla tradizione e profondamente rinnovata.
A questo riguardo, mi
sembra, possiamo imparare molto dai carismi ecclesiali che lo Spirito Santo ha
suscitato nella Chiesa in quest’epoca per ravvivare la comunione.
GEN’S: Nel suo intervento
al Sinodo lei ha ribadito la necessità di applicare alla formazione
presbiterale i principi dell’ecclesiologia di comunione. Potrebbe
illustrarcene, a rapidi tratti, le onseguenze?
Ispirandosi
all’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II, i due Sinodi dell’85 e
dell’87 hanno sviluppato la loro linea ecclesiologica a partire dai tre
concetti principali mysterium-communio-missio.
Applicandoli alla formazione
presbiterale, dobbiamo innanzitutto chiederci: Imparano i nostri alunni il
senso del mistero? Oggi per un verso il senso del mistero viene
soffocato da una mentalità solamente funzionalistica e per l’altro verso ci si
ritira in una misteriosità nebulosa che spegne la persona anziché renderla
capace di rapportarsi con l’altro. L’alternativa è il mistero pasquale, quel
mistero che ci fa vivere nella donazione, nel rapporto. Non un Dio solitario o
impersonale, ma il Dio trinitario, il Dio-Comunione è l’unica speranza per
l’umanità che tende verso l’unità. Non solo pregando Dio, ma vivendo in tutto a
mo’ della Trinità, dovunque e sempre, seguendo il comandamento nuovo come legge
di vita, si apprende il mistero e si apprende anche una preghiera che sostiene
la vita.
Inteso così il mistero porta
da sé a vivere la comunione. Tale comunione è molto diversa da un
sentimento solamente umano soggettivo o da un sistema collettivo oggettivo.
Significa vivere attingendo all’amore personale di Cristo, che ci è offerto
nella Parola di Dio e nei Sacramenti, e realizzare in virtù di esso nuovi rapporti
fra di noi perché tutti siano uno e il mondo creda. Questa è la misura che non
può non modellare anche la vita nei nostri seminari o centri formativi. Chi
vuol essere mandato per portare il popolo ad attingere alle fonti dell’amore di
Cristo, deve vivere lui stesso attingendo a queste fonti e vivere egli stesso
quest’amore. Quest’amore, oltrettutto, fa sviluppare e maturare l’umano e
immediatamente, senza rottura e scissione, lo divinizza.
Tale amore darà al
presbitero la disponibilità e il coraggio della missio. Non come dominio
sugli altri, ma come servizio che unisce in sé la testimonianza e il dialogo,
la “confessio” e l’ascolto.
Mysterium, communio, missio
sono dimensioni al tempo stesso umane, spirituali, teologiche, pastorali.
Esse non debbono essere staccate l’una dall’altra, ma viste e vissute insieme.
Penso
che siano dimensioni fondamentali nello sforzo di formare presbiteri per il
terzo millennio e pertanto mi sembra effettivamente uno dei compiti più urgenti
tradurre l’ecclesiologia che si incentra nella triade mysterium, communio,
missio in un processo integrale di formazione.