Le prospettive indicate dal
Papa a chiusura dell’ottava Assemblea sinodale
di Giovanni Paolo II
Come di consueto, a chiusura del Sinodo il Papa ha offerto una sua sintesi dei lavori. Ricco di prospettive e di sottolineature significative, il testo si propone ad un’attenta meditazione.
E’con gioia che adempio, in
comunione con tutti voi, cari confratelli nell’episcopato, al mio dovere di
rendere grazie al Signore, innanzitutto per l’istituzione stessa del Sinodo, e
poi per lo svolgimento e l’attività di questa VIII Assemblea Generale
ordinaria.
1. Infatti, venticinque anni
ci separano dalla decisone presa da Paolo VI, mio predecessore di venerata
memoria, in occasione dell’ultima sessione del Concilio Vaticano II, di
istituire il Sinodo dei vescovi. Questa decisione è stata veramente un atto
provvidenziale. Nel quarto di secolo trascorso, abbiamo potuto provarne
l’efficacia ed apprezzarne le virtù.
Il Sinodo dei vescovi
risponde alle necessità della Chiesa quando il successore di Pietro deve
assolvere, con l’aiuto dei suoi confratelli nell’episcopato, in una situazione
complessa e soggetta a continui mutamenti, i compiti che derivano dal suo
mandato apostolico di pastore
universale. In questo modo
il Sinodo costituisce un’attualizzazione e un’illustrazione della natura
collegiale dell’ordine episcopale (cf Lumen Gentium, n. 22-23; e Nota
Previa, Christus Dominus, n. 4-10), di cui il Concilio Vaticano II
ha preso, per così dire, una rinnovata coscienza.
Rispetto a quelle di un
Concilio, le competenze di un Sinodo sono per loro natura, più limitate. In
compenso, la sua organizzazione è più agevole. L’attuale situazione del mondo
esige talvolta una presenza ed un’azione dei rappresentanti del Collegio che,
in quanto successore del Collegio degli apostoli, ha ricevuto la missione di
ammaestrare e di governare la Chiesa. Il Sinodo è in grado di rispondere a
queste esigenze.
Singolare esperienza di
comunione
Tutti, e il Papa in primo
luogo, siamo infatti consapevoli che è grazie al Sinodo che un certo numero di
problemi cruciali hanno potuto essere affrontati e hanno trovato una risposta
collegiale in cui è la Chiesa stessa, nella sua dimensione universale, che ha
fatto sentire la sua voce.
D’altra parte, nelle
condizioni così diverse in cui la Chiesa di Cristo esercita oggi la sua
missione, il Sinodo è al servizio dell’unità della Chiesa, mistero di comunione
che riflette in sé il mistero trinitario di Dio stesso.
Il Sinodo costituisce una
singolare esperienza di comunione episcopale nella universalità, che rafforza
il senso della Chiesa universale, la responsabilità dei vescovi verso la Chiesa
universale e la sua missione, in comunione affettiva ed effettiva attorno a
Pietro. Grazie alla istituzione del Sinodo si rende possibile con scadenze periodiche,
far sentire la voce delle diverse chiese particolari ed ascoltare esperienze
dei fratelli nell’episcopato, come è accaduto in questo Sinodo nel quale, per
la prima volta, hanno partecipato rappresentanti di alcuni Paesi dell’Est.
2. Per sua natura, il Sinodo
esercita una funzione consultiva. Tuttavia, in casi determinati, può essergli
conferito un potere deliberativo dal Sovrano Pontefice, cui spetta di
ratificarne le decisioni (cf Apostolica Sollicitudo, et can. CIC 343).
L’esperienza dei Sinodi precedenti ci chiarisce il senso di questa distinzione
tra consultivo e deliberativo. L’estesa consultazione che la istituzione
sinodale ha permesso, in occasione di ogni assemblea, non è mai rimasta senza
frutti, neppure sul piano delle decisioni. Per la loro struttura di lavoro, i
Sinodi non sono in grado di pubblicare immediatamente un documento che assuma
forma deliberativa.
Ciò nonostante, il documento
post- sinodale si ispira, e si potrebbe dire che contenga ciò che è stato
programmato in comune. Si può quindi affermare che le proposte sinodali
assumano indirettamente l’importanza di decisioni. Poiché, quando, in seguito
ad un Sinodo, il Papa ne pubblica il documento corrispondente, egli si premura
di esprimere tutta la ricchezza delle riflessioni e delle discussioni che hanno
portato alle proposte sinodali come pure il parere, per quanto possibile,
dell’Assemblea sinodale.
Punto di partenza: il popolo
sacerdotale
3. Durante i lavori di
questa VIII Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, lo Spirito
Santo ci ha permesso di essere al servizio di una causa di grandissima
importanza per la vita di tutta la Chiesa: la formazione sacerdotale. E’ la
seconda ragione che ci spinge a rendere grazie.
Il tema di quest’anno
costituisce la risposta a una richiesta sorta dal Sinodo del 1987 sulla
vocazione e la missione dei laici. Infatti molti laici espressero lo stretto
legame fra l’argomento dell’anno 1987 e quello di quest’anno: ricordo almeno la
voce del signor Patrik Keagan. Più si sviluppa l’apostolato dei laici, e più
fortemente viene percepito il bisogno di avere dei sacerdoti e sacerdoti che
siano ben formati, sacerdoti santi. Così la vita stessa del Popolo di Dio
manifesta l’insegnamento del Concilio Vaticano II sul rapporto fra sacerdozio
comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico. Poiché nel mistero della Chiesa
la gerarchia
ha un carattere ministeriale
(cf Lumen Gentium, 10).
Più si approfondisce il
senso della vocazione propria dei laici, più si evidenzia ciò che è proprio del
sacerdote.
Identità del sacerdozio
ministeriale
4. Così è la vita stessa
della Chiesa ad indicare quale sia la via per uscire dalla crisi sull’identità
del sacerdote. Questa crisi era nata negli anni immediatamente successivi al
Concilio. Si fondava su una errata comprensione, talvolta persino volutamente
tendenziosa, della dottrina del magistero conciliare. Qui indubbiamente sta una
delle cause del gran numero di perdite subite allora dalla Chiesa, perdite che
hanno gravemente colpito il servizio pastorale e le vocazioni al sacerdozio, in
particolare le vocazioni missionarie.
E’ come se il Sinodo del
1990, riscoprendo, attraverso tanti interventi che abbiamo ascoltato in
quest’aula, tutta la profondità dell’identità sacerdotale, sia venuto a
infondere la speranza dopo queste perdite dolorose. Questi interventi hanno
manifestato la coscienza del legame ontologico specifico che unisce il
sacerdote a Cristo, Sommo Sacerdote e Buon Pastore.
Questa identità sottende
alla natura della formazione che deve essere impartita in vista del sacerdozio,
e quindi lungo tutta la vita sacerdotale. Era questo lo scopo proprio del
Sinodo.
Di fronte al problema delle
vocazioni
5. Ma prima di sviluppare
questo punto, vorrei soffermarmi su un problema che deve ricevere tutta la
nostra attenzione, poiché l’avvenire dipende per buona parte da esso: voglio
parlare del problema delle vocazioni. Durante questo Sinodo, il Dicastero
direttamente interessato è intervenuto per illuminarci a questo proposito.
E’ necessario affrontare il
problema nella sua totalità, in modo analitico e in modo sintetico, aiutandosi,
all’occorrenza, con gli studi scientifici.
Possiamo, è vero, constatare
nell’insieme un certo aumento delle vocazioni. Ma la loro diffusione è molto
diversa: in una parte si soffre di una drammatica mancanza di vocazioni, in
un’altra se ne presentano in abbondanza. Da qui sorgono degli interrogativi:
cos’è che caratterizza le vocazioni? Da dove provengono? Da quali fattori
dipendono? Cosa cercano i giovani nel sacerdozio?
Molti Padri sinodali, alcuni
auditori, hanno ricordato l’urgenza dell’opera delle vocazioni, alcuni ci hanno
informati dei risultati incoraggianti che hanno ottenuto.
Ma la prima risposta che la
Chiesa dà sta in un atto di fiducia totale nello Spirito Santo.
Siamo profondamente convinti
che questo fiducioso abbandono non deluderà se, peraltro restiamo fedeli alla
grazia ricevuta. Questa grazia, non bisogna cessare di domandarla con
insistenza, come ci insegna Cristo: “Pregate dunque il padrone della messe” (Mt
9, 38).
La preghiera per le
vocazioni deve essere costantemente incoraggiata ed intensificata. Tutto il
Popolo di Dio deve sentirsi impegnato in questo. La mancanza di sacerdoti è
certamente la tristezza di ogni Chiesa. Ma non è anche un invito ad un esame di
coscienza? Dobbiamo porci la domanda: non sarà forse legata al fatto che, da
parte nostra, abbiamo rattristato lo Spirito Santo (cf Ef 4, 30)?
6. E’ vero che altre
questioni, gravi, vengono poste quando la mancanza di sacerdoti è avvertita in
modo tragico, come ad esempio dinanzi al fenomeno angoscioso costituito
dall’offensiva di alcune sette.
Alcuni si sono domandati se
non sia il caso, in tali circostanze, di pensare all’ordinazione di viri
probati. Questa soluzione non è da prendersi in considerazione e al
problema posto occorre rispondere con altri mezzi. Come è noto, la possibilità
di fare appello a dei viri probati è troppo spesso evocata nel quadro di una
propaganda sistematica ostile al celibato sacerdotale. Tale propaganda trova il
sostegno e la complicità di alcuni mass media.
Una più equa distribuzione
dei sacerdoti nel mondo
Occorre quindi cercare,
senza indugio, altre soluzioni a questo angoscioso problema pastorale. Non
dovrebbe forse ogni vescovo, e con lui tutta la sua diocesi, prendere più
profondamente coscienza della missione comune che gli spetta
nell’evangelizzazione del mondo intero? Il Concilio Vaticano II, dopo Fidei
Donum, ha ricordato le esigenze dell’”universale comunione di carità” (Lumen
Gentium, 23).
Sarà incoraggiata quindi
l’intensificazione dell’aiuto che le diocesi più ricche di sacerdoti daranno a
quelle che ne sono carenti. Dinanzi alla grave minaccia che, tra l’altro,
rappresentano alcune sette, si veglierà affinché le comunità di fedeli in cui
la Messa, attualmente, non può essere celebrata ogni domenica a causa della
carenza di un numero sufficiente di sacerdoti disponibili, possano vivere e
rafforzarsi attraverso l’ascolto della Parola di Dio, l’accesso alla Santa
Comunione, la preghiera e l’unione fraterna.
La vita dei consigli
evangelici: testimonianza del Regno di Dio
7. Il Sinodo ha confermato,
senza possibilità di equivoci, la scelta del celibato sacerdotale, che è
propria del rito latino.
Questa scelta, che risale ad
un lontano passato, è rivelatrice di una profonda intuizione spirituale e
teologica, che ha percepito nella consacrazione sacramentale al sacerdozio
ministeriale il fondamento di un dono, di un carisma liberamente ricevuto ed autenticato
dalla Chiesa: il dono della castità nel celibato in vista di una dedizione
esclusiva e gioiosa della persona del sacerdote al suo ministero di servizio e
alla sua vocazione di testimone del Regno di Dio. Non è forse significativo che
a questo proposito molti Padri sinodali abbiano affiancato l’impegno del
celibato alla pratica degli altri consigli evangelici?
Riaffermando senza equivoci
la sua fedeltà al celibato sacerdotale, ed approfondendone i motivi, il Sinodo,
a nome di tutta la Chiesa, ha compiuto un grande atto di fede nella grazia
dello Spirito Santo. Sappiamo infatti che è lo Spirito Santo che guida la
Chiesa.
Formazione integrale
8. Il Sinodo si è quindi
rivolto con attenzione ai problemi relativi alla formazione, sia che si tratti
della formazione al sacerdozio, sia di quella che deve accompagnare il
sacerdote lungo tutta la sua vita (formazione permanente). Le riflessioni del
Sinodo hanno portato una serie di suggerimenti preziosi.
E’ stata così sottolineata
la necessità di una formazione integrale, che non trascuri alcun aspetto:
formazione umana, dottrinale, spirituale, pastorale, che tenga conto delle
circostanze, spesso difficili, in cui deve essere esercitato il ministero. La
testimonianza dei pastori delle Chiese che hanno subito recentemente una lunga
persecuzione ha contribuito a dare ai dibattiti una nota di gravità ed anche di
fiducia nella provvidenza di Dio: questo soffio di speranza è certamente una
delle grazie di questo Sinodo. Nelle avversità e nell’estrema privazione, Dio
non abbandona la sua Chiesa.
Una sorta di notevole
unanimità si è verificata riguardo all’esigenza di una solida formazione
spirituale. Parallelamente, è stata sottolineata la necessità di formare bene i
formatori, a cominciare con dei direttori spirituale. Occorre aggiungere che di
pari passo con la formazione spirituale, la formazione dottrinale deve essere
oggetto della sollecitudine dei vescovi. Il professore di teologia ha il
compito di insegnare la dottrina della fede, che è la fede della Chiesa. Deve
essere lui stesso un uomo di fede, che predichi con l’esempio.
Deve comunicare ai giovani
che gli vengono affidati l’amore per la Chiesa, essa stessa mistero di fede, e
la docile accettazione della parola del Magistero.
Vivificare il presbiterio
9. La riflessione, che ha
interessato sia l’eccessiva solitudine di alcuni sacerdoti, sia le esigenze
della formazione permanente, è stata l’occasione per meditare su una dottrina
che il Concilio Vaticano II aveva rimesso in evidenza, la dottrina riguardante
la realtà del presbyterium (cf Lumen Gentium n. 28; Presbyterorum
Ordinis n. 7-8). Viene rivolto un invito ai vescovi e ai sacerdoti affinché
vivano questa realtà che è fonte di una ricca spiritualità e di una feconda
azione pastorale.
10. I problemi ricordati
riguardano la Chiesa universale. La riflessione deve essere continuata e
proseguita secondo gli orientamenti elaborati dall’Assemblea Sinodale, in vista
dell’applicazione alle diverse situazioni delle Chiese locali. Questa
prosecuzione si iscrive normalmente nella logica dell’attività sinodale.
Quest’ultima non darà tutti i suoi frutti se non nelle realizzazioni che avrà
ispirato ed orientato.
11. Ritengo opportuno e
desidero manifestare la mia gratitudine a tutti coloro che hanno contribuito al
buon esito del Sinodo:
Ai Padri sinodali,
Ai collaboratori e agli
uditori,
Ai tre Presidi Delegati e
all’arcivescovo Schotte, segretario generale del Sinodo,
Al relatore generale, al
segretario speciale e ai suoi collaboratori,
Al Consiglio della
segreteria generale, che, dopo l’ultimo Sinodo ha preparato l’ottava Assemblea.
A tutti coloro che, non solo
hanno preparato il lavoro dei Padri, ma hanno partecipato al susseguirsi delle
sessioni affinché tutto riuscisse felicemente.
In primo luogo a coloro, uomini e donne, che con le loro preghiere e i loro sacrifici hanno accompagnato il Sinodo.
Domani, durante la
celebrazione dell’eucaristia, affideremo al Padre, per mezzo del Figlio nello
Spirito Santo, gli auspicati effetti dei lavori sinodali. Lo invocheremo perché
renda più fruttuosi questi lavori nella vita della Chiesa universale e di tutte
le Chiese del mondo. Da Lui infatti, e da Lui solo, Padre della luce, discende
“ogni buon regalo e ogni dono perfetto” (Gc 1, 17).
Giovanni Paolo II