L’evento “Sinodo”

 

Si è concluso a Roma il Sinodo sulla formazione sacerdotale. Dei risultati, visto il consueto riserbo sui lavori sinodali, per adesso si conosce solo qualche orientamento. Se ne saprà di più quando uscirà il documento post- sinodale che il Papa preparerà con l’aiuto della segreteria del Sinodo.

Ma forse le prospettive emerse, pur importanti, non sono neanche il risultato più significativo del Sinodo. La loro recezione ed attuazione si prospetta comunque lunga. Di ben più immediata efficacia invece, si direbbe, è l’evento “Sinodo” in se stesso.

Quello che ogni tre anni si verifica in Vaticano è di fatto un avvenimento di comunione del tutto eccezionale, reso questa volta ancor più toccante dall’inedita presenza e dalle commoventi testimonianze dei numerosi vescovi dell’est, per non parlare dei due rappresentanti del Vietnam giunti finalmente a Roma verso la fine d’ottobre, come auspicio di nuove aperture per la vita della Chiesa anche in quelle terre.

Un avvenimento di comunione, dunque, e di ascolto. Per quattro settimane in Vaticano si è parlato, ma soprattutto si è ascoltato, a cominciare dal Papa, presente dalla prima all’ultima riunione; un ascolto così attento e rispettoso dell’altro da far desiderare a qualche uditore laico, che i governi del mondo potessero approfittare di questa straordinaria lezione.

Il fatto è che per questa “cultura” dell’ascolto praticata nel Sinodo forse nessuno è ripartito come era arrivato. Alla fine di quei ventinove giorni di lavoro e, soprattutto, di incontro, ciascuno si è trovato più “Chiesa”: con un’anima più spalancata sulla variegata realtà del popolo di Dio. E questa non è già formazione?

La realtà che è nata dall’accoglienza reciproca è stata tale da far pensare che gran parte dei problemi dei seminari potrebbe ben presto avviarsi a soluzione, se in essi si verificasse qualcosa di simile. La medesima cosa vale certamente per la vita sacerdotale, come ha sottolineato il Papa in chiusura del Sinodo, invitando calorosamente vescovi e sacerdoti a vivificare la realtà del presbiterio diocesano.

Non sarebbe certo un risultato piccolo se dall’esperienza del Sinodo fosse partito un nuovo impulso in questo senso.

Eredi di un’epoca dominata dalla tecnologia e dal razionalismo, siamo forse ancor troppo facilmente alla ricerca di formule, senza pensare che quanto di più innovativo ci sia è la vita stessa della Chiesa; quella “Koinonia” che nella reciprocità del dono e dell’accoglienza “contiene” Dio stesso, perché viene dall’Alto ed è partecipazione alla vita divina.

Non era questa forse la grande intuizione del Concilio Vaticano II? E non solo per la vita della Chiesa al suo interno, ma anche per l’unità delle Chiese e per l’avvenire dell’umanità?

 

H.B.