Tappe della vita di un giovane

 

 

Condotto per mano

 

di Gabriele Almonti

 

 

Dice un proverbio: “Si può vivere senza sapere per cosa, ma non si può vivere senza sapere per chi!”. E' la presenza nascosta dello Spirito Santo che svela il senso di ogni vita, il filo d'oro che lega gli avvenimenti apparentemente più comuni. Un giovane in cammino verso il sacerdozio ne tenta la lettura.

 

Sono nato in un tranquillo paesino, prevalentemente agricolo. Niente di nuovo sembra esserci nei giorni che si trascorrono in queste terre, come quando ci si abitua a stupende giornate di sole nel periodo estivo. Voglia di riuscire, essere qualcuno, vivere bene, sono questi gli ideali che i ragazzi sognano al primo respiro di libertà adolescenziale. E chiaramente sono stati anche i miei ideali.
Educato secondo i tradizionali canoni della cultura contadina - rispetto dei genitori, in genere di tutte le persone più mature, risparmio di denaro in giocattoli e cose non primarie, il domani prende colore solo dai propri sforzi - ho vissuto la mia infanzia e adolescenza, respirando del clima di pace che vigeva e vige tra i miei genitori.

Con questi sentimenti ho frequentato le scuole elementari e medie del paese con buoni voti, preoccupato di non dare dispiaceri ai miei che per me e i miei fratelli (tre) hanno dovuto, in quel periodo, incrementare le entrate economiche con la costruzione di un forno per il pane.

I vicoli del paese, per noi ragazzini, erano come delle stanze proprie, e la maggior parte del tempo, usciti dalla scuola, lo si impiegava nelle cose più diverse trovando sempre modo di attirarci le urla e anche le scarpe delle carissime vecchiette del vicolo.

Intanto i rapporti tra di noi si stringevano sempre di più e le prime boccate della cosiddetta “vita dei grandi” ci costringevano a soffermarci per pensare alla tanto conosciuta domanda: “Cosa farai da grande?”. Le risposte erano le più varie, tutte riflettavano la voglia di vivere bene e in pace.

Fare il chierichetto almeno una volta nella vita è un altro sogno dei ragazzi. E con questa esperienza inizia un'altra tappa della mia vita. Lasciato pian piano quel primo gruppo, si instaura con un altro gruppo di ragazzi - tutti chierichetti chiaramente - un'amicizia ancora più vera. In poco tempo siamo diventati - non avevamo ancora 15 anni - i primi concreti collaboratori del giovane parroco che tanto ci attraeva e ci aiutava. Ricordo che in quel tempo talvolta mi soffermavo a contemplare il cielo e la natura provando di immaginare cosa ci potesse essere dietro le colline che delimitano la nostra pianura. Lo spazio circonscritto, qualunque esso era, mi angustiava, l'apertura dei campi e il cielo sereno primaverile mi ricolorivano. All'orizzonte un ideale: la vita di Gesù, conosciuta anche attraverso le storielle che le nonne ci raccontavano. Sì, Lui era stato libero per davvero. Allo stesso tempo, però, l'attrattiva per le ragazze, che iniziava a farsi sentire, sembrava catturare il mio desiderio di una vita spesa per tutti.

Alla fine delle medie vedo un cartellone del seminario vescovile della mia diocesi. Per un attimo lo guardo e il mio cuore si rasserena: “E' là che andrò!”. Per tutta l'estate ho tenuto nascosto questo mio desiderio finché non è arrivato il mese di settembre. Il giorno 19 segnava l'inizio del nuovo anno di seminario. E così mi decido di parlarne ai miei, già accortisi di qualcosa. Le lacrime non sono mancate, ma neanche il permesso.

Il primo anno passa veloce tra studio intenso e voglia di capire qualcosa della fede. Intanto mia sorella, la più piccola, si ammala gravemente e rischia la vita. Senso di dolore e tristezza inevitabilmente mi prendono. Qui avviene la mia vera scoperta di Dio. In seminario alcuni ragazzi si distinguevano dagli altri perché erano sempre disponibili, sereni, gioiosi, rendendo il seminario, col loro modo di fare, una vera casa. Decidono tra di loro - questo l'ho saputo dopo - di farmi aiutare da uno del gruppo. Così conosco la Spiritualità dell'unità e pian piano comincio ad impegnarmi a fondo a vivere il vangelo.

Gli anni passano ma ciò che resta è l'amore scambievole che si instaura tra noi ragazzi e il rettore. Rapporti sinceri e da fratelli, una vera famiglia. Difatti una delle cose che ricordo con più gioia e che sempre mi ha attirato è proprio il clima che c'era. Nessuno era schiacciato dall'altro ma tutti potevano esprimere la propria idea su tutto. E così, al sabato non c'era fretta di tornare a casa ma si preferiva talvolta restare anche per il week-end in seminario.

Finiti i cinque anni decido di continuare in seminario maggiore, mentre qualcuno, con cui avevo vissuto lo stesso ideale d'unità, decide di intraprendere un'altra strada continuando però ad essere un cristiano vero.

Nella nuova comunità mi aspetta un altro seminarista, con cui poter tenere viva questa fiaccola dell'amore scambievole. Con lui inizia una nuova avventura. Ben presto ci accorgiamo di essere un po' diversi l'uno dall'altro e iniziamo a cozzare per modi differenti di gestire il tempo, per esempio, ed altro. E allora arrivano i chiarimenti che sono sempre così duri ma altrettanto risolutivi, rimettendoci di nuovo in quella vita da veri fratelli. Con lui si è cercato di portare lo spirito dell'unità nel nostro seminario nelle più svariate maniere. Abbiamo organizzato vacanze insieme ad altri ed incontri sulla Parola di vita, ci siamo dati da fare per l'armonia degli ambienti del seminario ed altre cose ancora.

Ormai siamo all'estate scorsa e mi scopro ancora tanto giovane di fronte alla prospettiva del sacerdozio che si avvicina a grandi passi. Come fare a servire una comunità nel giro di pochi anni, essendo ancora tanto inesperto nel servire ogni uomo? D'accordo coi superiori interrompo gli studi in seminario. Impegnare del tempo in un'esperienza arricchente non mi preoccupa. Una cosa, però, è certa qualunque cosa avessi scelto: restare nella realtà dell'amore scambievole che fin qui avevo sperimentato. E così, attualmente, mi trovo a vivere per qualche mese, assieme ad altri seminaristi e sacerdoti, per approfondire la spiritualità dell'unità. Questa per davvero è un'esperienza che mi proietta continuamente alla scoperta sempre nuova della rivoluzione cristiana.

 

 

 

La mia, la Sua storia

 

Cercare di rivedere la propria vita, soprattutto quando essa è priva di fatti eclatanti, non è facile. Una volta, però, che ci si immette nella dinamica del vangelo anche i più piccoli avvenimenti sono espressione di qualcosa che non deriva più puramente da noi ma anche e soprattutto da Qualcun Altro.

A dare senso ai miei giorni, sinceramente, non sono stato io. Ora, in retrospettiva, mi rendo conto che tante cose nella mia vita sarebbero potute andare diversamente e che non è certo per mia bravura se sono andate come sono andate. Ogni tanto, quasi malgrado me, ci sono state delle svolte nascoste il cui vero senso a me sfuggiva.

Certo gli avvenimenti dolorosi mi hanno sempre provocato smarrimento e confusione, ma il rimettermi ad amare mi ha donato, ugualmente sempre, pace e gaudio. Anch'io in certi momenti ho pensato che Dio non si facesse sentire. Invece ho costatato che la sua voce è forte e nitida soprattutto quando ad amplificarla sono i fratelli con i quali si vive ogni giorno il vangelo. A volte è stato un non capire come e perché continuare su una strada che non è certo normale intraprendere. L'esperienza, poi, di “morire” ad una vita apatica, vecchia, per risorgere ad una vita solare, sorridente, gioiosa è stato il continuo carburante di questi anni.              

Adesso posso dire che il desiderio di infinito, di libertà, di amore puro, che sin da ragazzo mi sono trovato dentro, era ed è la presenza di una Persona, di quel Dio sconosciuto che, da vero “gentiluomo”, si è nascosto nelle curve della mia semplice storia.

 

Gabriele Almonti