La storia di un sacerdote-parroco

 

 

Guidare guidati

 

di Gianni Polito

 

Sempre rispettoso della libertà dell'uomo, lo Spirito va modellando la vita dei singoli e della comunità ecclesiale. Il racconto di un prete del Sud-Italia che si è convinto dell'importanza di essere sempre e soprattutto in ascolto per scoprire i disegni di Dio.

 

Ultimo di sei figli, ho vissuto nell'armoniadi un ambiente povero, ma sereno, dove la fede era vissuta in modo semplice e profondo. Mi sono ritrovato dentro, fin da piccolo, una voglia matta di vivere, e così, oltre a frequentare una miriade di sport, dall'atletica leggera al calcio, dalla pallavolo al tennis, ho girato mezza Europa in autostop, da solo, avendo dentro una grande sete di conoscenza, di stabilire rapporti nuovi.

Sentivo di non dover sprecare la mia vita, volevo viverla intensamente e quando ho dovuto finalmente scegliere come spenderla, ho deciso di intraprendere la strada del sacerdozio. Sarà perché ho frequentato le scuole elementari dalle suore, sarà perché nel mio paesino avevo sotto gli occhi dei sacerdoti autentici, certo è che quella del sacerdote mi sembrava una scelta totalitaria, avvincente, fatta per me.

E' andato tutto bene fino al III anno di teologia, quando, ad un certo momento volevo mollare tutto perché Dio, anche se lo studiavo sui libri, lo sentivo lontano. E' stato l'incontro con il Movimento dei focolari, il vedere che è formato da tanti giovani, operai, professionisti, persone di tutte le vocazioni, che insieme vivono seriamente il vangelo, a farmi riscoprire la gioia di essere cristiano e di diventare sacerdote.

Da quel momento in poi ho cominciato a mettere in pratica la Parola di vita. Come erano nuove e belle quelle frasi “Quello che avete fatto al più piccolo...” e “Amatevi l'un l'altro come io vi ho amato”! Così, il portinaio da salutare era Gesù, il professore “barboso” da seguire era Gesù, l'amico da ascoltare anche sotto gli esami era Gesù.

Avevo riscoperto Dio come amore. Ero al colmo della gioia, ed ero altresì convinto che questa scelta di Dio come il tutto della mia vita mi avrebbe inevitabilmente portato a vivere senza mezzi termini.

Appena diventato sacerdote, speravo, dopo tanti anni di seminario, di essere inviato in una bella parrocchia per potermi lanciare nell'apostolato. Il vescovo invece mi ha chiesto di restare in seminario minore a curare i ragazzi delle scuole medie. Mi sono ricordato della frase di Gesù: “Chi ascolta voi, ascolta me”, ed ho detto il mio sì. Ho vissuto otto anni meravigliosi. E' vero che l'ambiente così piccolo qualche volta mi opprimeva, ma ero anche cosciente che abbracciare la croce, e “farmi uno” coi ragazzi, mi faceva mettere radici salde nella scelta di Dio. D'altronde avevo scelto Gesù, che ha dato la sua vita per noi, e non la parrocchia o qualche altra attività che mi poteva gratificare.

Nell'86 sono diventato parroco in una comunità di 4.500 abitanti. Ho proposto subito ad alcune persone, che mi sembravano più sensibili, una vita cristiana impostata sul vangelo. Ne è nato un gruppo di giovani e famiglie che ha cominciato a rivitalizzare anche gli altri gruppi già esistenti in parrocchia: dall'ACI alla Caritas, dagli scouts alle ACLI.

Erano passati appena tre anni e già cominciavo a vedere tanti bei frutti nella comunità, quando il vescovo, per delle esigenze diocesane, mi ha chiesto di cambiare parrocchia. Mi sono subito dichiarato disponibile anche se con dolore, per il distacco da tante persone con le quali era cresciuto un rapporto “in Dio”. In seguito il cambiamento non è avvenuto, perché non più necessario, ma l'essere stato pronto a lasciare tutto ha aiutato me e tutta la comunità a fare un passo in avanti verso la costruzione del Regno.

Mi accorgo ogni giorno che lo Spirito Santo mi dona tanta libertà nei confronti delle persone, delle cose, dei programmi. Per un po' di tempo, per esempio, forse a causa delle mie origini “proletarie”, forse per un tentativo di creare delle cooperative di lavoro per i giovani disoccupati, forse per le amicizie con tante persone “lontane” dalla Chiesa, sono stato chiamato “il prete rosso”. Per la verità, questo appellativo non mi turbava granché. Ho cercato semplicemente di chiedermi se stavo facendo o meno quello che Dio voleva da me, sforzandomi di essere in unità col vescovo e docile a “quella voce” attraverso la quale lo Spirito ci guida secondo i disegni di Dio. Ho compreso allora che dovevo continuare ad avere verso tanti “cristiani anonimi” quell'atteggiamento di non giudizio, di rispetto e di fiducia che li portava a mandare i propri figli al catechismo, ad iscriverli tra gli scouts e tante volte a venire a messa.

Di tanto in tanto sono fatti anche più vistosi a confermare il cammino intrapreso. Tempo fa, una signora, dopo venticinque anni, ha chiesto di confessarsi. E nel dicembre scorso, in seguito alla rivoluzione in Romania, mi sono visto arrivare il segretario del partito comunista locale che mi chiedeva : “Perché non fate qualcosa per questo popolo, voi che in parrocchia avete un gruppo giovanile?”. Ho colto al volo la proposta e nel giro di un giorno abbiamo raccolto quasi quattro milioni di lire. Il segretario ne è rimasto contentissimo.

E' attraverso queste e altre esperienze che mi rendo conto sempre di più come lo Spirito vada modellando oggi la comunità ecclesiale aprendola su tutta l'umanità.

 

Gianni Polito