Alcune riflesioni sui distintivi dell'esperienza cristiana

 

 

Sapienza della Trinità

 

di Toni Weber

 

Nostro collaboratore per tanti anni e recentemente scomparso, Toni Weber, a contatto diretto con le culture plurimillenarie dell'Asia, aveva maturato in sé alcune riflessioni interessanti, frutto non solo della sua cultura teologica, ma della luce che aveva attinto a piene mani e in forma vitale dal carisma dell'unità. Ce le ha trasmesse nell'estate dell'88 in una conversazione familiare che proponiamo qui ai nostri lettori dopo averla leggermente rivista e sintetizzata.

 

Mi è stato chiesto di fare un intervento sullo specifico del cristianesimo. Vorrei allora proporre alcune riflessioni molto semplici sulla mia esperienza specialmente di questi ultimi anni, in cui mi sono trovato a contatto con la cultura millenaria dell'Asia.
Nei primi anni trascorsi nelle Filippine, in Corea, a Taiwan e a Hong Kong, tante volte ho avuto l'impressione di perdere la parola a contatto con queste realtà così immense. Chiedendomi il perché di questo fenomeno mi sembra di poter avanzare un'ipotesi come risposta: si tratta di culture che non sono state ancora “verbizzate”, non sono cioè segnate dalla presenza del Verbo come lo è in qualche modo la cultura occidentale.

Solo vivendo in altri ambienti ci si rende conto di quanto l'Europa in primo piano e poi, in modo diverso, l'America, l'Africa e l'Australia abbiano risentito dell'influsso del cristianesimo. Le culture asiatiche, che informano la vita di ben due terzi dell'umanità, finora sono state appena sfiorate dal messaggio evangelico. Vivendo e operando in questo ambiente era spontaneo riflettere sul rapporto fra cristianesimo e cultura, e quindi sulle vie da seguire nell'evangelizzazione.

 

 

 

La pedagogia dei grandi carismi

 

Innanzi tutto una premessa. Mi sono convinto che soltanto un grande carisma, che porti dentro di sé una pedagogia ispirata da Dio, può avere un influsso determinante sulla storia. Basti pensare a san Benedetto, il quale, perché appunto portatore di un carisma pedagogico, ha avuto una parte così grande nella formazione della cultura europea. Lo stesso si può dire del carisma di sant'Ignazio che ha influito in tempi più recenti sulla fondazione delle università, dei seminari, delle scuole e addirittura su altri ordini di religiosi e di religiose che, avendo adottato il carisma ignaziano, hanno a loro volta influito sulla società e sulla Chiesa attraverso la loro presenza ed azione.

Una simile forza pedagogica, particolarmente adatta al nostro tempo , la troviamo oggi nel carisma dell'unità. Esso ci porta infatti a raggiungere la maturità cristiana non solo singolarmente, ma anche come comunità, ad essere Chiesa e quindi testimoni nella società in qualsiasi ambiente, anche nel mondo asiatico.

 

 

 

Caratteristica dinamica

del carisma dell'unità

Ora c'è tutta una pedagogia che questo carisma propone. Me ne sono reso conto, in maniera particolare, quando Chiara Lubich, commentando i nuovi statuti dell'Opera di Maria, ha spiegato i dodici punti che costituiscono il cardine della spiritualità dell'unità, mettendo in luce il profondo nesso che li lega fra loro. Nello snodarsi di questi dodici punti c'è tutta una dinamica.

Punto di partenza - e questo è importante - è la scoperta di Dio-Amore e, conseguentemente, la scelta di Dio. Come per le prime focolarine sullo sfondo della guerra c'è stata questa irruzione di Dio nella loro vita, così è anche nella nostra storia personale e nella storia di ogni comunità umana. C'è sempre questo momento iniziale, in cui si scopre che Dio è Padre e nasce in noi forte l'esigenza di rispondere al suo amore facendo la sua volontà che è amare il fratello; quindi viene in rilievo il comandamento nuovo e, come misura del comandamento nuovo, Gesù abbandonato, che porta il frutto dell'unità, quel tipo di unità che è “Gesù in mezzo”: il Risorto. Così i primi sette punti della spiritualità culminano in un'unica realtà: la caratteristica esperienza del Risorto che si fa nell'unità e che ha per chiave l'abbandono di Gesù. Anche gli altri punti sono strettamente legati a questo che ne è il centro.

Per rimanere nella realtà del Risorto si apprende l'importanza della Parola, dell'Eucarestia e dell'unità con la gerarchia; e qui si manifesta Maria come il modello a cui guardare per procedere in questa via, e infine,come punto che tutto ingloba, lo Spirito Santo.

Quest'ultimo punto è d'importanza pari al primo. Senza il Padre non si fa la volontà di Dio, senza il Padre non si sa amare, senza il Padre non c'è unità. Così senza lo Spirito non si riesce a dire che questo prossimo è mio fratello, che questo pane è corpo di Cristo, che questa Parola è Parola di Gesù; senza lo Spirito non si può dire che c'è Gesù in mezzo.

Questa mi sembra la pedagogia ispirata da Dio in questo carisma. C'è un'irruzione di Dio nella storia e poi si fa un cammino ben determinato.

 

 

 

Il senso della storia

 

Ma torniamo alla domanda sullo specifico cristiano. Parlavo della pedagogia dei carismi nella storia. In questi anni ho potuto notare inoltre con molta chiarezza che lo specifico del cristianesimo è appunto questo senso che noi abbiamo della storia.

La storia di Abramo, di Maria, degli apostoli e quella di ognuno di noi comincia quando la Parola di Dio ci afferra e ci trascina con la sua luce, perché ci fa cogliere il filo d'oro che lega tutti gli avvenimenti in un'avventura d'amore che non prende solo la nostra vita personale, ma coinvolge anche gli altri.

Questa gioiosa scoperta fa nascere in noi anche un nuovo modo di rapportarci col prossimo. Sappiamo per esperienza che se uno è capace di cogliere il filo d'oro che lega la sua vita e di raccontare in questa luce la sua storia, comincia un cammino insieme agli altri. Ricordo che alla scuola sacerdotale ogni anno quando uno, scoprendo nello stupore l'agire amoroso di Dio nella sua vita, riusciva ad esplicitarlo, subito cresceva la sua comunione con gli altri. La cosa più particolare, come la storia personale di ognuno, diventava motivo di comunione fra tutti, perché si scopriva che Dio è Padre e che noi tutti siamo fratelli. Ecco allora una prima caratteristica del cristianesimo: il Dio cristiano è il Dio della storia.

Vorrei aggiungere qui che non si tratta di una storia, come direbbe Nietzsche, che si esaurisce in un continuo ritorno di cose eternamente uguali; e neppure di una storia semplicemente lineare, ma piuttosto di un movimento che procede a mo' di spirale. Questo tipo di concezione e di comprensione della storia non l'ho trovata in nessun'altra cultura, all'infuori del cristianesimo.

La stessa spiritualità dell'unità, quella sua dinamica descritta prima, esprime bene questo movimento e non solo a livello del pensiero, ma anche a livello della vita, per cui si presenta come una sintesi del cristianesimo non soltanto nella sua ortodossia, ma anche nella sua ortoprassi; una sintesi dove luce e vita diventano una sola cosa.

 

 

 

Il concetto di persona

 

Un altro cardine del pensiero cristiano è il concetto di persona. Se i filosofi in occidente hanno parlato negli ultimi duemila anni in un determinato modo dell'uomo, lo hanno potuto fare perché influenzati dal cristianesimo. Fuori del cristianesimo, infatti, non esiste, come tale, il vero concetto di persona: l'altro esiste in quanto è collegato con te per il sangue o il clan, ma non si intravvede un legame universale con ogni uomo per il solo fatto che è uomo.                                     

L'esperienza di tanti anni mi ha fatto capire quanto il concetto di persona sia legato a Gesù, soprattutto a Gesù abbandonato in croce, che è in realtà la persona perfettamente realizzata. Solo in Gesù, la persona per eccellenza, ognuno diventa persona in senso pieno.

Spesso si pensa che sia facile parlare di diritti umani e introdurli in altri paesi che non hanno alcuna esperienza cristiana, ma basta osservare che persino dove c'è un certo influsso cristiano e dove si è cercato di impiantare la democrazia, il tentativo non ha avuto gran successo, dando vita non di rado a regimi dittatoriali, perché il concetto stesso di democrazia e di diritti umani è molto labile, se non è fondato su un giusto concetto di persona. C'è quindi il rischio di trasmettere soltanto certe tecniche, certi modelli di organizzazione, ma non la realtà profonda che ne costituisce la base.

Questo per me è un punto che dovrebbe sempre venire in risalto nella nostra vita cristiana per poter dialogare poi con le altre religioni. Il cristiano ha una sua identità: è una persona che ha un legame profondo con la persona di Gesù ed in Lui scopre la dignità di ogni uomo che diventa così la via per andare a Dio.

Nell'81 mi trovavo in un monastero buddista a colloquio con un monaco. Ad un certo punto si è creato tra noi due un bel rapporto, anche perché egli, sapendo che ero sacerdote celibe, trovava in questo un punto d'incontro importante. Allora gli ho chiesto quale era il suo rapporto con Budda. Ed egli ha risposto: “Per me non è importante avere un rapporto con Budda, per me è importante essere Budda, essere illuminato”. Certamente il buddismo è nel piano naturale l'espressione religiosa più radicale e più alta, ma manca di questo concetto fondamentale di persona su cui si basa il rapporto interpersonale. Per questo il dialogo col buddismo non sarà facile e nello stesso tempo sarà inevitabile.

Questi due punti - la concezione della storia e della persona - sono, quindi, tipici del cristianesimo. Quando leggo certi autori europei che mettono sullo stesso piano Gesù, Maometto e Budda, ho la netta impressione che essi non abbiano fatto una vera esperienza cristiana, pur respirando una civiltà intrisa di cristianesimo, perché l'unicità della persona di Gesù, di questo Gesù che vive in mezzo a noi, del Risorto che cammina con noi, è infinitamente diversa da tutte le altre esperienze religiose anche altissime che ho potuto conoscere in Asia.

 

 

 

La comunità

 

Il terzo punto molto importante è la comunità. Quando si parla di comunità, sociologicamente e psicologicamente, se ne parla a vari livelli, ma per noi cristiani è quella modellata sulla Trinità e fondata sul mistero di Gesù abbandonato in croce. Qui vorrei offrire una piccola esperienza personale. Trovandomi a vivere in ambienti culturali molto diversi da quello europeo, prima in America Latina e poi in Asia, mi sono posto tante volte il problema dell'inculturazione e l'ho risolto, almeno a livello personale, in una maniera molto semplice. In tutti questi anni, almeno da quando ne sono più cosciente, esaminando il mio modo di agire e di sentire, mi ponevo sempre una domanda: “Faccio questo perché vivo il vangelo o perché seguo questa determinata cultura, educazione, mentalità?”. Ho capito sempre di più che non è tanto la cultura che ci divide dagli altri uomini, ma se viviamo o no il vangelo. E questo mi sembra profondamente rispondente alla dottrina cattolica del peccato originale e dei peccati personali. Non mi facevo quindi tanto il problema se l'altro è di questa o quella cultura, di questa o quella religione, ma seguivo questa semplice convinzione: se sono di fronte ad un uomo, l'uomo ha quel cuore inclinato al male e anche desideroso di fare il bene; l'uomo ha un cuore che è lo stesso in tutto il mondo, anche se le apparenze sono molto diverse.

Per informare una cultura bisogna quindi partire da ciò che è la radice di ogni cultura: l'uomo con le sue potenzialità, con la sua storia, le sue capacità. E bisogna entrare, con l'uomo, nel cuore del vangelo per fare, partendo da lì, un cammino di purificazione e di illuminazione per arrivare alla trasformazione e costruire quel tipo di comunione che Gesù vuole da noi e che è anche unica, particolare, frutto dello Spirito che ci fa essere Chiesa, corpo di Cristo, tempio dello Spirito.        

Soprattutto questi tre punti sono stati per me, in questi anni, criterio di discernimento: la storia, la persona, la comunità.

 

 

 

La dimensione trinitaria

della comunione cristiana

Ma andiamo ancora oltre nel considerare la comunità. Lo specifico cristiano è senz'altro l'impronta della Trinità in tutte le espressioni della nostra vita sia personale che comunitaria.

Anni fa Chiara, dopo aver raccontato la storia del carisma dell'unità, concludeva dicendo che ci sono tre parole chiavi che costituiscono come le direttive di fondo per camminare su questa via. La prima: “Chi ascolta voi, ascolta me”; la seconda: “Dove due o più sono uniti nel mio nome”; e la terza: “Che tutti siano uno”.

Riflettendo su queste tre parole, mi sono accorto che esse indicano proprio il modo per vivere sempre inseriti nella vita trinitaria, perché il “chi ascolta voi, ascolta me” ci radica nel Padre; la parola del “due o più” ci fa essere chiesa, comunità, e ci incorpora nel mistero del Figlio; la terza parola “che tutti siano uno” ci fa essere fedeli alla voce dello Spirito Santo, e quindi sempre aperti al futuro, come a qualcosa in più che ci aspetta, che sovrabbonda. E' proprio questa infatti la realtà dello Spirto, che non ci lascia incapsulati in un sistema o in uno schema, ma vuole irrompere in modo nuovo ogni giorno nella nostra esistenza.

Ho cercato, poi, di pensare ad altre parole, importanti per la nostra vita, e mi è tornato alla memoria quanto aveva detto don Pasquale Foresi parlando della scelta di Dio e delle tentazioni di Gesù. Tutti siamo tentati dal potere sulle cose, dal potere sulle persone, dall' autorealizzazione senza Dio. E le tre risposte sono l'obbedienza, la povertà e la castità. Ora queste tre dimensioni fondamentali della vita cristiana - poiché tutti devono vivere in un modo o nell'altro la povertà, l'obbedienza e la castità - sono ancora modi concreti per vivere inseriti vitalmente nella vita trinitaria. L'obbedienza ci radica nel Padre: Gesù obbediente fino alla morte e alla morte in croce. La povertà spirituale e materiale ci rende capaci di accogliere totalmente il fratello e quindi ci fa tutti uguali trasformandoci in comunità, in corpo di Cristo, dove non possiamo imporci l'uno sull'altro. La castità infine ci dona quel cuore - ed anche quel carisma, se uno ha il carisma della verginità - che sa amare tutti col cuore stesso di Gesù, con quell'amore che è stato riversato dallo Spirito Santo nei nostri cuori.

Ovviamente, se c'è un particolare riferimento di ciascuno dei tre consigli ad una delle tre divine persone, essi sono anche profondamente legati tra loro. Non dobbiamo, infatti, essere poveri soltanto nei confronti dei fratelli, ma anche davanti al Padre e davanti al mondo per cogliere la voce di Dio attraverso gli avvenimenti e le diverse situazioni, e così via.

Visti così, i tre consigli evangelici mi sembrano quanto mai attuali come modo concreto per vivere il nostro rapporto col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo.

E questo è un altro punto fermo per essere Chiesa, per essere comunità. Qui gli ordini religiosi sono chiamati ad essere per tutti un segno profetico, escatologico.

Ci sono poi altre tre parole, gerarchia, eucarestia, Maria, che ci riportano anch'esse alla vita trinitaria. La gerarchia, infatti, ci fa vivere radicati nel Padre, nella coscienza che “il Padre è più grande di me” (cf Gv 14, 28), e questo non tanto come gerarchia di potere, ma come origine della vita; l'eucarestia ci fa altri Gesù e insieme ci fa suo corpo; da Maria, infine, la sposa dello Spirito Santo, impariamo a vivere quel silenzio d'amore nel quale lo Spirito Santo si può pienamente esprimere.

 

 

 

Reimparare a vedere tutto

nella luce della Trinità

Come san Bonaventura nel suo tempo vedeva tutto alla luce della Trinità, dalle realtà soprannaturali della Chiesa fino alle realtà naturali, perché in tutto trovava le vestigia della Trinità, così anche noi oggi dovremmo reimparare a vedere tutto sotto la luce della Trinità. E come egli allora seguiva il metodo scolastico, così noi oggi dovremmo convogliare, in questa comprensione trinitaria, le acquisizioni del pensiero e della cultura moderna. Solo così potremmo superare il dualismo tra fede e vita, tra cultura e teologia.

Dovremmo poi abituarci a non separare mai il riferimento ad una delle divine persone da quello alle altre due; e quindi a non separare , per esempio, la fedeltà all'origine e all'autorità (la tradizione, il Padre) dall'apertura al nuovo, seguendo l'azione sempre sorprendente dello Spirito Santo.

Vedendo tutto nella sapienza della Trinità, non si possono separare quelle che sono dimensioni complementari e non già alternative. Solo pensando in maniera trinitaria, c'è equilibrio e c'è dialogo. Giacché Dio è uno in tre persone, e questo non può non riflettersi in tutta la creazione, noi dobbiamo imparare a vedere le cose sempre nella loro reciprocità, imparare a camminare insieme, a vivere in unità.

Ho parlato di persona e di comunità: sono concetti che vanno sempre visti alla luce della Trinità, con fedeltà alla tradizione, ma anche con l'apertura al nuovo.

 

 

 

Il rapporto col Padre

 

Vorrei, in conclusione, approfondire soprattutto il rapporto col Padre. A contatto con le società orientali, specialmente quelle coreana e filippina, ho sentito forte in questi anni il bisogno di chiarire a me stesso il concetto di autorità. La società filippina è piuttosto matriarcale, con una presenza preponderante della figura materna; e la società coreana, come anche altre culture asiatiche, ha un fortissimo senso dell'autorità.

Osservando delle lacune nella formazione di seminaristi e sacerdoti, tante volte ho chiesto quale fosse il loro rapporto col padre in famiglia e il 99% normalmente ha risposto che non ha mai parlato col padre dei problemi della propria vita, ma ha sempre preso le decisioni con la madre. La stessa cosa si verifica col vescovo che è - come dice Sant'Ignazio di Antiochia - il segno del Padre nella Chiesa locale. Molti sacerdoti e seminaristi non hanno mai avuto un rapporto di confidenza, da figlio, col proprio vescovo, ma solo un rapporto di sudditanza.

Sullo sfondo di queste circostanze e di altre ancora, mi sono reso conto quanto sia importante il rapporto col Padre. E questo l'ho capito specialmente alla luce del vangelo di Giovanni che ne parla più degli altri evangelisti e dello stesso Paolo. Leggendo il quarto vangelo sembra che Gesù sia venuto solo per rivelarci il Padre, per portarci al Padre, per cui è stato giustamente osservato che l'autonomia di Gesù sta proprio nella sua eteronomia, nel fare, cioè, la volontà del Padre, nell'essere la sua Parola. Similmente tutta la pedagogia di Gesù consiste nel farci entrare sempre di più in questo rapporto col Padre, attraverso lo Spirito. Noi siamo figli ed abbiamo un Padre: questa è la priorità che dobbiamo vivere in tutti i nostri rapporti. La nostra casa, quindi, non è questo continente o quell'altro e neanche in primo luogo la diocesi o la Chiesa, ma è l'essere nel Padre. “Io cerco di vivere sempre - mi ha scritto un giorno un sacerdote del Vietnam - in sinu Patris e in sinu matris”. La priorità è di vivere prima di tutto nel seno del Padre, per poter vivere poi nel seno della madre, la Chiesa.

Spesso, quando parlo con i sacerdoti, ho l'impressione che hanno un rapporto con Gesù, ma non hanno ancora raggiunto un rapporto col Padre. La stessa cosa ho costatato non di rado nei colloqui, nelle confessioni. E' importante che uno si butti sempre fuori di sé per amare, per servire, ma se ad un certo punto non fa questa scoperta del Padre si esaurisce.

Il rapporto col Padre ci fa scoprire che tutto è dono. Quando uno invece si sente orfano, cerca appoggi e da qui nascono tanti problemi. Senza questo punto di riferimento, che è il Padre e chi ce lo rappresenta, noi non riusciamo a camminare nella luce. Maria ha potuto dar tutto perché prima ha ricevuto tutto, perché era la piena di grazia, la figlia del Padre. Non a caso il primo punto della spiritualità dell'unità è proprio questo: Dio-Amore. E questo è il sottofondo, la base di tutti gli altri.

Il vangelo di Giovanni che parla dell'unità, del comandamento nuovo, della lavanda dei piedi, di tutti questi temi così importanti per la nostra spiritualità, questo vangelo che affonda le sue radici nella convivenza di Giovanni con Maria, ci riporta continuamente al Padre.

Bisogna aver sempre davanti questa triade: prima essere figli, perché siamo figli della storia e riceviamo sempre tutto da Dio; poi scoprirci fratelli; ed infine, su questa base, diventare padri e madri. Quanto più siamo figli tanto più possiamo essere padri. La condizione perché questo si verifichi è cercare di essere, come Maria, un nulla pieno d'amore, come ha fatto Gesù sulla croce annientando se stesso per rivelarci il Padre.

 

Toni Weber