Un'esperienza di accoglienza

 

 

Le medicine non bastano

 

di Lucio Galli

 

 

Due preti che si aiutano non solo sperimentano il calore dell'amicizia, ma con la loro testimonianza realizzano anche un'incisiva opera di evangelizzazione nella parrocchia.

 

Era una nebbiosa  giornata d'autunno quando, inaspettatamente, il vescovo ausiliare venne a trovarmi per vedere se potevo accogliere in casa un giovane sacerdote seriamente ammalato. La proposta mi sorprese, perché la mia zona è il regno delle nebbie d'inverno e del caldo afoso d'estate e non riuscivo a capacitarmi che potesse essere il luogo adatto per una persona che, tra l'altro, soffriva di bronchite cronica. Ma il vescovo mi rassicurava che aveva ponderato bene ogni cosa: gli inconvenienti del clima sarebbero stati compensati dall'ambiente che il sacerdote avrebbe trovato in canonica e nella comunità parrocchiale, mentre il vicino ospedale avrebbe dato un'opportuna assistenza medica. Inoltre lo stesso interessato aveva espresso il desiderio di venire da me e di essere inserito in un contesto pastorale per sentirsi in qualche modo utile durante questo periodo di cura, anche se era cosciente che non avrebbe potuto fare tante cose. “Celebrerà qualche Messa - mi disse il vescovo -, ma non potrà assumere nessun lavoro pastorale impegnativo. Egli viene qui solo per ricuperare la salute”.
Nel giro di qualche giorno me lo vidi arrivare. Era giovanissimo, ordinato da appena quattro anni, ma già sfinito fisicamente, con una tosse affannosa e profonda che spesso gli rendeva difficile la respirazione.

“Questa è casa tua - gli dissi - e sarei contento che ti sentissi pienamente libero. Fa' quello che ti senti di fare e niente più. Io sono contento così, perché la tua semplice presenza e l'amicizia che mi hai dimostrato scegliendo di venire da me sono il più bel dono che potevi farmi”. Gli mostrai quindi la casa e in particolare gli ambienti a lui riservati: lo studio ammobiliato con gusto e la camera da letto con i servizi interni. Quasi non credeva ai suoi occhi e mi domandò se quella era una sistemazione solo provvisoria o se poteva rimanerci a lungo. Risposi con sincerità: “Tutto il tempo che tu vuoi!”. “Sono contento - disse - e già comincio a star meglio...”.

Dopo i primi giorni la sua salute cominciò a migliorare rapidamente. All'inizio faceva ancora fatica per arrivare al termine della celebrazione eucaristica. Ma nel giro di qualche settimana aveva già ricuperato un po' di energie e alla fine del mese mi fece capire che ormai era in condizioni di poter assumere qualche impegno pastorale stabile.

Certamente le cure mediche avevano fatto la loro parte, ma era stato determinante anche il fatto di trovarsi qui a suo agio. Si sentiva capito ed amato e questo penso sia stato fondamentale per la sua ripresa. Alla gente l'avevo presentato non come un peso datoci dal vescovo, ma come un dono di Dio alla nostra comunità, ed era stato accolto subito da tutti con molto affetto. Egli se n'era accorto ed aveva corrisposto: era nata così una bella comunione con la gente del paese. Quando iniziai la visita annuale alle famiglie, volle aiutarmi ed ebbe modo di prendere contatti diretti con tanti nuclei familiari.

Passarono così vari mesi e la sua salute poteva dirsi ormai pienamente ricuperata. Il vescovo gli propose allora la nomina a cooperatore in una parrocchia più grande ed egli accettava con spirito di fede ed anche con la gioia di poter servire là dove Dio lo chiamava.

Tra noi è rimasto il segno di un'amicizia profonda, mentre tra la nostra gente questa esperienza di due preti che si accolgono e si aiutano come fratelli è stata forse la più incisiva opera di evangelizzazione.

 

Lucio Galli