A colloquio con tre presbiteri impegnati in un'esperienza di vita comune ormai collaudata

 

 

Vita comune, un'utopia?

 

di Enrico Pepe

 

 

Folgaria è una ridente località montana sull'omonimo altipiano del Trentino. Qui è in atto dal 1974 un'esperienza di vita comune fra tre sacerdoti che curano cinque parrocchie situate nel raggio di quindici chilometri. Anche se in questi anni ci sono stati degli avvicendamenti richiesti dalle necessità della diocesi, l'esperienza è risultata molto positiva e continua ancora oggi.

 

 Afar vita comune a Folgaria sono don Giovanni Raffaelli parroco di Folgaria e di Serrada, don Paolo Gius parroco di Carbonare e Nosellari e don Antonio Sebastiani parroco di san Sebastiano.
“Devo dire - ci confida don Raffaelli - che noi non ci siamo scelti, ma ci siamo trovati insieme in seguito al desiderio, manifestato da ciascuno ai superiori, di vivere con altri sacerdoti della diocesi che condividessero questo ideale”.

E mi conferma che a prendere questa decisione non sono stati spinti dalla prospettiva di risolvere più facilmente determinati problemi che tanto assillano il clero, come la solitudine, il problema economico del mantenere una casa con la collaboratrice domestica e neanche dalla speranza di trovarsi con preti che avessero gli stessi gusti e le stesse vedute.

“Abbiamo avuto ben chiaro - continua don Raffaelli, che vive quest'esperienza fin dall'inizio - e ce lo siamo ripetuto continuamente, che il vero motivo del nostro vivere insieme è quello di sforzarci nell'attuare il comandamento nuovo di Gesù in modo che tra noi sia sempre viva la presenza di Cristo sacerdote. Certamente anche i problemi economici e della solitudine del prete trovano la loro giusta soluzione, ma soprattutto da questo stile di vita scaturisce una maggiore fecondità apostolica, perché i parrocchiani, vedendo il rapporto di fraternità esistente tra noi, capiscono più facilmente come devono vivere i loro rapporti in famiglia, sul lavoro e nella comunità parrocchiale”.

Pur nella diversità di mentalità, di carattere, di formazione e di età, questi tre preti cercano di costruire tra loro l'unità di pensiero e di azione, non come piatta uniformità, ma come continuo e dinamico scambio che diventa arricchimento reciproco. Essi sono inseriti pienamente nel presbiterio diocesano, come tutti gli altri parroci, col vantaggio che, vivendo in un clima di famiglia, possono affrontare insieme i vari problemi personali e pastorali ed attuare le direttive della diocesi con la luce che viene dalla presenza di Cristo tra due o più uniti nel suo nome.

Vivere a vita comune non può essere che una scelta personale pienamente libera, che vuole facilitare e mai ostacolare la vita del presbiterio diocesano. Per questo essi hanno dichiarato al vescovo la loro disponibilità ad andare in qualsiasi posto della diocesi, possibilmente insieme a sacerdoti che vogliono vivere questa esperienza di vita comune, ma - se fosse necessario - anche da soli.

 

 

 

Difficoltà e gioie della vita comune

 

Ma è sempre così bello vivere a vita comune?

“Quando arrivai a Folgaria, tre anni addietro - ci racconta don Sebastiani - avevo un gran desiderio di fare questa esperienza e devo dire che mi trovavo veramente bene con gli altri due. Poi pian piano cominciai a sentire nel mio profondo qualcosa che opponeva resistenza. Per esempio, io ero abbastanza geloso della mia macchina e la custodivo così bene che i miei due colleghi un giorno, scherzando, l'hanno chiamata “la signora Sebastiani”, alludendo al mio cognome”.         

Sono i soliti attaccamenti alle nostre cose, magari conquistate faticosamente e amministrate individualisticamente. Ma un bel giorno “la signora Sebastiani” subì un pauroso incidente scivolando sull'asfalto bagnato e precipitando in un bosco sottostante. Per fortuna il suo padrone riuscì a salvarsi miracolosamente, ma lei, poveretta, divenne inservibile per sempre. Immediatamente don Raffaelli e don Gius misero a disposizione le loro macchine fino a quando - grazie alla comunione economica già iniziata tra loro - si acquistò una nuova auto.

“Fu una lezione - commenta l'interessato - che mi aiutò non solo a liberarmi dall'attaccamento alla macchina, ma da mille altre cose e persino dal portafoglio. E cominciai a sperimentare una nuova libertà interiore”.

La vita comune vissuta alla luce del Vangelo è un'esperienza comunitaria di santificazione e spesso mette in crisi l'uomo vecchio e spinge alla conversione, con numerosi vantaggi non solo per l'interessato ma per tutti.

Questi preti spesso pregano insieme il breviario e il rosario, fanno insieme meditazione, si aiutano nel preparare l'omelia, ma la realtà più importante, che dà senso anche a queste azioni, è il rapporto di amore fraterno tra loro che genera la fiducia piena dell'uno nell'altro.

Ognuno mette in comune i propri talenti: don Raffaelli cura in modo speciale la pastorale familiare; don Gius si dedica di più allo studio, approfondendo per primo i documenti della Chiesa e fornendone una sintesi agli altri due; don Sebastiani si occupa con competenza della pastorale dei giovani e dei ragazzi e frequenta un corso di ecumenismo. Non si tratta di altrettanti campi recintati dove solo il padrone ha il diritto di entrare, ma piuttosto di aiuole di un comune giardino dove si può passeggiare liberamente per ammirare, imparare ed anche aiutare.

 

 

 

Amare la parrocchia altrui

come la propria

Giuridicamente ciascuno risponde delle sue parrocchie, in pratica poi ognuno sa tutto di tutti e collabora dove c'è bisogno.

Ho constatato più volte - ci dice don Sebastiani - che il tempo donato all'altro è sempre un guadagno. Un giorno dovetti fermarmi nella parrocchia di Folgaria per aiutare un operaio che stava riparando il tetto della sacrestia. Contemporaneamente ero preoccupato dei lavori in atto per mettere il riscaldamento nella mia chiesa. La tentazione era di piantare da solo l'operaio e andare per i fatti miei. Rimasi al mio posto ricordando a me stesso che bisogna amare la parrocchia altrui come la propria. La risposta non si fece attendere: una persona del Consiglio parrocchiale per gli affari economici si offrì spontaneamente per coordinare i lavori, togliendomi ogni preoccupazione.

Nella scorsa estate l'arcivescovo di Trento espresse il desiderio di passare le vacanze nella canonica di Serrada, che aveva però bisogno di un radicale restauro con tutti quegli imprevisti che capitano nel riassetto di edifici vecchi.

Bisognava realizzare i lavori con una certa urgenza. Si son messi sotto tutti e tre, sentendosi così corresponsabili e così addentro nelle cose che ognuno - in assenza degli altri - era in grado di seguire i lavori, mantenendo i contatti con le ditte fornitrici e con gli artigiani. Anche molte persone della comunità si sono offerte per aiutare nei lavori e per arredare la casa.

Quando l'arcivescovo è venuto era tutto pronto ed egli, che aveva visto la casa prima del restauro, ne era ammirato e non finiva di ringraziare i sacerdoti e la popolazione.

 

 

 

I parrocchiani seguono l'esempio

 

Anche le parrocchie in questi anni hanno fatto un cammino di fede e sono venute fuori persone impegnate a fondo nella vita cristiana, che animano le varie attività pastorali, tenendosi collegate tra loro e con i parroci.

“Un riflesso della vitalità delle parrocchie - racconta don Gius - si è avuto anche sulla massa dei turisti che affollano la nostra zona. Qui la popolazione residente è di tremila persone, ma nella stagione alta può raggiungere anche le trentamila unità. Diversi villeggianti ormai da anni, quando arrivano qui prendono contatto con i parrocchiani che si riuniscono per approfondire e vivere la parola di Dio ed entrano con spontaneità nella vita attiva della parrocchia, preparando la liturgia domenicale, scambiandosi le esperienze vissute alla luce del vangelo e aiutandosi mutuamente nei vari bisogni. Alcuni turisti hanno trovato in questa comunione di vita la luce per risolvere gravi problemi personali e familiari, ed altri, specie tra i giovani, hanno scoperto in questo clima la propria vocazione. E' normale poi alla fine delle vacanze, quando ci si saluta, sentirsi dire che vogliono portare questo stile di vita anche nelle loro parrocchie”.

 

 

 

Cresce la comunione nel decanato

 

La vita comune ha avuto dei riflessi anche nei sacerdoti del decanato.

 “Mi sono accorto - dice don Gius - che nella nostra canonica a Folgaria i sacerdoti del decanato ed anche di altri posti sono di casa: vengono loro stessi a trovarci, qualcuno si trattiene da noi per riposarsi o per rimettersi in salute. Noi poi cerchiamo di tenere i contatti con tutti, visitando in modo speciale i sacerdoti anziani o malati”.

Un'amicizia semplice e sincera con tutti che lega i sacerdoti tra loro. Per questo forse quelli del decanato si incontrano volentieri ogni quindici giorni per alimentare questo spirito di fraternità e per trattare insieme i problemi pastorali della zona. Difficilmente qualcuno manca a questo appuntamento che termina col pranzo tutti insieme nella canonica di Folgaria. “A loro volta anche gli altri sacerdoti - ci assicura don Raffaelli - ricambiano l'ospitalità invitandoci nelle loro case e ci dimostrano concretamente la loro solidarietà collaborando volentieri nelle attività pastorali”.

Forse è questa anche la funzione di una comunità sacerdotale: far da casa agli altri sacerdoti. Al vedere la serenità e direi anche la normalità nella vita di questo piccolo gruppo di preti, in tutto uguali agli altri sacerdoti della diocesi - ma con qualcosa di evangelico che attrae - nasce nel cuore la speranza che la vita comune, se imbrocca la strada giusta, non è poi un'utopia per il clero diocesano.

 

Enrico Pepe