Nel cuore di una metropoli, cinque sacerdoti a vita comune

 

 

Pastorale in una società alla deriva

 

di Hubertus Blaumeiser

 

 

Operare fra disoccupati, drogati, autonomi, in tre parrocchie che sono divise fra cattolici per bene e sostenitori di una “chiesa dei poveri”, questa l'avventura che tocca a cinque sacerdoti cui è affidata la pastorale nel quartiere più difficile di Berlino. Attingendo alla spiritualità dei focolari, fanno vita comune, per volontà del vescovo. E' la via per sopravvivere in mezzo a tanti assurdi, ed anche di più.

 

Berlin - Kreuzberg. Il nome (“monte della croce”) esprime bene la realtà: 138.000 abitanti di cui un quarto stranieri - musulmani in prevalenza - e quasi metà fra i 18 e i 30 anni, in buona parte disoccupati: 50% per l'esattezza, o meglio: 40% dei giovani tedeschi e 60% dei loro coetanei stranieri. 1500 persone senza tetto, drogati, alcoolizzati, punks e autonomi assieme alla nuova destra radicale - ecco il quadro di un quartiere fra i più “caldi” delle metropoli europee e tristemente famoso.
La chiesa cattolica è presente con tre parrocchie. A frequentare la messa domenicale: al massimo 200-300 persone per comunità, anziani - i parrocchiani di un tempo - e giovani. Sì, giovani! Perché i parroci, che fino a poco fa hanno servito queste comunità, vedendole quasi morire, non avevano esitato a percorrere vie nuove. Ciascuno, però, a suo modo. E allora i frutti non sono mancati, ma neppure le tensioni, fino al formarsi, in qualcuna di queste comunità, di fazioni radicalmente contrapposte.

Con il cambio di uno dei parroci, nell'autunno dell'88, il vescovo decide di reimpostare la pastorale nell'intero quartiere, nell'interesse, oltretutto, di una presenza più unitaria ed efficace della Chiesa nella scottante realtà sociale di Kreuzberg. La sua scelta: cinque sacerdoti, fra i quali uno già parroco nel quartiere, alquanto diversi tra loro, sia per età (dai 28 anni ai 75) che per provenienza e mentalità, ma uniti tra loro da una comune spiritualità - quella dell'unità - che, secondo il vescovo, dovrebbe aiutarli a far vita comune.

 

 

 

Un inizio burrascoso

 

Un tantino burrascoso l'arrivo dei cinque nella parrocchia che hanno scelto per futura abitazione. Ad attenderli davanti alla chiesa, assieme ad una piccola folla, c'è uno striscione: “Non gradiamo questi cinque preti inviati dal vescovo”. Eh già, perché quei giovani, convogliati dal parroco precedente fra gente un tempo lontana dalla chiesa ma poi impegnata a dar vita ad una “chiesa dei poveri”, temono ora un'opera di restaurazione. Per i cinque sacerdoti, comunque, lo spavento non è troppo grande, perché nelle settimane precedenti, per simili motivi, erano già finiti sulle pagine di qualche giornale. E poi perché non sono affatto venuti con l'intento di “restaurare”, ma di stabilire con tutti rapporti veri, fraterni.

A batter strada, in questo senso, già tempo prima era stata una piccola comunità di Missionarie della carità - le suore di madre Teresa - che hanno dato vita in parrocchia ad una mensa per i poveri. Vi si distribuiscono in media 80 pranzi al giorno e di domenica 150 e più.

 

 

 

In mezzo alle tensioni

 

I poveri - vale a dire i senza-tetto, barboni, drogati - grazie al lavoro pastorale degli anni passati, sono molto presenti in quella parrocchia. Ogni mese circa, si svolge una giornata per loro, con liturgia e pranzo. Ed anche di domenica non mancano, dando alla messa parrocchiale il loro apporto spontaneo ed originale. Può succedere, allora, che il sacerdote all'uscire dalla sagrestia, trovi già occupato il suo posto. Ma non c'è problema. Con l'iniziare della messa, Maxe - così il nome dello “occupante” - cede ben volentieri lo spazio. Non tutti, si capisce, sanno digerire queste cose. Ed ecco allora - anche se non solo per questo - tensioni fra cattolici cosiddetti benpensanti e cattolici cosiddetti progressisti.

Questi ultimi hanno in mano, praticamente, il consiglio parrocchiale. E nella parrocchia in questione il consiglio parrocchiale è un organo importante, espressione di un laicato poco numeroso ma molto attivo. “Così attivo”, confessa il parroco, Georg Schlütter, “che mi sono spaventato quando mi hanno proposto di andare in quella parrocchia”. Abituato da anni a non elaborare parola per parola le proprie omelie, d. Schlütter nella nuova situazione preferisce presentarsi con testo scritto. E non c'è da meravigliarsi. Perché quelli del consiglio parrocchiale, a turno, prendono appunti delle omelie per farne poi la critica in occasione delle quindicinali sedute. “Così si è presentata - commenta - la prima occasione per testimoniare quale era il nostro interesse: instaurare rapporti veri, amare”.

 

 

 

Fonte di equilibrio: la vita comune

 

Certo, non ci sarebbe riuscito da solo. A dargli equilibrio e sostegno è stata la vita comune. Quando, dopo ore tempestose magari, ci si rivede a pranzo o a cena, le tensioni scompaiono. E questo anche grazie ad un espediente un po' sorprendente: hanno deciso di non parlare fra loro delle parrocchie o, semmai, di parlarne solo in positivo. Fuga? spensieratezza? oppure saggezza? Il fatto sta che così si rimane normali: uomini e cristiani, innanzi tutto. “Quando mi si chiede se trovo difficoltà nel mio lavoro, dico di no”, afferma Bernhard Brakhane, giovanissimo parroco dell'altra parrocchia. “Vivo con quattro fratelli che mi sostengono, mi correggono e mi incoraggiano. Soprattutto: fra noi si ride, e molto”. Che non si tratta di schizofrenia lo stanno a dimostrare i fatti. E' piuttosto un originale approccio che punta soprattutto sui rapporti e solo dopo sui contenuti.

Facciamone un esempio. E' imminente la seduta del consiglio parrocchiale di cui sopra. Di diritto ne fanno parte il parroco, d. Schlütter, e un altro dei cinque, d. Richard Schmidt che lavora come cappellano di un grande ospedale, ma aiuta pure in parrocchia. Come sempre, la seduta si prospetta non facile. I due decidono allora di non accordarsi sulle questioni in gioco, “per prendere sul serio i nostri collaboratori e non avere altra idea da portare avanti se non l'amore”. All'inizio della seduta d. Schmidt, che con i suoi 62 anni non manca mai di idee originali, tanto che fra i cinque scherzosamente lo chiamano “il burlone”, si presenta con due pagnotte scovate all'ultimo momento in chissà quale negozio. E procede alla distribuzione. La prima, proveniente da un panificio “Schlütter”, la consegna al vice-presidente del consiglio, un signore assai battagliero dal nome Paech. E la seconda, che reca - guardo a caso - la scritta “Pech”, la consegna al parroco Schlütter, “affinché ciascuno si ricordi che vive dell'altro”. I berlinesi, si sa, non mancano di humor e così quel gesto contribuisce ad una piccola distensione.

Un'altra volta i due si aiutano in maniera diversa: giacché sono sempre pubbliche le sedute, decidono di far assistere come ospite anche il parroco dell'altra parrocchia, d. Bernhard, col preciso compito di osservare tutto per bene per far notare poi a loro, in seguito, i momenti in cui avessero fatto pressione su qualcuno o comunque mancato di carità.

 

 

 

Farsi tutto a tutti

 

Non è sempre facile tener fede a questa linea di lenta convinzione con la sola “arma” della testimonianza. Come reagire, ad esempio, quando, nel gruppo liturgico, un signore con tutta serietà prospetta l'intenzione di parlare in occasione della liturgia domenicale della sua tendenza omosessuale e dell'AIDS che ne ha contratto, cogliendo l'occasione per esprimere davanti all'intera comunità le sue riserve nei confronti della morale cattolica? D. Richard, con l'aiuto anche del parroco, ha fatto il suo meglio per arginare la stravagante proposta. Ma soprattutto ha cercato di costruire un rapporto autentico e fraterno con quella persona. Quella domenica, prima della Messa, i due si sono ancora una volta parlati. Poi quel signore, al momento della preghiera dei fedeli, si è alzato e senza alcunché di aggressività ha parlato a tutti della sua grave malattia, pregando la comunità di accettarlo e di non abbandonarlo. La gente, compresa quella dell'altra “fazione”, è rimasta toccatissima e qualcuno - come si è saputo più tardi - ha deciso in quell'occasione di assumersi l'assistenza di un malato di AIDS in fase già avanzata.

Con periodicità le situazioni critiche si ripresentano. Quando attorno al 1o maggio il quartiere ha visto l'ennesima battaglia fra polizia e manifestanti e questi nella notte successiva hanno dato alle fiamme numerose macchine, una catechista propone di dedicare le successive messe dei bambini al tema “conflitto”, “affinché - così dice - i bambini imparino quanto siano importanti i conflitti”. In circostanze come questa, che fare? Giocandosi il tutto per tutto, i cinque sacerdoti si sono detti: non è possibile cambiare la gente di colpo e a tutti i costi. L'importante è che fra di noi ci sia il “fuoco” della carità, essendo solidali l'uno con l'altro fino in fondo. E' in questo, infatti, che trovano la forza di andare sempre di nuovo incontro a tutti. “Abbiamo imparato - dicono - che con la gente bisogna per prima cosa saper perdere se stessi. In una situazione come la nostra non c'è nessuna chance per il “parroco”. C'è solo chance per chi sa amare, farsi tutto a tutti”.

 Le occasioni non mancano. Tutti i giorni i drogati e gli alcoolizzati bussano alla porta. Occorre imparare a stare con loro. “Nelle prime settimane - racconta d. Richard - ho svuotato completamente il mio conto in banca. Avevo la soddisfazione di poter donare o prestare qualcosa. Ora, però, le mie risorse sono esaurite ed ho dovuto trovare un rapporto nuovo coi poveri. Per qualche tempo ho allora cercato di evitarli perché non potevo più soddisfare alle loro attese. Ora è diverso. Ultimamente, tornando a casa, per la prima volta ho avuto il coraggio di sedermi accanto ad uno di loro sul bordo del marciapiede”.

 

 

 

E dalle macerie riemerge l'umanità

 

Riemerge così qua o là un po' di umanità dalle macerie di storie quanto mai dolorose. Sono piccoli fatti a dimostrarlo. Così in uno dei “ritiri” per la gente che ruota attorno alla mensa delle suore di madre Teresa, l'omelia, preparata insieme da due dei sacerdoti, si indirizzava specialmente ai drogati ed agli alcoolizzati. “Ad un certo punto - racconta d. Schlütter - ho detto che la nostra comunità, come quella dei primi cristiani, doveva contraddistinguersi per il fatto che si condivide tutto. Entusiasti, i 200 presenti hanno reagito con un applauso e qualcuno ha trovato subito un'occasione per agire di conseguenza: vedendomi assai raffreddato, mi ha portato all'altare il suo ultimo fazzoletto di carta”.

“Dovete essere duri”, ha detto agli altri un barbone in una simile occasione. “Altrimenti non ce la farete. Ma voglio anche dire: qui nella parrocchia e dalle suore ci si sente a casa. Per questo voglio ringraziare”. Più tardi è venuto da d. Bernhard per confidargli: “Ho sbagliato tutto nella vita. Non puoi immaginare tutto quello che ho combinato”. Da quel colloquio è nata la confessione di una vita.

Accanto ai senza tetto, ci sono gli autonomi e quelli della nuova destra. Per la loro presenza Kreuzberg da anni è lo scenario di scontri accesi. “Quando la sera del 1o maggio, dopo un viaggio, stavo tornando a casa, - racconta d. Schlütter - ho trovato sbarrato dalla polizia ogni accesso al nostro quartiere. Sono riuscito ad entrarvi solo dopo lunghi giri. Sembrava di stare in un paese in guerra”. Qualche giorno dopo alcuni gruppi del quartiere si sono dati appuntamento per discutere dell'accaduto, ed inaspettatamente sono stati invitati anche quei preti. Era quello uno dei primi segnali di un rapporto che si va creando sempre più al di là di ogni confine. Oggi per le strade sono in molti a salutare quei sacerdoti e a fermarsi per scambiare con loro qualche parola: autonomi, drogati, punks, ma anche gente di destra. “Ciò che ci importa - dice d. Bernhard - è che venga sempre in rilievo colui che, più di tutti noi, è il Sacerdote”. Ed intende dire: il Risorto tra loro.

 

Hubertus Blaumeiser