Tendenze socio-culturali che interpellano la vita e la missione presbiterale

 

 

Quale ruolo

nella società post-moderna?

di Vincenzo Zani

 

 

In una società che richiede sempre più risposte globali, la riflessione sul prete non si dovrebbe condurre al singolare. Sembra il limite di molti tentativi volti a rivalorizzare oggi la figura del prete. Alcune riflessioni certamente non esaurienti che cercano di abbracciare il contesto più ampio e di interrogarsi sui segni dei tempi.

 

Da più parti e a vari livelli, all'interno della realtà ecclesiale, la riflessione sulla situazione dei presbiteri ha ricominciato ad occupare l'interesse e le analisi. L'imminente Sinodo dei vescovi sulla formazione sacerdotale vi ha contribuito a suo modo.
Non è mancato, per una più completa visione, e non certo per una risposta definitiva alla questione, l'apporto dell'indagine sociologica.

Gli approcci, in questo ambito, sono vari. Alcuni si richiamano ai grandi processi strutturali e culturali, caratterizzanti la società moderna, per evidenziare il ruolo assunto dai presbiteri su uno sfondo di secolarizzazione e considerando la vita dell'intera Chiesa in una società multiforme e pluralista. Altri si occupano della percezione della figura e della presenza dei presbiteri nella comunità ecclesiale e nella società complessiva, evidenziando le diverse forme di vita sacerdotale. Non mancano poi varie indagini statistiche riguardanti non solo i dati quantitativi, ma volte pure a descrivere situazioni talora allarmanti che vanno dall'oscillazione delle vocazioni e delle ordinazioni al problema dell'invecchiamento del clero e della solitudine.

Non è il nostro intento offrire qui una sintesi di queste ricerche. Ci limiteremo a qualche rilievo, muovendo sempre da una prospettiva sociologica e guardando allo stesso tempo alla vita e alla missione dei presbiteri come ad una realtà complessa e necessariamente tensionale, soggetta da un lato, alle mutevoli aspettative individuali e alle variazioni socio-culturali e, dall'altro lato, normativamente legata al dato teologico-spirituale.1

Comunque si vorrà oggi riesprimere la realtà spirituale e teologica del ministero presbiterale, non si potrà mai prescindere dalla forma storica che essa assume a seconda del contesto sociale e culturale. Partendo da questo presupposto, la nostra riflessione procederà secondo tre grandi tappe. Daremo dapprima uno sguardo all'attuale panorama sociale e culturale ed avanzeremo un'ipotesi di interpretazione. Ci occuperemo poi dei principali tentativi di valorizzazione della figura del presbitero e del suo ministero. Ed, infine, ci soffermeremo su alcuni particolari segni dei tempi che interpellano la vita dei presbiteri oggi.

 

 

 

L'oggi socio-culturale –

un'ipotesi di interpretazione


Lascia facilmente sconcertati il rapido evolversi dei volti della società contemporanea. Una via, per non rimanere nel frammentario ed effimero, può essere quella di leggere le alterne vicende di oggi sullo sfondo delle grandi linee che hanno spinto in avanti la storia dell'Occidente. Consci di quanto ogni tentativo di analisi qui rimanga necessariamente sommario, vorremmo tuttavia avanzare un'ipotesi di interpretazione. Pensiamo che i due millenni di storia cristiana siano stati guidati in particolare da due grandi principi che in qualche modo hanno la loro radice nel messaggio evangelico: una forte ansia di unità e di comunione che era prevalente in tutto il primo millennio, e che è venuta in un certo senso a costituire il fulcro del Medioevo, e una forte ansia di individualità e di libertà, caratteristica piuttosto del tempo moderno.

Il primo principio ha portato sempre di più l'Occidente cristiano a diventare una realtà sociologica oltre che religiosa. La caratteristica configurazione del cristianesimo in quell'epoca, culminata nella “christianitas medievale”, vedeva tutto strettamente legato: vita religiosa e vita civile, Chiesa e Stato, cultura e fede, filosofia e teologia. Si trattava di un progetto fortemente unitario che si proponeva di organizzare il mondo e la convivenza umana come un'unica grande piramide al cui vertice stava Dio. La rottura del 1054 fra la Chiesa di Roma e la Chiesa d'Oriente, che ha certamente vari e complessi motivi, è uno dei primi segni di crisi di questo sistema: contro un sempre più forte accentramento in nome dell'unità, si rivendica la molteplicità delle chiese locali.

“Libertà” è la parola magica della nuova epoca: emancipazione del pensiero, emancipazione delle scienze, emancipazione della coscienza religiosa. Facilmente, in ambito cristiano, si tende a vedere soprattutto i risvolti negativi di questi sviluppi. La libertà dell'uomo nei confronti degli altri non vuol essere soltanto riscoperta potente dell'uguaglianza, ma purtroppo significa presto libertà assoluta. E libertà dell'uomo nei confronti di Dio significa presto libertà di fare tutto da sé, di organizzare la vita e la convivenza umana facendo a meno di Dio. E' importante, per un'esatta lettura, vedere che quell'istanza di libertà, che è andata affermandosi in modo anche violento contro Dio e contro gli uomini, storicamente si spiega, almeno in parte, come reazione a quel rapporto prevalentemente gerarchico in cui precedentemente si era concepita la comunione dell'uomo con Dio e con gli altri.

Per il Medioevo, l'unità dell'uomo con Dio e l'unità fra gli uomini era fortemente costruita attorno ad un unico centro. Non si era riusciti a realizzare a sufficienza quella armoniosa sintesi di libertà e di comunione, di unità e distinzione che caratterizza la vita e il messaggio di Gesù.

E' nel contesto di questa inculturazione prevalentemente monocentrica ed unitaria del cristianesimo che, giustamente, la libertà ha cominciato a rivendicare i suoi diritti, cedendo però a sua volta alla tentazione di porsi come assoluta, eliminando ogni altra libertà, compresa quella di Dio.

Di qui l'inevitabile sfida di oggi: assumere in tutta la loro radicalità le due grandi aspirazioni che hanno animato la storia dell'Occidente - l'ansia di unità e l'ansia di libertà - concependo però il loro rapporto sulla base di nuove premesse. Non appare esagerato parlare a questo proposito di una svolta epocale ormai in atto.

Dall'inizio degli anni '80, in tutti gli ambiti della vita civile, da quello politico a quello economico, da quello culturale a quello sociale, è cominciata una specie di corsa verso la fine del millennio. Questa scadenza del tempo occidentale sta scatenando la fantasia di molti che vanno immaginando scenari positivi ed esaltanti, prevedendo un nuovo ordine sociale, maggiore spazio alla creatività ed alla soggettività, una sorta di “nuovo umanesimo”.

Ma vi è anche chi ipotizza il sopraggiungere di un nuovo sistema di dominio ad opera dei nuovi saperi: l'informatico, il bio-tecnologico, l'economico... Anche nel campo religioso - e Papa Giovanni Paolo II nel suo magistero si rifà a questo traguardo temporale - la fine del secondo millennio dell'era cristiana sta generando uno sforzo globale nel ripensare le forme di una “nuova evangelizzazione”.

Infatti ci troviamo ad una svolta di cultura, di modelli, di civiltà, di senso globale della vita che viene accelerata anche dall'incalzare di avvenimenti storici, fino a qualche mese fa del tutto imprevisti.

Questa evoluzione interna ed esterna, in atto nella Chiesa e nella società contemporanea, nella prospettiva degli anni '90, costituisce una vera e propria sfida, una provocazione, o meglio, una opportunità nuova per la Chiesa stessa e per tutti i credenti.

Evitando interpretazioni “millenaristiche”, il complesso mutamento in atto va vissuto dall'interno, senza cedere alla tentazione di nostalgici ritorni ai tempi passati o ad avventurose fughe in avanti. L'esigenza di incanalare progetti e angosce, soluzioni e speranze lungo linee direttrici che conducano a prendere in mano la storia con audacia e libertà; l'insistente richiesta di spiritualità autenticamente evangelica che sappia dare spazio all'interiorità intensa e, al contempo, alla sua risonanza comunitaria in termini di dialogo, di fraternità, e di solidarietà; la forte domanda di una nuova “qualità della vita” che reclama fattori ideali in grado di far da fondamento alla convivenza degli uomini, costituiscono evidenti “segni dei tempi” che interpellano la comunità cristiana e, al proprio interno, la vita e l'azione pastorale del prete.

 

 

 

I presbiteri nell'oggi storico

 

A causa delle nuove esigenze culturali, a causa della ristrutturazione del rapporto tra il ministero e la comunità, ma anche a causa della necessità di una nuova evangelizzazione dei popoli di antica evangelizzazione, il tradizionale modo di intendere il prete e il tradizionale “senso” del suo ministero appaiono non rispondenti, o poco adeguati, alla nuova realtà. Sono posti in discussione il ruolo e l'immagine del prete, la sua collocazione sociale, il suo lavoro e la sua spiritualità.

C'è oggi nei presbiteri, dopo il problematico periodo post-conciliare degli anni settanta, una capacità di adattamento flessibile alla crisi, una maggiore abilità nell'affrontarla e si registra una presa di coscienza della necessità di non continuare ad identificare rigidamente l'essere presbitero con una particolare forma di esercizio del suo ministero. Tuttavia, adattamento alla situazione, capacità di stare a galla, maggior fiducia in se stessi non significano che la crisi sia passata. Lo stanno a testimoniare, fra l'altro, le difficoltà dei giovani preti che vanno da tentazioni neo-clericali fino all'abbandono del ministero, a volte dopo pochi mesi dall'ordinazione.

Prima di passare ad una presentazione dei vari tentativi di una nuova valorizzazione della figura del prete, vorrei indicare almeno due delle principali variabili sociali, che nei tempi più recenti influiscono sulla configurazione del ministero presbiterale: la diversa considerazione delle professioni nella società moderna (a), e il frantumarsi di un contesto sociale omogeneo, a favore delle molteplici appartenenze (b).

a. Con il mutare della struttura sociale si è modificata la gerarchia delle professioni e quell'alone di gloria che circondava il ministero presbiterale è progressivamente sfumato, proiettandolo così alla ricerca di una più genuina ed autentica “spiritualità sacerdotale”. In un contesto sociale pluralistico appare inoltre meno scontata l'autorevolezza del ministero presbiterale.

b. Nell'odierna società, estremamente complessa e in continua evoluzione, dove ogni persona ha svariati quadri di riferimento e dove c'è un grande divario fra i suoi diversi ambienti vitali, il ministero presbiterale si presenta come una funzione composita, caratterizzata da compiti disomogenei ed anche eterocliti.

E' evidente che in questa situazione l'immagine tradizionale del ministero presbiterale rivela sempre più la sua inadeguatezza. Essa si inseriva, infatti, in un modello di organizzazione religiosa che aveva, per suoi presupposti, da una parte, l'unanimità teorica dell'adesione alla fede cristiana e, dall'altra, il divario culturale tra fedeli che obbedivano e un corpo pastorale che dava orientamenti.

 

 

 

Tentativi di valorizzazione della figura

e del ministero presbiterale

 

Tra l'immagine di ieri e quella di domani c'è un passaggio critico; qualcuno lo chiama il punto zero; altri “momento di ricerca”.

Da un punto di vista sociologico - e questo è il secondo momento della nostra riflessione - si possono rilevare vari tentativi in atto nella realtà ecclesiale di rivalorizzazione della figura del presbitero.

a. L'antica immagine del pastore è stata adattata alle odierne circostanze. La parrocchia è il “luogo d'insieme” dove il presbitero presiede all'incontro di tutti, perché tutti trovino l'accoglienza necessaria, il sostegno indispensabile, l'orientamento e il nutrimento per la vita spirituale e umana. L'immagine del pastore che si dona, fa correre al prete il rischio di un attivismo divorante, ma rende tranquilla e motivata l'esplicazione del ministero, al di là delle realizzazioni e degli insuccessi. Il legame stretto con la comunità locale dà al presbitero maggiori garanzie per superare le diverse difficoltà.

b. La valorizzazione della competenza segue un indirizzo che è stato sempre presente nella storia della Chiesa. Oggi però questo aspetto è stato molto accentuato. Restando invariato il senso del servizio, varia il modo di intenderlo e di attuarlo. Le competenze possono essere spirituali, giuridiche, amministrative, connesse al campo delle relazioni umane. Se da un lato quest'accentuazione è in consonanza con il risalto dato dalla società moderna alla figura dello specialista o dell'esperto in ogni ambito professionale, dall'altra sembra rispondere più alle esigenze soggettive dei presbiteri che non alla esigenza effettiva di una precisa divisione del lavoro pastorale. Nella cultura moderna la specializzazione tende, infatti, molto spesso a trasformarsi in settorializzazione che va a scapito di un'autentica visione d'insieme e si distacca nettamente dal lavoro di base. Questa tendenza applicata all'ambito ecclesiale e, specificamente, alla vita dei presbiteri può rivelarsi dannosa.

c. Un terzo tentativo di valorizzazione fa leva sugli atteggiamenti profetici. Venuto meno il tradizionale ruolo sociale, la figura del presbitero può trovare nuova legittimazione nella dedizione agli individui e ai gruppi più marginali, più bisognosi, più deboli, più lontani dagli standard elevati e accreditati dalla società. Senza nulla togliere all'importanza, soprattutto evangelica, dell'amore ai poveri e di una scelta prioritaria di essi, quest'interpretazione può correre il rischio di ridurre alla sola presenza sociale e politica la funzione ben più ampia del ministero presbiterale. Quando poi viene assolutizzata la “valenza profetica” della missione sacerdotale, facilmente si creano tensioni poco costruttive, sia nei confronti della società civile che all'interno della stessa comunità ecclesiale.

d. La tendenza a puntare tutto sulle qualità personali, che si può verificare anche nell'ambito delle altre modalità sopraddette di intendere la vita e il ministero presbiterale, per taluni può diventare addirittura l'unico modo di configurare il proprio sacerdozio. Quest'approccio, a seconda dei casi, fa leva sulle caratteristiche più varie, come la capacità di animazione, l'attitudine al dialogo, il talento organizzativo, l'impegno sereno ed entusiasta, la vivacità generosa ed intelligente. Puntare su queste qualità è per alcuni motivo di superamento delle problematiche connesse alla crisi di identità sacerdotale. D'altra parte il clima culturale in cui viviamo affida molte possibilità alla vivacità personale, diffusamente richiesta e preferita rispetto all'attuazione di ruoli prefissati.

e. Infine, dentro una certa tendenza emozionalistica e spettacolarizzante, diffusa oggi nel campo religioso, taluni vedono riscoperto il significato dell'azione presbiterale nell'affermazione del sacroestetico-emozionale che viene a sostituire il sacro tradizionale che si presentava come separato e ieratico. Sono caratteristiche di questo approccio alcune transizioni: da celebrazioni fredde e austere a celebrazioni emotivamente intense e suggestive; da relazioni non curate all'interno della comunità al calore del piccolo gruppo; da una predicazione prevalentemente dottrinale ad una comunicazione piena di suggestioni e ripetute affermazioni d'impegno senza lasciare spazio al silenzio e alla riflessione pacata.

 

 

 

Alcune conclusioni ed indicazioni

per il futuro

Volendo trarre alcune riflessioni dalle osservazioni sociologiche bisogna ammettere che siamo di fronte ad una situazione poco rassicurante.

 Prima. Se la percezione o la coscienza della crisi dei presbiteri si è attenuata, occorre riconoscere che su di essi, nelle attuali condizioni culturali, grava un compito per molti versi eccessivo.

Seconda. Il compito di adattamento, di ricomprensione della figura del presbitero, della sua vita e della sua “funzione” ecclesiale e sociale, è affidata in gran parte alla sensibilità, alla competenza, alla generosità, alle risorse di ciascuno. Ne risulta che i tentativi di soluzione, appaiono parziali e arbitrari, non oggettivi e piuttosto frammentari.

Rimane da osservare, da un punto di vista sociologico, che non si potrà superare l'inconveniente della dispersione nel modo di concepire il ministero presbiterale senza una considerazione approfondita in una visione d'insieme. Innanzi tutto circa le modalità di tale riflessione: essa non può essere puramente teorica, né esclusivamente decisionistica. Per quanto riguarda poi i contenuti, sembra talvolta che la vita e la missione dei presbiteri siano viste, vissute o studiate senza o quasi senza riferimento alla Chiesa come comunione e, specialmente, alla comunità del presbiterio. Se è vero che tale riferimento è essenziale, appare estremamente importante preoccuparsi non solo del singolo prete ma anche, e soprattutto, del senso e della crisi di appartenenza del prete al presbiterio, alla Chiesa locale.

 

 

 

Tre dimensioni cruciali

in risposta ai segni dei tempi

Il terzo momento della nostra riflessione è il tentativo di individuare alcune dimensioni cruciali come risposte per e della vita dei presbiteri alle provocazioni del mondo. Si intende indicare qualche spunto indicativo per dare ragione, in positivo, della figura del prete, partendo da alcuni “segni dei tempi”.

 

Prendiamo in considerazione, fra i tanti possibili, tre stimoli particolari:

- la coscienza “post-moderna”;

- il bisogno di socialità;

- l'interdipendenza a livello mondiale.

 

 a. La “fine della modernità” o la “post-modernità” suscita fenomeni non esenti da ambiguità, ma decisamente significativi. Sono da rilevare, in particolare, il ritorno al sacro come “altro” dall'ideologia umana, e il ritorno all'etica come “altro” dalla tecnica e dalla manipolazione dell'uomo. Solo dall'apertura a questo “altro” sembra poter scaturire la dimensione di un novum reale. Acquista allora nuova rilevanza la figura del sacerdote come testimone del Tutt'Altro. A chi ricerca il sacro, il sacerdote deve poter offrire il “Santo”. A chi ricerca la verità etica il sacerdote deve poter offrire la Parola che è “la luce degli uomini” e riprende vigore da qui l'impulso per la nuova evangelizzazione. Ma ciò non è possibile se quello che annuncia non è già realtà palpitante nella sua vita, se la vita di Dio non si incarna quotidianamente in lui, mediante una scelta trasparente di Dio ed un'intensa vita della Parola.

 b. L'odierno bisogno di socialità invita urgentemente alla riscoperta della dimensione comunitaria del ministero presbiterale. Con la morte di Cristo sulla croce, che per amore si abbandona alla volontà del Padre, con la sua resurrezione e la Pentecoste, i progetti di comunione dell'umanità sono posti di fronte alla loro meta ultima: l'unità delle persone in Dio, la comunione nell'amore. E proprio la comunione degli uomini in Cristo, esperienza della Chiesa, costituisce il fermento che lievita dall'interno il cammino comunitario dell'umanità. La vita dei presbiteri, in questo contesto, è credibile solo se essi sono uomini della comunione e del dialogo, testimoni della presenza di Dio, non solo come singoli, ma anche come comunità. Ciò però è possibile se essi non vivono da soli ma realizzano assieme agli altri sacerdoti un'autentica esperienza di comunione.

c. Un terzo segno dei tempi che oggi interpella la vita dei sacerdoti è la crescente consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini ed i popoli. “Il fatto che uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno di una realtà trasformata in coscienza, acquistando così connotazione morale” (Sollicitudo rei socialis, 38). Diventa in questo modo sempre più attuale l'espressione del Concilio che ha parlato del mondo come “spatium verae fraternitatis” (cf GS 37a) - come luogo cioè in cui e attraverso cui matura e cresce l'intersoggettività degli uomini sul modello dell'intersoggettività divina, trinitaria.

Questa aspirazione, che sale da tutta l'umanità, esige solidarietà con ogni uomo ed impegno per il bene comune, valori forti non ostacolati dagli egoismi, dalla brama del potere e del profitto. I sacerdoti sono da ciò stimolati a coltivare atteggiamenti di “servizio” disinteressato, del “saper perdere” la propria vita, di accoglienza piena, esercitata verso qualunque prossimo, di rispetto per ogni persona umana.

In sintesi possiamo concludere che al prete di oggi viene richiesto di essere pastore e maestro ma soprattutto testimone. Pertanto egli necessita di ricchezza di vita spirituale, di buone capacità dialogiche e relazionali - non frutto di acquisizioni tecniche e scientifiche, ma espressione di un modo d'essere maturato attraverso l'esperienza di una vita di comunione - ed infine di una solida preparazione teologica.

In altre parole, una efficace formazione permanente, dovrà portare il prete ad essere colui che tende costantemente a Dio portandosi dietro l'umanità e a stare in mezzo agli uomini, schiudendo a loro il mistero di Dio-Trinità, come vita vissuta.

 

Vincenzo Zani