MITEZZA E/O FORTEZZA ?

editoriale di Enrico Pepe

 

In un mondo in cui la rivalità e la competizione costituiscono la legge del vivere quotidiano, tra individui come tra popoli, non è anacronistico voler parlare di mitezza?

Chi è .disposto a cedere davanti alla violenza, chi vuol amare il nemico distruggendo dentro di sé l'odio, chi rinunzia all'aggressione, non sarà forse facilmente emarginato dalla società? E se un simile stile di vita fosse proposto ed attuato da un intero popolo, questo non diverrebbe presto vittima dei soprusi da parte di gruppi economicamente e politicamente più potenti ? Chi mai ha creduto alla forza della non-violenza ?

Già Eraclito, nella Grecia classica dell'armonia, proclamava che la guerra è madre di tutte le cose: il mondo si va facendo nel conflitto tra forze contrarie, da cui nasce il nuovo. Le lotte costituiscono la trama del reale nel cammino ascendente dell'evoluzione.

Lo stesso sostrato filosofico riaffiora anche in pensatori a noi più vicini. Darwin ha visto nella lotta per la vita, con la conseguente eliminazione dei più deboli, il motore dell'evoluzione. Marx dal canto suo presenta la lotta di classe come dinamica vitale per il progresso sociale. Ma anche il capitalismo si basa su una filosofia di lotta, stabilendo un rapporto di competizione sfrenata tra gli uomini.

Tutte queste concezioni - anche se hanno ispirato sistemi socio-politici apparentemente contrapposti - si alimentano dell'egoismo umano, e istallano la violenza. La guerra, pur tanto deprecata ,da tutti, è da tutti preparata e alimentata come qualcosa che fa parte integrante di questa visione dell'uomo. D'altronde, gran parte della storia dell'umanità fino ad oggi sembra confermarlo... Ma dovrà essere sempre così ? L'uomo non uscirà mai dalla spirale dell'odio che genera violenza?

'Ecco uno dei punti nevralgici in cui l'uomo sperimenta la propria impotenza e - forse inconsciamente – aspetta la salvezza che viene dall'alto: aspetta Cristo. Se dietro la visione sia marxista che liberale c'è la triste convinzione di Hobbes, homo homini lupus, la visione cristiana sull'uomo porta la rivelazione che tutti gli uomini sono fratelli, perché figli dello stesso Padre. Di più: mi f a scoprire che ogni uomo è me, perché siamo tutti membra di un unico Corpo.

Non è forse questa la "svolta antropologica" che la teologia sente oggi di dover compiere ? E non è questa l'aspirazione spontanea e quasi prepotente che esprimono le giovani generazioni ? Certo, non sarà facile ribaltare uno stile di vita gravato da millenni di violenze; eppure, quando in un uomo - Gandhi - si è visto un tentativo di tal genere, il mondo intero ha sussultato di gioia.

Finora, solo uomini della statura dei santi hanno preso sul serio la beatitudine evangelica della mitezza. Gli altri hanno scambiato la mitezza per codardia, e l'odio per fortezza.

La mitezza non è la passività conciliante di chi vuol vivere indisturbato. L'uomo del quieto vivere non è mai stato discepolo di Chi annunziò e visse le beatitudini. Non è neanche la rassegnazione, la sottomissione pura e semplice ai prepotenti.

La mitezza è la massima espressione della fortezza e della magnanimità del cuore umano. Il suo modello è il Cristo crocifisso e risorto. Da Lui impariamo la mitezza che ha in sé la forza di trasformare il mondo.

Enrico Pepe