Sintesi di uno studio di don Pasquale Foresi

LA VENUTA DI GESÙ E LA MALATTIA

2 /Nella vita della Chiesa

 

Concludiamo la pubblicazione - iniziata sul precedente numero - di una panoramica sulla visione cristiana della malattia, alla luce della venula di Gesù e dell'avvento del Regno di Dio nella storia. Don Pasquale Foresi - dopo aver esaminato il terna negli scritti del Nuovo Testamento - sposta ora la sua riflessione su alcuni punti-cardine dell'insegnamento della Chiesa e della sua tradizione liturgico-sacramentale, riguardanti il significato della malattia come pure il senso delle guarigioni, che fin dall'inizio accompagnano la missione della Chiesa nel mondo. Dell'ampio studio, come già per la prima parte, riportiamo una sintesi curata dalla redazione.

a cura della Redazione

 

Dopo aver approfondito, nei suoi aspetti principali, il rapporto tra l'avvento del Regno di Dio in Gesù e la malattia alla luce del Nuovo Testamento - nei cui scritti tale tematica è ampiamente presente -, ci chiediamo ora quel è il pensiero della Chiesa in proposito.

Nella storia della Chiesa non è stata sviluppata una vera e propria spiegazione dogmatica della realtà della malattia e delle sue cause generali; né si è approfondito in questo senso il significato delle guarigioni. Esaminando tuttavia i documenti della tradizione - specie le fonti liturgiche -, troviamo lungo i secoli una medesima fede della Chiesa, che ha sempre pregato per i malati e sempre ne ha invocato la guarigione, in modo particolare nel sacramento dell'unzione degli infermi.

C'è inoltre tutta l'opera immensa di servizio e di impegno sociale in favore dei malati che la Chiesa ha sempre svolto nell'arco della sua storia.

Riportiamo, fra le tante, alcune preghiere di invocazione a Dio per la guarigione delle malattie riprese dalla tradizione della Chiesa lungo i secoli, prima di offrire alcune riflessioni generali sul rapporto tra la Chiesa e i inalati.

 

La malattia nelle fonti liturgiche

 

Benedizione dei malati del IV secolo:

«Signore, Dio delle misericordie, distendi la tua mano e concedi che tutti i tuoi malati siano guariti; concedi che siano fatti degni della salute, liberali dalla presente malattia; concedi che siano guariti nel nome del tuo unigenito; il suo santo nome sia per loro un vero mezzo di guarigione e di buona salute, poiché per lui viene a te la gloria e la potenza nello Spirito Santo ora e per tutti i secoli dei secoli».

Preghiera contro le malattie del V secolo:

            « ...il Dio dei secoli che è asceso al settimo cielo, che è alla destra del Padre, agnello benedetto; per il suo sangue le anime sono state liberate, per lui sono state aperte le spranghe di bronzo delle porte benedette; egli che ha spezzato le catene di ferro, ha liberato i prigionieri dalle tenebre, ha fatto uscire la morte. Il nemico apostata è stato da lui stravinto e precipitato nelle sue dimore. I cieli sono pieni di esultanza e la terra è allietata dal gaudio, perché il nemico è stato cacciato. Tu hai dato la libertà alla creatura che cercava il Signore Gesù. Egli stesso è la voce che scioglie i peccati ogni volta che invochiamo il suo Nome Santo. I principati, le virtù, le dominazioni delle tenebre, lo spirito immondo, gli assalti del demonio nelle ore vespertine, la febbre fredda, ardente o intermittente, la malizia degli uomini o la virtù del nemico siano private di ogni potere di corrompere l'immagine divina fatta dalle tue mani. Perché tua è la virtù e la compassione verso il mondo, tu che domini i secoli».

 

Preghiera per l'unzione degli infermi e degli indemoniati dell'VIII secolo:

«Signore, che hai dato la forza della tua benedizione allo studio della salute della creatura umana, affinché la salute nei nostri giorni si spendesse per la santificazione delle aninme e per il servizio dei corpi delle tue creature, infondi in questo olio la tua santificazione, affinché essa allontani l'infermità da coloro le cui membra saranno unte con questo olio, dopo aver allontanato le insidie della potenza avversaria, e alla malattia si sostituisca la piena salute, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo».

 

Formula dell'unzione degli infermi del X secolo:

« Ti ungo con l'olio santificato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo come Samuele unse David re e profeta, affinché in te non si nasconda lo spirito immondo né nelle membra, né nelle midolla, né in alcuna altra parte del corpo. Ma la virtù di Cristo altissimo e la virtù dello Spirito Santo inabitino in te, affinché per l'operazione di questo mistero e per questa unzione con l'olio sacro, e per le nostre suppliche, medicato e rinvigorito per l'opera della santa Trinità, tu meriti di ricevere retta rapida e migliorata salute».

 

In sintesi possiamo dire - prendendo spunto da un significativo passaggio della seconda preghiera riportata sopra (V sec.) - che, come risulta in queste fonti, la Chiesa prega perché «la virtù del nemico - cioè la forza del "principe di questo mondo" - sia privata di ogni potere di corrompere l'immagine divina», impressa da Dio nella creatura umana. Quest'immagine, che è il vero progetto integrale di Dio sull'uomo, è in qualche modo offuscata non solo dal peccato, ma anche dalla malattia. La Chiesa prega quindi perché tale immagine sia ristabilita pienamente: perché si realizzi, cioè, l'uomo nuovo « ricreato » da Cristo, sia nello spirito che nel corpo.

 

II sacramento dell'Unzione degli infermi

 

Se dunque siamo malati - o anche se curiamo dei malati - dobbiamo certamente utilizzare tutte le arti mediche che conosciamo e che ci sono accessibili; ma dobbiamo soprattutto aver fiducia in Dio che può supplire anche all'insufficienza della medicina. F questo lo possiamo fare attraverso la fede e la preghiera, che in particolare nella vita della Chiesa si esprimono in un sacramento: l'unzione degli infermi. In tal modo eviteremo di sopravvalutare la medicina; e d'altra parte non correremo il rischio di cadere nell'idolatria o nella superstizione - come già diceva san Giovanni Crisostomo ai suoi fedeli che, di fronte ai limiti della medicina, si lasciavano talvolta attrarre da stregoni o fattucchiere per guarire sé e i loro figli, dimenticandosi della fede della Chiesa (cf. Commento all'epistola ai Colossesi, 8, 5-6).

 

Cenni storici sulla dottrina del sacramento

 

Testimonianze relative all'unzione degli infermi si trovano fin dai tempi antichi nella tradizione della Chiesa, segnatamente in quella liturgica, sia in Oriente che in Occidente.

Anche la dottrina che afferma che il sacramento dell'Unzione - oltre ai benefici spirituali - può avere, allo stesso tempo, se Dio lo vuole, degli effetti sulla malattia, rientra nella tradizione della Chiesa fin dai primissimi secoli.

Ad esempio, il Sacramentarium Serapionis del IV secolo nomina l'Unzione come farmaco di vita e di salvezza destinato alla salute e all'integrità dell'anima, del corpo e dello spirito. Tra i mali che l'olio deve cacciare il rito enumera le malattie, i dolori vari, la febbre, le piaghe. Cesario di Arles afferma che l'Unzione data alla Chiesa è a beneficio sia del corpo che dell'anima.

I monumenti della liturgia provenienti dall'alto Medio Evo nominano per lo più insieme il corpo e l'anima come destinatari dei benefici dell'Unzione. Tale formulazione si trova, ad esempio, nei Sacramentari Gelasiano e Gregoriano.

La dottrina circa la sacra Unzione è inoltre esposta nei documenti dei Concili Ecumenici, in particolare del Concilio Fiorentino e soprattutto del Tridentino e del Vaticano II.

Dopo che il Concilio Fiorentino ebbe descritto gli elementi essenziali dell'unzione degli infermi, il Concilio di Trento ne definì la divina istituzione, indicando tutto ciò che intorno alla sacra Unzione è tramandato dalla epistola di Giacomo, in particolare per quanto riguarda la realtà e l'effetto del sacramento. «Questa realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione lava i delitti, che siano ancora da estirpare, toglie i residui del peccato e reca sollievo e conforto all'anima del malato, suscitando in lui una grande fiducia nella misericordia del Signore, per cui l'infermo, così risollevato, sopporta meglio i fastidi e i travagli della malattia e più facilmente resiste alle tentazioni del demonio e riacquista talvolta la stessa salute del corpo, quando ciò convenga alla salute dell'anima». Per quanto riguarda il ministro competente, il Concilio dichiarò che ne è ministro il presbitero.

Da parte sua, il Concilio Vaticano II contiene queste ulteriori affermazioni: «L'Estrema Unzione, la quale può essere chiamata anche o meglio "Unzione degli infermi", non è il sacramento soltanto di coloro che si trovano in estremo pericolo di vita. Perciò, il tempo opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, cominci ad essere in pericolo di morte» (SC 73). E che l'uso di questo sacramento rientri nelle sollecitudini di tutta la Chiesa è dimostrato da queste parole: «Con la sacra Unzione degli infermi e con la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché rechi loro sollievo e li salvi (cf Gc 5, 14-16), anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo (cf Rm 8, 17; Col 1, 24; 2 Tm 2, 11-12; 1 Pt 4, 13), per contribuire così al bene del Popolo di Dio » (LG 11).

Notiamo brevemente come queste affermazioni del Vaticano II sviluppino la dottrina sul sacramento in una prospettiva più «a corpo mistico» - connessa all'idea paolina del significato salvifico della malattia -, rispetto alla concezione più individuale e spiritualizzata del Tridentino.

La Costituzione Apostolica Sacram Unctionem infirmorum, emanata da Paolo VI il 30-11-1972, specifica che il sacramento dell'Unzione degli infermi si conferisce, a coloro che sono ammalati con serio pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio d'oliva o, secondo l'opportunità, con altro olio vegetale, debitamente benedetto, pronunciando per una sola volta queste parole: «Per questa santa unzione e per la sua misericordia pietosa il Signore ti aiuti con la grazia dello Spirito Santo affinché, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi».

Accenniamo ora ad alcuni significati della malattia alla luce dell'insegnamento della Sacra Scrittura e della Tradizione della Chiesa.

 

II significato della malattia nell'insegnamento della Chiesa

 

In base ai documenti sopra riportati, una interpretazione cristiana della malattia si può così schematizzare:

a) significato punitivo-pedagogico. A volte la malattia è vista come punizione per il peccato, come nel passo già citato di Paolo (1 Cor 11, 29-30) (cf Gen's n. 5/1984, p. 6).

Parlare oggi di punizione da parte di Dio, è fare un discorso che spesso non viene accolto. Punizione per il peccato, in realtà, può voler dire la conseguenza dello stato peccaminoso dell'umanità, senza uno specifico riferimento al peccato del singolo. Ma, se è vero che nella maggior parte dei casi Dio permette la sofferenza e la malattia per il bene dell'uomo che si ammala, è anche vero che in alcuni casi - come ad es. in quello della morte di Anania e Saffira - troviamo l'intervento punitivo di Dio in conseguenza del peccato personale.

b) significato ascetico. Altre volte, la malattia è una purificazione per i peccati commessi.

Un esempio è l'episodio degli Atti in cui Paolo e i suoi compagni sono a Cipro, dove un mago, Elimas, fa loro opposizione, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. Paolo allora gli dice: «Ecco, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole» (Atti 13, 9-11).

Il fatto della cecità di Elimas il mago è appunto il caso di una malattia purificatrice, che cioè porta i suoi effetti purificatori col tempo. Anche l'episodio della malattia agli occhi che colpisce Saulo dopo la visione sulla via di Damasco ha questo senso di purificazione nell'ascesa a Dio, che renderà l'apostolo atto a contemplare pienamente la gloria del Risorto.

c) significato salvifico. Infine, la malattia può essere per l'espiazione dei peccati e per il bene degli altri: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa» (Col 1, 24).

Questo è certamente il significato più profondo e più proprio della malattia alla luce del Nuovo Testamento. Anche se Paolo intende qui parlare delle sofferenze proprie dell'apostolo, si può sicuramente intendere che tutte le sofferenze e le malattie accettate per amore di Cristo crocifisso «completano la passione di Gesù».

Ma queste tre spiegazioni esauriscono l'interrogativo della sofferenza e della malattia? Fanno luce per sempre su questo mistero del l'uomo? Se pensiamo ai milioni di denutriti dell'India o di altre parti del mondo, alle atrocità di tanta nostra storia contemporanea, laddove si vive tra gli stenti e si muore innocentemente senza appartenere - almeno visibilmente - alla Chiesa, e senza conoscere Cristo, allora riaffiora e si ripropone il problema di Giobbe, tanto da far parlare oggi di un «Giobbe collettivo»: la malattia è e resta un mistero di Dio.

Ciò ci spinge allora ad uno sguardo ancor più in profondità nella realtà della sofferenza umana, recuperando la stessa testimonianza di Giobbe nell'Antico Testamento.

I1 libro di Giobbe è un dramma a diversi personaggi: il principale è Giobbe, un uomo giusto che viene privato di tutto e si ammala ad opera del demonio. Giobbe allora comincia a dubitare che Dio sia giusto finché, quand'è giunto all'estremo delle forze, Dio stesso gli appare e gli mostra la sua grandezza. Giobbe allora gli risponde non più con un ragionamento, ma in contemplazione gli dice: «Comprendo che puoi tutto e che nulla è impossibile per te. Chi è colui che, senza aver scienza, può oscurare il tuo consiglio ? Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che non comprendo. (...) Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento su polvere e cenere» (Gb 42, 1-6).

I1 dolore e la malattia sono un mistero imperscrutabile di Dio; ma, attraverso il dolore e la malattia, accettati così, si ha come Giobbe una più piena visione di Dio, sia pure nella tenebra divina. E ciò ci svela qualcosa del significato profondo della malattia stessa.

 

Le cause della malattia

 

Cosa ci dice la Chiesa sulle cause della malattia ? Negli scritti dogmatici della Chiesa - come abbiamo detto - non si parla della condizione di malattia, ma piuttosto della realtà della morte, che certamente è legata alla malattia. Il Concilio di Trento ribadì che la morte è conseguenza del peccato, anche se evitò di pronunciarsi sulla condizione originaria dell'uomo, precedente al peccato. Il nuovo Rituale sul sacramento dell'Unzione degli Infermi, nelle Premesse, usa queste espressioni: «Non si può negare che ci sia uno stretto rapporto fra la malattia e la condizione di peccato in cui si trova l'uomo». I1 testo afferma quindi che c'è un legame fra la malattia e il peccato, anche se non sempre personale.

La Conferenza Episcopale Italiana, nel documento su Evangelizzazione e Sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermi, parlando della malattia e delle sue cause, dice: «Secondo la fede cristiana la malattia ha la sua origine, oltre che nella finitezza della creatura umana, nella corruzione introdotta nel mondo dal peccato» (n. 132).

Questo documento afferma, quindi, che la malattia viene all'uomo non solo a causa del peccato, ma anche a causa della finitezza della natura umana. Il documento è autorevole e rispecchia l'orientamento della teologia attuale, che lega la malattia alla realtà della creaturalità umana, oltre che al peccato.

Il significato della guarigione

Nella Chiesa, anche se in forma ridotta, sin dal tempo di Pietro e Paolo (cf At 3, 1-10) ci sono sempre stati miracoli di guarigione: qualcosa cioè che supera le leggi della natura. E ciò è sempre stato visto come segno e testimonianza della santità della Chiesa e dei suoi membri.

E' da tener presente, a tale proposito, che ogni guarigione avviene quando essa è di giovamento spirituale alla persona malata. Se tante guarigioni non avvengono, ciò può dipendere dal fatto che quella particolare guarigione sarebbe un impedimento o un ostacolo alla santità personale del malato. E' per questo che Gesù richiedeva quasi sempre la fede in coloro che guariva, cioè una opzione fondamentale di vita.

D'altra parte, le guarigioni che avvengono nel mondo sono certamente moltissime, anche se non tutte rientrano nel numero delle guarigioni miracolose riconosciute come tali canonicamente dalla Chiesa: sono guarigioni ottenute, ad es., dalla preghiera delle madri e dei padri per i figli, e viceversa.

Tutto ciò ci dice come desiderare e credere nella guarigione del malato ad opera della fede e delle preghiere faccia parte del patrimonio profondo della Chiesa.

In questo senso, possiamo anche accennare alla speranza, e al suo significato nei riguardi della malattia e della guarigione. L'atto della speranza teologale è il desiderio fiduciale della beatitudine eterna; la speranza, cioè, ci dà la sicurezza dell'aiuto di Dio per raggiungere la beatitudine eterna, ed anche per ottenere ciò che ci è necessario per raggiungerla.

Fra questi aiuti necessari, non ci sono di per sé la salute o l'esenzione da disgrazie; ma ci possono essere, se ciò giova al bene intero ed ultimo della persona.

Leggendo le lettere dei primi secoli del cristianesimo, troviamo spesso citata in tal senso la speranza. I primi cristiani erano fiduciosi nelle avversità; pur essendo poche comunità sparse nel grande impero romano, avevano la speranza che, nelle lotte e nelle persecuzioni, consentiva loro di chiedere a Dio la salute e la salvezza.

La speranza è qualcosa che non è fuori, ma dentro di noi; è quello slancio vitale che ci fa vivere trascendendo noi stessi, che ci toglie dalle disperazioni. e che viene afferrato dal divino. Dobbiamo sperare perché Dio ci ama. Ciò non vuol dire che non potranno esserci momenti d'incertezza, di grande travaglio, di disperazione, anche a causa di gravi prove fisiche o psichiche: ma la speranza ci dà la certezza dell'amore di Dio e del suo aiuto che non ci può mai mancare.

 

Il rapporto fra malattia e dolore

 

Parlando del dolore dell'uomo, una prima distinzione da fare è quella fra il dolore fisico e quello spirituale, tenendo presente però che nel Nuovo Testamento la parola corpo significa generalmente tutto l'uomo: non c'è nella concezione ebraica, che è alle radici del pensiero cristiano, la netta separazione tra anima il corpo, che è tipica invece della filosofia classica greca. Si può affermare, quindi, che il dolore non è mai soltanto fisico o soltanto spirituale. Non c'è dolore fisico, infatti, che non abbia ripercussioni sulla sfera emotiva, spirituale o morale dell'uomo: e ciò sia in senso negativo, con l'abbatterlo e con l'accasciarlo, che in senso positivo, col superamento e l'accettazione del dolore stesso.

II dolore ha poi ripercussioni enormi anche di carattere sociale: basti pensare ai casi di famiglie colpite da grave malattia di uno dei loro membri. I1 dolore incide sempre profondamente anche sul rapporto che l'uomo ha con l'altro uomo.

E' qui che vediamo come la malattia - e il dolore provocato dalla malattia - non tocca solamente il corpo dell'uomo, né solo la sua condizione spirituale, ma tocca più in profondità la realtà stessa dell'essere-persona dell'uomo.

La condizione di malattia, ad esempio, tocca la persona umana, limitandone la libertà. Il malato dipende, in primo luogo, dal medico. Se è poi. ospedalizzato, ad esempio in quegli ospedali dove non c'è una vera assistenza caritativa umana e cristiana il malato viene svalutato come persona: si trova bloccato, impacciato, impedito. Ciò d'altra parte si verifica spesso anche in famiglia: ogni volta che il malato non viene valorizzato come uomo in senso pieno, non gli viene riconosciuta quella stessa dignità personale che aveva prima di ammalarsi.

Arriviamo qui a quella che è la vera sofferenza del malato: egli non è più un uomo attivo, creativo, in una positiva dimensione di socialità: è impedito nel suo essere persona. Ecco il senso delle moderne associazioni fra malati, le cui finalità sono appunto quelle fondamentali di rendere attivi e creativi i malati - anche per quanto riguarda il lavoro - attraverso il rapporto, onde possano riacquistare, per quanto possibile, la loro integra personalità. Sono queste finalità sane, pienamente umane e cristiane, che riecheggiano il principio soprannaturale testimoniato dalla Chiesa; la quale afferma che la sofferenza è principio di redenzione del genere umano, ponendo così il malato in una posizione assolutamente creativa. Il malato è in realtà «persona» in modo pieno e prezioso, e contribuisce all'edificazione del Corpo mistico.

Ma questo significato profondo della sofferenza e della malattia si comprende solo alla luce del mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Egli infatti non solo è la sintesi di ogni dolore fisico e spirituale, ma è il culmine di quel dolore che tocca l'uomo nel suo esser più profondo. In Gesù crocifisso che grida l'abbandono è colpito il cuore stesso del suo divino essere Persona: il rapporto al Padre. Ma proprio in questo mistero estremo di dolore e di abbandono Egli rovescia questo totale spogliamento di Sé nella realizzazione perfetta dell'essere-Persona: perché è lì che Gesù è pienamente Amore, dono di Sé al Padre nello Spirito.

La Risurrezione di Gesù è il segno della redenzione del dolore - ed anche della malattia - nel suo aspetto più profondo: la malattia, che può colpire il cuore dell'essere persona, si trasforma - in Gesù crocifisso e abbandonato - nella possibilità di realizzare la persona nella sua dimensione più autentica; cioé nella capacità di donare se stessi per la redenzione dei propri fratelli (cf. Col 1, 24).

 

Conclusione

 

Al termine di queste considerazioni, possiamo concludere che la Chiesa è, nella sua missione, una continuazione della vita di Gesù e degli Apostoli non solo per la grazia della salvezza delle anime, ma anche per aiutare i corpi.

Se guardiamo alla realtà profonda delle cose, vediamo che questo potere deriva alla Chiesa dal mistero della morte e risurrezione di Gesù. Gesù risorge dalla morte, vince la morte e, con questa, anche la malattia. Naturalmente, soltanto attraverso la seconda venuta di Gesù, con la piena e definitiva instaurazione del Regno di Dio, ci sarà la guarigione totale da tutte le miserie e dalle malattie. Ma la risurrezione di Gesù incomincia a farsi sentire sin d'ora su questa terra; e la Chiesa, che crede a questa potenza di Dio, ed è l'interprete fedele di questa vita - che giustamente è stata chiamata vita «risuscitante», anche se non ancora risuscitata (Olivier Clément) -, testimonia con la sua potenza, nelle anime primariamente ma anche nei corpi, il suo cammino verso i Cieli nuovi e le Terre nuove.

a cura della Redazione