UNA COSCIENZA SOCIALE

editoriale di Lino D’Armi

 

Se qualcuno dei 3.500 partecipanti al Congresso su "Economia e lavoro nella visione cristiana", tenuto all'Hotel Ergife (Roma) dal Movimento Umanità Nuova il 3 giugno scorso, avesse pensato di andare a sentire unicamente dei bei discorsi, si sarebbe presto dovuto ricredere.

Un momento di studio e di approfondimento -, così si era presentata la giornata. Di fatto, i delegati intervenuti da 29 paesi dei 5 continenti hanno via via assistito - e contribuito, con le testimonianze offerte e la vissuta partecipazione - al disegnarsi di un'immagine viva e rinnovata della socialità: un'immagine convincente, palpabile e affascinante.

L'impressione era di trovarsi ad un crocevia dove l'umano e il divino, che si è abituati spesso a collocare in ambiti ben separati e distanti, convergono e si compenetrano profondamente. Il lavoro, come dimensione attraverso la quale l'uomo si fa più uomo; la possibilità e la necessità di «servire Dio prima di tutto da lavoratori... perché col lavoro ci si realizza e si adempie il disegno di Dio »; e ancora, « la fatica del lavoro come contributo alla redenzione dell'uomo e alla restaurazione del cosmo »: questi solo alcuni degli spunti proposti da Chiara Lubich, nella sua ricca relazione programmatica. Si costatava - forse con sorpresa - come l'Amore, la Verità e la Giustizia possano prendere forma e dimora in mezzo agli uomini d'oggi...

Non solo. Le parole di Chiara Lubich spingevano innanzi tutto a guardarsi in faccia, a riscoprirsi - come uomini del lavoro - fratelli. « Si sa cosa .significa nel pensiero di Dio "socialità" con i fratelli. Significa amarli come se stessi, non di meno ». Occorre, dunque, la riscoperta di «una coscienza sociale» che superi le divisioni con l'amore, e che non sia quindi una solidarietà di classe, ma l'unità di tutti gli uomini del lavoro; che non sia limitata ad un settore, il proprio mondo del lavoro, ma guardi a tutti gli altri « mondi » del vivere umano; che non si chiuda neppure entro i legami d'appartenenza al proprio popolo, o paese, o razza: «Occorre una coscienza sociale a dimensione planetaria. Soltanto uomini con la coscienza aperta sul mondo intero, uomini-umanità, per così dire, uomini che cercano di dilatare il loro cuore su quello.di Cristo Uomo-Dio, possono assurgere oggi a quella regalità a cui ogni uomo da Dio è chiamato».

Non soltanto discorsi, dicevamo. Il Congresso infatti non è nato a tavolino, ma è stato l'espressione di quarant'anni di vita, è stato preparato dal lavorìo nascosto di migliaia e migliaia di persone, in tutto il mondo. Ed è l'esperienza continua del «date e vi sarà dato» (Lc 6, 38), del «centuplo» promesso a chi cerca anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt, 6, 33) - verificata ad ogni latitudine - la forza di quest'annuncio e di questa proposta. E' - in concreto - la comunione dei beni spirituali e materiali, liberamente vissuta già a dimensione planetaria fra persone di razza e ceti sociali diversissimi, che faceva di quella sala non solo un punto d'incontro di Dio con l'uomo, ma degli uomini fra di loro: un appuntamento in cui anche i vari credo politici e le varie culture potevano convergere e ritrovarsi più se stesse.

Il « cielo nuovo » e la « terra nuova » di cui parla l'Apocalisse, in questa luce, non apparivano poi così lontani. Il peso del lavoro sembrava tramutarsi in sollievo, perché lo si scorgeva come propellente nel cammino verso quel traguardo. E' quel traguardo, in realtà, che siamo chiamati ad anticipare sin d'ora, facendo di ogni ambiente di lavoro la «dimora di Dio con gli uomini» (Ap. 21, 3), perché si avveri ancora, su più ampia scala, quel che realizzarono già i primi cristiani: «non vi era nessun indigente fra loro» (Atti, 4, 34).

Lino D'Armi