Un tema emergente, in due recenti pubblicazioni teologiche

 

L'ABBANDONO DI GESÙ

l/ Uno studio esegetico

a cura di Hubertus Blaumeiser

 

« Gesù abbandonato - il Dio di oggi » così l'ha più volte definito Chiara Lubich. Gesù nel suo abbandono in croce - lo si sa - è uno dei cardini del suo pensiero e della spiritualità del Movimento dei Focolari. Eppure, è ben più di un cardine. Nel pensiero di Chiara Lubich, Gesù abbandonato è il punto focale che tutto comprende, la « chiave » che tutto spiega: « In Lui è tutto il paradiso con la Trinità e tutta la terra con l'Umanità (Scritti Spirituali, I, p. 45).

Sono recentemente apparsi due studi che, partendo da questa intuizione, ne approfondiscono il significato nell'ambito della scienza teologica e della riflessione sulla cultura contemporanea.

Le due opere, diciamolo subito, sono di indirizzo assai diverso e, in un certo senso, si completano a vicenda. Lo studio esegetico di Gérard Rossé - pubblicato per ora in francese (Jésus abandonné. Approches du mystère, Paris 1983) e in tedesco (Jesus in seiner Verlassenheit Der Gott unserer Zeit, München 1983), ma di prossima edizione anche in italiano - esamina a fondo il significato biblico del grido d'abbandono, specie nel contesto del vangelo di Marco, confermando con ciò la fondatezza e la centralità di questo tema, sempre più rilevante in campo teologico. L'altro volume, di Piero Coda - Evento Pasquale. Trinità e storia, Roma 1984 - intende invece esplorare la possibilità di una nuova sintesi teologica, rispondente alle istanze del mondo contemporaneo e centrata nel mistero dell'abbandono. Di questo studio parleremo più a fondo nella prossima edizione di Gen's, limitandoci per il momento all'esame del volume di Gérard Rossé.

 

Dal testo evangelico alla tradizione orale

 

Nella parte propriamente esegetica - alla quale qui ci riferiamo più ampiamente - la ricerca di Rossé percorre un duplice itinerario attentamente articolato: nel primo va verso la questione della storicità del grido dell'abbandono, mentre il secondo ne ricostruisce, attraverso varie tappe, il significato.

Dopo aver rapidamente esaminato l'immediato contesto del grido di abbandono nel vangelo di Marco, l'analisi di Rossé si spinge in avanti, alla ricerca del nucleo storico originario, verso la fonte o le fonti cui attingeva l'evangelista: il racconto orale della Passione nelle prime comunità cristiane. A questo livello, considerando le ricerche esegetiche più recenti, si delinea una prima costatazione: « Benché i risultati (di tali ricerche, ndr) siano spesso contraddittori, esiste un certo consenso nell'attribuire il versetto 34a - il grido dell'abbandono - alla tradizione più antica», forse della stessa comunità di Gerusalemme (cf. ediz. francese, p. 40 ss.).

 

Il grido dell'abbandono – parola « storica » di Gesù ?

 

Resta però una domanda ulteriore da porre. Le parole del 2° versetto di Salmo 22 contenute nel grido d'abbandono sono state letteralmente pronunciate da Gesù o esprimono invece la comprensione teologica che la prima comunità ebbe di quello che Gesù ha vissuto in croce? La risposta dell'autore è cauta: c'è nel contesto immediato di Marco un versetto che « ha tutta l'aria di risalire ad un ricordo storico » (p. 49), nel quale si narra che Gesù è morto emettendo « un forte grido » (Mc 15, 37). Ma cosa dire delle testuali parole del Salmo 22 riportate in Mc 15, 34 ? A questo proposito la ricerca puramente storico-critica deve riconoscere il limite delle proprie possibilità: « Non ci sono prove decisive né in favore né contro l'autenticità storica » (p. 53).

D'altronde - e Rossé ne aveva avvertito il lettore sin dalle prime pagine del volume – i vangeli non intendono formire i lettori di una cronaca dettagliata degli avvenimenti, bensì presentarne il senso profondo. In questa luce, sembra sufficiente il poter affermare «che il grido d'abbandono, espresso con l'ausilio del Salmo 22, 2, corrisponde ad un'interpretazione teologica autentica del mistero del Cristo moribondo» (p. 54, corsivo nostro); autentica perché radicata storicamente: « (...) il fatto incontestabilmente storico sul quale si fonda l'interpretazione teologica del grido d'abbandono è la morte in croce di Gesù (...), tenendo presente che la croce, in quell'epoca e nel giudaismo, fu considerata come il legno della maledizione » (p. 121).

 

Il significato del grido dell'abbandono in Marco

 

Ma quale il significato dell'abbandono ? Per rispondere a questa domanda, l'autore ricolloca il grido d'abbandono nel suo contesto, esaminandolo dapprima al livello della tradizione orale (che nell'elaborare il racconto della Passione si riallaccia alla corrente veterotestamentaria della passio iusti), per poi sviscerarne tutta la pienezza di significati che assume nel vangelo di Marco preso nel suo insieme.

Qui l'analisi di Rossé giunge al suo punto-forza, originale e convincente. Nel contesto del secondo vangelo, il grido d'abbandono non solo occupa un posto centrale, ma trova anche quello sfondo che solo ne può far cogliere la portata: il rapporto singolare di Gesù, Figlio di Dio, col suo Padre celeste, da lui stesso chiamato Abbà. Su questo sfondo - nota Rossé - «il grido d'abbandono si apre ad una nuova dimensione, e diventa rivelazione sulla vita intima di Dio» (p. 70; sottolineatura nostra), che proprio nell'abbandono si manifesta come vita d'amore ai nostri occhi paradossale, come vita di unità nella massima distinzione: «L'esperienza del Cristo in croce è essenzialmente un'esperienza di unità con il Padre. Così si manifesta in tutta la sua paradossale verità ciò che esprime l'inno alla lettera ai Filippesi: egli si è fatto "obbediente fino alla morte, e alla morte su una croce!" (Fil. 2, 8). Gesù ha vissuto l'amore fino al punto di fare l'esperienza della separazione, della disunità, dell'abbandono: della perdita di Dio per amore di Dio» (p. 76 s.).

Allo stesso tempo, l'abbandono di Gesù in croce è rivelazione dell'amore abissale di Dio per l'uomo: « I1 Figlio di Dio ha così attraversato tutta la scala dell'angoscia umana. Ha vissuto la morte in tutto il suo tragico significato religioso dovuto al peccato: lontananza da Dio. Egli è divenuto "peccato" o "maledizione", come dice Paolo (...). Gesù, il Figlio incarnato, ha assunto fino in fondo la condizione umana di lontananza da Dio » (p. 74).

In questa sua duplice dimensione, la rivelazione di Dio nell'abbandono di Gesù comporta un totale capovolgimento del modo di vedere che abbiamo di solito: « Dio è totalmente al fianco di chi è abbandonato da Dio. Egli manifesta la sua presenza là dove l'uomo che crede non lo conosce né lo cerca, anzi, dove proclama la sua assenza» (p. 78).

 

L'abbandono di Gesù, massima rivelazione di Dio

 

Giunti a questo punto, lasciamo alla lettura di ciascuno la seconda parte del libro, più teologica. Essa si sofferma sull'interpretazione del grido dell'abbandono lungo la storia (capp. VI e VII), per poi approfondire i due principali risultati dell'analisi esegetica: «L'abbandono di Cristo; rivelazione dell'amore salvifico di Dio» (cap. VIII) e «L'abbandono di Gesù; vertice della rivelazione di Dio» (cap. IX) - esplorandone le prospettive in teologia. Su queste prospettive torneremo prossimamente a proposito del secondo volume citato, quello di Piero Coda.

Per ora ci basti prender atto del risultato dell'analisi esegetica che Gérard Rossé così sintetizza: «Nella sua morte, vissuta come abbandono, Gesù è la rivelazione ultima del Dio della rivelazione » (p. 78). A tale risultato l'autore è giunto attraverso una metodologia limpida ed organica - facilmente riconoscibile dietro l'articolazione dei vari capitoli del suo libro -, che porta ad una lettura insieme sobria e profonda, originale e convincente del testo biblico. Una lettura che non permette di ridurre il grido d'abbandono a «grido di disperazione» o a «canto di confidenza» (cf pp. 109-117), ma che evidenzia tutto il peso e la portata che la realtà dell'abbandono di Gesù può assumere nell'ambito della teologia. Ne parleremo, appunto, prossimamente.

(1/continua) Hubertus Blaumeiser