A proposito della lettera apostolica « Salvifici doloris » di Giovanni Paolo II

IL DOLORE-AMORE PIÙ GRANDE

 

La lettera apostolica di Giovanni Paolo Il sul senso cristiano della sofferenza, Salvifici doloris, tocca in profondità le dimensioni misteriose dell'Evento pasquale. Il commento che qui pubblichiamo - apparso su « L'Osservatore Romano » del 3 marzo scorso - è incentrato sulla lettura che dà il Papa di quel momento culmine di dolore e d'amore che è il grido d'abbandono di Gesù sulla croce.

Su questo stesso tema, di grande attualità nell'orizzonte teologico contemporaneo, proponiamo anche - alle ultime pagine di questo numero - la recensione di uno studio esegetico di recente pubblicazione.

di Jesus Castellano Cervera

 

Uno dei testi più suggestivi della lettera apostolica Salvifici doloris è quello riguardante « le parole pronunciate sul Golgota », là dove Gesù prova la più grande sofferenza spirituale, espressa con le parole del Salmo 22: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». Sono le parole che Mt 27, 6 e Mc 15, 34 pongono sulle labbra di Gesù mentre è sulla croce, prima di spirare o di affidare il suo spirito al Padre, come sottolinea Lc 23, 46 (cfr SD 18).

Su questo episodio centrale della passione del Signore, sulla densità e il realismo delle parole del salmista, pronunciale ora da Gesù, si sono cimentati esegeti e teologi, specialmente nel nostro tempo, per capire qualcosa del mistero d'amore e di dolore che esse racchiudono. I1 grido di Gesù sulla croce è come un teorema spirituale e teologico che racchiude il paradosso del Figlio di Dio che grida il suo abbandono. Il realismo delle parole espresse da Gesù, benché si ritrovino nel Salmo, fa riferimento ad un'esperienza vissuta. Ma il fatto che egli è il Figlio unigenito del Padre e vive sempre unito a Lui in un inseparabile amore, ci mette davanti ad un mistero che è più grande di noi.

Trattando della sofferenza umana in Cristo, Giovanni Paolo II non poteva evitare di offrire una sua interpretazione di questo passo. Lo si poteva attendere in qualche modo al varco di questo mistero di Gesù in croce, man mano che il lettore procedeva nella lettura del testo della lettera apostolica. Al Papa non sfugge il confronto; anzi, fa di questo testo una chiave di volta di comprensione di quel dolore salvifico che attinge il culmine della sofferenza e della redenzione, lì dove Gesù tocca il limite di ogni possibile dolore umano, il distacco da Dio, unito al cumulo di dolori fisici e morali della sua beata passione.

Sembra interessante cogliere la sobrietà e profondità dell'esegesi teologica e spirituale che offre il Papa. Prima di tutto, la chiara consapevolezza di essere al punto culminante della storia del dolore umano: « le parole pronunciate sul Golgota... testimoniano questa profondità - unica nella storia del mondo - del male della sofferenza che si prova ». Gesù dà alle parole del salmista una profondità mai raggiunta nell'esperienza degli oranti dell'Antico Testamento: « Si può dire che queste parole sull'abbandono nascono sul piano dell'inseparabile unione del Figlio col Padre ». E' il Figlio di Dio, sempre unito al Padre, che ora si rivolge a Lui gridando la sua solitudine abissale. Come giustificare sul piano della teologia e dell'esperienza la verità paradossale di queste parole di Gesù ? Giovanni Paolo II trova in due passi biblici la chiave di comprensione di questo mistero. Può affermare con Isaia: « fece cadere su di lui l'iniquità di noi tutti » (Is 53, 6); sul cuore di Cristo il peso infinito delle nostre colpe. E può dire ancora con Paolo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore » (2 Cor 5, 21); oltre le sofferenze fisiche della sua passione, Cristo soffre il più acuto dei dolori spirituali che egli percepisce con quella lucidità che gli è propria: il peccato come rottura con Dio, separazione da Lui; e sprofonda, in un abisso di solitudine, in quell'assoluto non senso che ha il vivere lontano da Dio, come in realtà è stata la ribellione umana del peccato: il rifiuto di Dio.

Ed ecco le parole centrali dell'esegesi del Papa: « Insieme con questo orribile peso, misurando l'intero male di voltare le spalle a Dio, contenuto nel peccato, Cristo, mediante la divina profondità dell'unione filiale col Padre, percepisce in modo umanamente inesprimibile questa sofferenza che è il distacco, la ripulsa del Padre, la rottura con Dio ». Esperienza misteriosa di una sofferenza infinita che è quella che Gesù raggiunge sulla croce; con questo dolore - intriso di amore re di fiducia verso i1 Padre - Gesù tocca ed unisce i due limiti che devono essere congiunti nella redenzione: l'amore del Padre e l'unione con l'uomo, staccato da Dio per il peccato. Gesù è fra il cielo e la terra, e rimane straziato dall'amore e dal dolore nel tendere il ponte tra Dio e l'uomo, unendo insieme il profondo abisso della miseria spirituale dell'uomo che non vuole riconoscere Dio, e dimostrando l'infinita tenerezza di un Dio che ama infinitamente l'uomo peccatore fino a diventare per lui il Redentore che carica su di sé l'iniquità e il peccato.

Ed è qui che si trova la salvezza: « Proprio mediante tale sofferenza - scrive il Papa egli compie la redenzione, e può dire spirando: « Tutto è compiuto ». E' dolore purissimo ed amore purissimo quello del Figlio di Dio che compie nella carità di Dio la nostra redenzione.

In altri passi della lettera il Papa allude a questo fatto. Scrive ad esempio al n. 26 che la sofferenza dell'uomo racchiude sempre una tipica domanda sul perché del dolore; l'uomo allora deve notare « che colui al quale pone la sua domanda, soffre lui stesso e vuole rispondergli dalla croce, dal centro della sua propria sofferenza ». Nel « perché » di Cristo sono inclusi tutti i «perché» dell'uomo, e nella sua apertura fiduciosa al Padre è inclusa la risposta ad ogni perché dell'uomo, che solo in Dio può trovare luce all'enigma del dolore, della morte, della sofferenza innocente.

Ugualmente, nella conclusione della lettera apostolica, il Papa chiama a raccolta tutti i cristiani, anzi tutti gli uomini, ai piedi della croce, là dove tutti possono ritrovarsi nell'Uomo dei dolori « che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi » (SD 31).

Non si può non sottolineare come il tema della sofferenza di Cristo in croce attiri oggi l'attenzione della teologia e dell'esegesi, e come in maniera particolare attorno al grido dell'abbandono di Gesù convergano le più belle intuizioni di teologi di differenti confessioni cristiane, attratti dal fascino di questa misteriosa esperienza di Cristo. E' pure interessante notare come il Papa abbia richiamato già in altri suoi discorsi l'attenzione su questo tema, con quella sensibilità che gli è propria nella sua proposta dottrinale su Cristo e sull'uomo concreto, specialmente sull'uomo del nostro tempo che soffre il dolore più drammatico allontanandosi da Dio. E' allora una proposta per gli uomini del nostro tempo quella che fa il Papa, fissando lo sguardo in Cristo nel culmine del suo dolore e del suo amore, additandolo come il Dio per il nostro mondo, che con l'estremo della sua sofferenza spirituale vuole attirare tutti a sé, e indicare alla Chiesa che là dove un uomo soffre spiritualmente perché è lontano da Dio, lì risuona pure il grido di un abbandonato che chiede il conforto e la salvezza di un Dio che sempre è amore.

Jesus Castellano Cervera