Sintesi di uno studio di don Pasquale Foresi

LA VENUTA DI GESÙ E LA MALATTIA

1 / Ne! Nuovo Testamento

a cura della Redazione

 

Qual è la novità portata da Gesù - con l'avvento del Regno di Dio già da questa terra - nei riguardi della malattia ? Un messaggio solo spirituale, o la realtà di una salvezza che comprende anche la sfera corporea, e svela quindi una nuova dimensione della malattia ? Don Pasquale Foresi - che già in un precedente studio ha esaminato il significato della malattia per l'ascetica cristiana, in particolare riferimento al pensiero dei santi (cf. Gen's, nn. 10-11,1980) - affronta qui l'argomento con questo nuovo taglio specifico, rifacendosi agli scritti del Nuovo Testamento e alla tradizione della Chiesa. Dell'ampio studio presentiamo qui la prima parte, in una sintesi curata dalla redazione.

 

Già ho avuto occasione di affrontare un po' l'argomento della malattia nei suoi rapporti con la vita cristiana; in particolare ho sviluppato l'accettazione della malattia e il significato profondo di questa accettazione, così come ci viene indicato dalla Sacra Scrittura, dai santi, e anche dalla teologia moderna.

Ora vorrei considerare l'argomento della malattia da una angolazione lievemente diversa, che potrei così proporre: c'è un rapporto tra la venuta di Gesù e la malattia ? Tra la Chiesa e la malattia ? Gesù è venuto per annunciare il regno di Dio, escatologico, e la grazia su questa terra, o è venuto anche a dirci qualcosa sulla malattia e per la malattia già in questo periodo, prima della fine dei tempi ?

E' un argomento molto importante, che ci riporta anche alla storia delle religioni, perché in tutte le religioni antiche la cura della malattia, la guarigione, cioè l'arte medica - basta pensare all'Egitto - veniva esercitata da sacerdoti, e c'era un legame stretto fra malattia e religiosità.

Tutto questo nel mondo moderno è stato annullato. Un malato è una persona che va in ospedale a.farsi curare; che ha delle malattie che sono conosciute o abbastanza conosciute; e sembra che la religione non c'entri più. Basta andare in tanti ospedali civili per vedere che il posto del sacerdote che fa da cappellano è in un angolino molto molto ristretto, e che la vita religiosa è considerata quasi come superstizione e non ha più niente a che fare col malato.

Tutto questo attuale atteggiamento è giusto o non giusto ? Certamente le scoperte scientifiche sono state una benedizione di Dio per gli uomini e per i malati; ma allora le religione non ha più niente da dire nei riguardi della malattia ?

Nell'affrontare tutto ciò, vogliamo rifarci ad alcuni testi del Nuovo Testamento, alla tradizione ecclesiastica, ed infine fare una conclusione.

Dai vangeli, abbiamo prevalentemente scelto testi di Marco. E' noto infatti che Marco riporta quella che gli studiosi considerano la tradizione più antica su Gesù; è importante, quindi, vedere: quel che ci dice il suo vangelo. Analizzeremo solo alcuni testi sulle guarigioni compiute da Gesù, ed un testo particolarmente importante di Giovanni.

Ci rifaremo, poi agli Atti degli Apostoli per quanto riguarda alcune delle guarigioni operate dagli Apostoli. Esamineremo anche la malattia nella concezione di Paolo e, alla fine, il pensiero di Giacomo, uno degli ultimi scrittori del Nuovo Testamento.

Infine, affronteremo il pensiero della Chiesa sulla malattia e sulle guarigioni attraverso i secoli.

Nella vita di Gesù

 

Iniziamo allora la nostra ricerca attraverso il vangelo di Marco.

Già dal primo capitolo viene in chiara evidenza il fatto che la venuta di Gesù e il suo insegnamento portano una novità di vita per tutto l'uomo, anche in situazione di malattia; anzi, quella della corporeità e della malattia è una dimensione centrale in cui si manifesta la realtà dell'avvento del Regno di Dio.

 

La malattia e l'insediamento del Regno

 

Guarigione dell'indemoniato nella sinagoga. (Mc. 1, 21-28). In questo primo episodio, il vangelo di Marco non ci parla espressamente di una malattia; ma si deve tener presente che a quel tempo tutte le malattie, specialmente quelle psichiche, venivano attribuite a spiriti immondi.

Da ciò si deduce che la malattia, per gli ebrei, non è qualcosa voluto da Dio. Sia la malattia che gli spiriti immondi sono infatti - nel senso della tradizione biblica - espressioni del peccato e del male e, anche se non si può identificare la malattia con l'ossessione diabolica e né forse col peccato personale del singolo, il significato emblematico del brano è lo stesso: il male non viene da Dio, ma è conseguenza dello stato peccaminoso dell'umanità, della situazione di lontananza dell'uomo da Dio.

Gesù, venendo nel mondo, salva integralmente l'uomo. E uno dei segni che accompagnano l'instaurazione del regno di Dio sulla terra è proprio lo « spodestamento » di Satana, testimoniato dal potere di Gesù di scacciare i demoni e di guarire gli uomini.

Guarigione di un paralitico (Mc. 2, 1-12). Dinanzi al paralitico Gesù dice: «Ti siano rimessi i tuoi peccati». Gesù lega, in questo caso, la malattia al peccato. Non appare che richieda la fede.

I1 peccato nell'Antico Testamento indicava soprattutto un « mancare il segno » da parte dell'uomo, sia nel senso di mancare di raggiungere un obiettivo, sia nel senso di non mantenere i patti; per cui nell'Antico Testamento il peccato è sempre menzogna, non perché inganna Dio, ma perché è oggettivamente qualcosa di sbagliato, e, in questo senso, va contro Dio ma anche contro l'uomo.

Da questo significato deriva il pensiero biblico che spiega il male che c'è nel mondo come conseguenza della follia dell'uomo. Liberando quindi il paralitico dal peccato, Gesù può ancor più, all'interno di questa liberazione, guarirlo dalla malattia.

Il Nuovo Testamento riassume tutti i significati del peccato nell'Antico Testamento e sviluppa, inoltre, una teologia del perdono del peccato, sottolineando più precisamente il rapporto tra la condizione di peccato dell'umanità e i singoli atti peccaminosi degli uomini. Il peccato assume così un significato ancor più spirituale. Ciò non toglie, come abbiamo visto, che peccato e malattia possano essere connessi.

Guarigione  dell'uomo dalla mano inaridita. (Mc. 3, 1-6). Questo episodio pone il problema del significato della Legge: « Si può curare una malattia di sabato ? ». Gesù di fatto afferma chiaramente di sì. In tal modo mostra come la Legge, data da Dio per l'uomo, se diventa mera «lettera» nelle mani dell'uomo non solo non libera dal male e dalla malattia, ma può diventare essa stessa un impedimento alla liberazione dell'uomo, uno strumento di oppressione.

L'uomo, ci dice invece Gesù, è superiore al sabato, l'uomo è superiore alle norme della Legge.

E' da notare qui un'espressione inusitata nei vangeli. Si dice che Gesù guardò i membri della sinagoga « con indignazione ». E' una espressione che non si ritrova nei testi di Matteo e Luca, forse per una certa ritrosia ad attribuire a Gesù questa emozione; ma la semplicità di Marco ci mostra Gesù in certo modo irato, di un'ira che non comporta rancore: ce lo mostra vero uomo, quale egli era.

 

Il motivo delle guarigioni

 

Guarigione dell'indemoniato di Gerasa (Mc. 5, 1-20). Questo brano narra la guarigione di un indemoniato affetto anche da una malattia psichica, che vive in territorio semi-pagano. Gesù sana e scaccia i demoni anche tra i non ebrei; non solo, ma invita l'indemoniato - che lo pregava di permettergli di stare con lui - a tornare invece alla propria casa, per annunziare la misericordia usatagli da Dio.

Da questo episodio di Marco sembra dunque apparire uno dei motivi per cui Gesù guarisce, e cioè perché gli uomini possano testimoniare l'amore di Dio per loro. E' anche uno dei brani nei quali Gesù non richiede la fede.

Guarigione della suocera di Pietro (Mc. 1, 29-31). Non si tratta, da questa breve narrazione, di una grande guarigione: la suocera di Pietro ha una semplice febbre. Il fatto che si metta a servire è segno - come dicono gli antichi Padri - che ella è guarita subito e bene. Bene non solo nel senso medico, ma anche in quello spirituale.

Marco sottolinea in senso positivo questo servizio della suocera di Pietro, e sembra quasi volerci insegnare con ciò che se guariamo è per servire.

Guarigione del cieco di Gerico (Mc. 10, 4652). All'udire il cieco che grida verso di lui, Gesù dice: « Chiamatelo! ». Sembra che, oltre alla guarigione miracolosa, qui vi sia anche il tema della sequela, cioè della chiamata a seguire Gesù.

Il cieco si spoglia di tutto. E' infatti scritto: « Egli, gettato via il mantello - simbolo del distacco da tutto -, balzò in piedi e venne da Gesù »

Marco dice, infine, che il cieco prese a seguire Gesù per la strada.

Gesù guarisce "molti", ma non tutti. Mc. 1, 32-34). Qui si dice, al .versetto 32, che portavano a Gesù tutti i malati e gli indemoniati. Poi al versetto 34 si afferma che egli « guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni ».

Spesso nel vangelo « molti » equivale a « tutti ». Ma questi due testi così ravvicinati danno l'impressione che Gesù non guarisse tutti i malati, forse per mancanza di fede da parte loro o per altri motivi che fanno parte del mistero di Dio.

Mentre Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini, non è venuto a sanare tutti gli uomini già qui in terra.

 

La fede e le guarigioni

 

Guarigione dell'emorroissa e risurrezione della figlia di Giàiro (Mc. 5, 21-43). Ci troviamo di fronte a due noti episodi di miracoli.

L'emorroissa, per la sua malattia, cerca di non farsi notare da nessuno perché è legalmente impura, e chiunque fosse venuto in contatto con lei avrebbe contratto la stessa impurità. Questa prescrizione che si trova nella Bibbia, non è propria solo dell'antica cultura giudaica, ma anche di altre antiche culture secondo le quali tutto ciò che riguarda la fertilità della vita ha un carattere misterioso e sacro.

L'emorroissa non chiede a Gesù di guarirla, ma gli tocca il mantello: l'espressione materiale della sua fede, è senza parole.

Allora dal corpo di Gesù si sprigiona una potenza divina, ed egli domanda: « Chi mi ha toccato ? », come se non lo sapesse. Gesù desidera che la fede sia manifesta. E, infatti, la emorroissa gli dirà la sua testimonianza.

Poco dopo Gesù chiede la fede a Giàiro, anche se la sua figlia è morta. Qui c'è la fede del padre, non della fanciulla. Ciò evidenzia anche un aspetto - per così dire - « sociale » della fede, nella realtà della vita di quel Corpo mistico che sarà la Chiesa.

Gesù risuscita la fanciulla e ordina di darle da mangiare. Questo particolare non è stato annotato da Marco tanto per significare che la fanciulla è davvero viva, ma per sottolineare la delicatezza dei sentimenti umani di Gesù.

Guarigione dell'epilettico indemoniato (Mc. 9, 14-29). Questo episodio di guarigione è caratterizzato dal contesto di poca fede dei presenti che impedisce di scacciare il demonio e di sanare l'epilettico, ma anche dall'invocazione accorata del padre del fanciullo che grida: « Aiutami nella mia incredulità! ».

Il padre del fanciullo arriva, con l'aiuto di Dio, alla piena fede, e il demonio viene scacciato. Gesù afferma poi che questa specie di demoni si può scacciare solo con la preghiera. E questo suo richiamo alla preghiera mette ancor più energicamente in luce che la potenza risanatrice è solo di Dio.

 

Le missione degli Apostoli e la malattia

 

Invio pre-pasquale dei discepoli (Mc, 6, bb13). Tra gli incarichi propri dei discepoli inviati in missione c'è quello di ungere di olio gli infermi e di guarirli.

Nel mondo antico l'olio era usato anche come medicinale (vedi il caso del buon samaritano). Presso gli ebrei l'unzione assumeva un carattere sacro nell'investitura regale e sacerdotale

Nel Nuovo Testamento, il rito dell'unzione degli infermi ricorre in Giacomo (Gc. 5, 14). Nella sua tarda epistola, il rito dell'unzione riflette già il sacramento della Chiesa; in Marco lo stesso rito preannuncia il sacramento.

 

Invio degli apostoli da parte di Gesù risorto (M. 16, 9-20). E' l'invio definitivo degli apostoli, con la esplicitazione da parte di Gesù della loro missione.

Tra i segni che accompagneranno coloro che crederanno, c'è anche l'imposizione delle mani sui malati e la loro guarigione - a dimostrazione dell'importanza costitutiva di questo aspetto nella missione della Chiesa, per la reintegrazione dell'autentica immagine dell'uomo già su questa terra.

Ci si è domandati infatti se questa missione valga solo per i primi seguaci di Gesù, o sia valida per sempre nella Chiesa. Sembrerebbe di poter rispondere che la missione di guarire i malati valga sempre, e quindi anche adesso. I miracoli sono i segni caratterizzanti della santità della Chiesa. Non per niente essi sono richiesti per le canonizzazioni.

 

La sintesi di Giovanni

 

La malattia testimonia la gloria di Dio (Gv. 9, 1-7). E' l'episodio famoso della guarigione del cieco nato. Per capire bene il significato delle affermazioni di Gesù, bisogna pensare che per gli ebrei ogni malattia doveva essere legata necessariamente al peccato, e che i rabbini del tempo connettevano anzi ogni singola malattia ad un particolare peccato. Si comprende allora la domanda che i discepoli rivolgono a Gesù: Essendo quell'uomo un cieco nato, come può aver peccato ? Hanno peccato allora i suoi genitori, perché egli nascesse cieco ?

Gesù capovolge tutti questi ragionamenti, e dà un significato positivo alla malattia. Dice infatti: « Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio »,

Giovanni in questo episodio vede il rapporto di Gesù con la malattia già alla luce della Risurrezione. La « creaturalità » dell'uomo, cioè la sua finitezza, e anche la sua miseria espresse ad esempio nella malattia, o nel peccato stesso, viste in positivo alla luce della Risurrezione sono la condizione perché si manifesti la gratuità e l'onnipotenza dell'amore di Dio.

 

Nella Chiesa primitiva

 

Gli Atti degli Apostoli e le Lettere Apostoliche ci mostrano come la mission,e lasciata da Gesù ai discepoli, di continuare a guarire come segno del Regno di Dio che è venuto, si realizza nella Chiesa primitiva.

 

La malattia negli Atti degli Apostoli

 

Guarigione di uno storpio al tempio (At. 3, 1-10). Questa guarigione, operata da Pietro con Giovanni, è una delle prime testimonianze di come la Chiesa primitiva avesse la facoltà di guarire le persone. Gli esegeti ritengono che il racconto del miracolo facesse parte della tradizione antichissima dei primi cristiani tramandata a Luca, che compose gli Atti degli Apostoli qualche decennio dopo il fatto.

Vi è un altro elemento nuovo in questo brano: Pietro e Giovanni non hanno « né oro né argento », vivono la povertà richiesta da Gesù a chi è alla sua sequela, ed è per questo motivo che possono compiere il miracolo. E' qui chiaramente affermata la connessione della santità con il potere delle guarigioni; santità che può essere anche della Chiesa, in generale, ma che in questo testo appare come legata in particolare a Pietro e Giovanni.

Guarigioni operate da Paolo a Malta (At. 28, 1-10). Tra i miracoli di Paolo scegliamo quello che egli compie durante il soggiorno a Malta.

Anche qui vediamo un membro della Chiesa primitiva che guarisce un uomo colpito da una malattia seria, ma non gravissima, la dissenteria; ed è detto che, divulgatosi il fatto, tanti malati andavano da lui e venivano guariti. Non appare richiesta la fede.

E' un quadro carico di semplicità: attraverso queste scene di spontanea umanità - ci viene trasmesso l'evangelo vivo.

 

Il significato salvifico della malattia in Paolo

 

Iniziamo con un passo un po' enigmatico: « ...perché chi mangia e beve senza discernere il corpo (del Signore), mangia e beve la propria condanna. E' per questo che tra voi vi sono malati e infermi, e un buon numero sono morti » (1 Cor. 11, 29-30). E' un brano di difficile interpretazione, poiché non conosciamo esattamente cosa vi fosse di sconveniente nella celebrazione eucaristica a Corinto.

C'è chi intende le parole di Paolo come condizionate ad una mentalità dell'epoca, e quindi prive di valore; altri invece vedono la malattia e la morte precoce come un intervento di Dio, sia punitivo che risanante. Questa seconda interpretazione mi sembra più giusta in quanto salva il testo.

« ...a uno la fede, per lo stesso Spirito; a un altro il dono delle guarigioni nell’identico Spirito » (1 Cor. 12, 9). Paolo pone chiaramente, tra i doni dello Spirito fatti alla Chiesa, il dono delle guarigioni.

« Certo, se volessi vantarmi non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, affinché nessuno mi giudichi ,di più di quello che vede o sente di me. E perché non insuperbissi per la grandezza delle rivelazioni, mi è stato messo un pungiglione nella carne, un emissario di Satana che mi schiafeggi, perché non insuperbisca » (2 Cor. 12, 6-7).

Non si sa esattamente in che cosa consista questo pungiglione nella carne. Gli scrittori latini, fondandosi sulla versione della Vulgata, stimulus carnis, hanno pensato che consistesse in tentazioni contro la castità - mentre il testo greco dice: « pungiglione nella carne ». Oggi si pensa generalmente ad una malattia cronica diversamente diagnosticata. Le due ipotesi più attendibili sono che si tratti di febbri malariche contratte in Asia Minore o di una oftalmia acuta, frequente in Oriente a causa della polvere turbinante sotto i raggi del sole. L'attribuzione di tale tormento o malattia a Satana è propria della mentalità ebraica che ascriveva all'intervento del diavolo le sofferenze fisiche, il dolore, le disgrazie.

Troviamo così un apostolo che compie miracoli di guarigione, mentre è a sua volta ammalato. E' lui stesso, Paolo, che chiede al Signore di essere guarito, ma Egli gli risponde: « Ti basti la mia grazia; la mia potenza si esprime infatti nella debolezza» (2 Cor. 12, 9).

Siamo in una nuova dimensione della malattia, nella quale si vede l'efficacia dell'opera della grazia di Dio più delle capacità umane, più dell'attività; e l'opera della grazia agisce più facilmente in strumenti deboli e infermi. E' la legge della croce, che attraverso la morte e risurrezione di Gesù diventa la legge di vita della Chiesa.

Dopo la croce e la risurrezione di Gesù la malattia e il dolore diventano in qualche modo strumenti di vita e di risurrezione. Così in Paolo: « completo nella mia carne ciò che manca alla passione .di Cristo, a favore del suo Corpo » cioè la Chiesa.

E' qui chiaramente espresso tale significato salvifico della malattia. Non per niente questa frase di Paolo è posta proprio all'apertura della lettera apostolica « Salvifici doloris », e vi ritorna come una chiave di volta. Dice il Papa: « Queste parole sembrano trovarsi al termine del lungo cammino che si snoda attraverso la sofferenza inserita nella storia dell'uomo e illuminata dalla parola di Dio. Esse hanno quasi il valore di una definitiva scoperta, che viene accompagnata dalla gioia; per questo l'apostolo scrive: "Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi"... Una tale scoperta, anche se vi partecipa in modo personalissimo Paolo di Tarso che scrive queste parole, è al tempo stesso valida per gli altri. L'apostolo comunica la propria scoperta e ne gioisce a motivo di tutti coloro che essa può aiutare - così come aiutò lui - a penetrare il senso salvifico della sofferenza» (SD 1).

 

L'unzione degli infermi nell'epistola di Giacomo

 

« C'è qualcuno ammalato? Chiami gli anziani della comunità ed essi preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. La preghiera della fede lo salverà nella sua difficoltà; il Signore lo rialzerà; e se avrà commesso dei peccati, gli saranno rimessi» (Gc. 5,14-15).

Quando Giacomo descrive questo rito per gli ammalati non ci troviamo più nei primissimi anni della vita della Chiesa. Questo rito è chiamato oggi dalla Chiesa come il sacramento dell'unzione degli infermi.

L’esempio di Giacomo è quello di un malato, impossibilitato a muoversi di casa, che richiede una speciale preghiera rituale. Le istruzioni di Giacomo si possono così riassumere

- richiesta del malato perché vengano da lui i presbiteri della Chiesa;

- preghiera dei presbiteri accompagnata dall'unzione con olio nel nome del Signore;

- promessa di efficacia alle preghiere fatte con fede per l'intervento del Signore.

    La Chiesa prega per ottenere: la salvezza del malato; il suo ristabilimento; il perdono dei suoi peccati.

Non si tratta qui di guarigioni sempre miracolose o del carisma delle guarigioni; si tratta piuttosto di un potere dato alla Chiesa e che la Chiesa conferisce ai presbiteri. La Chiesa chiede che il malato sia salvato, e questo in un senso spirituale come in un senso fisico. E' usato il verbo «rialzare», che ricorre nei contesti di guarigioni per indicare il pieno ristabilimento del malato.

Per un certo periodo storico, la Chiesa ha chiamato questo sacramento « estrema unzione », perché esso veniva conferito ai moribondi. In realtà, è meglio denominarlo «unzione degli infermi», perché viene in aiuto degli ammalati più gravi. Vedremo in seguito l'odierna formulazione del sacramento.

Abbiamo preso in esame questo brano di Giacomo per evidenziare il fatto che nella Chiesa stessa è inserito un rito sacro per la salute spirituale e fisica dei malati.

Nell'Antico Testamento erano previsti riti e formule particolari, nel caso di malattie, con l'intervento dei sacerdoti; e ciò non deve meravigliare, perché nell'ambiente giudaico - come abbiamo visto - il malato e la malattia avevano un significato religioso. Nella tradizione rabbinica è raccomandata la visita al malato da parte del rabbino, con lo scopo di pregare Dio per lui.

Nel brano di Giacomo la cosa è un po' diversa. Si tratta per la Chiesa di un sacramento, non di una semplice preghiera; si tratta di qualcosa che fa parte della struttura sacramentale della Chiesa stessa: e i sacerdoti pregano nel nome del Signore.

Ciò mostra come sia profonda la connessione tra la trasformazione di tutto il negativo umano - assunto da Gesù nella sua incarnazione e morte e vinto nella risurrezione -, e quindi anche della malattia, e la missione stessa della Chiesa.       

(1/continua al n. 6 di Gen’s 1984)