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DIALOGARE SÌ, MA...

« Nel primo numero di quest'anno avete parlato di un impegno del cristiano al dialogo (cf. "L'anno del dialogo?", editoriale di Gen's n. 1/1984, n.d.r.); ma si può dialogare senza correre il rischio di perdere la propria identità ? » - P. P., Roma.

Per dialogo, nel significato che si dà oggi a tale termine, non si intende né chiacchiere da salotto né tantomeno discorso apologetico dove le parti difendono ambedue le proprie posizioni. Quando tra due persone o due gruppi si stabilisce un dialogo, vuol dire che da una parte e dall'altra si presuppone una possibilità di scambio di idee per arrivare ad una possibile conciliazione di posizioni diverse o opposte. Il vero dialogo presuppone due persone distinte che si riconoscono uguali e perciò rispettose l'una dell'altra, e che desiderano confrontare le proprie certezze alla ricerca della verità.

Abbiamo, negli Atti, un esempio di vero « dialogo ». Si tratta dell'incontro di san Paolo con i magistrati e gli intellettuali di Atene. Paolo conosce a fondo tanto il mondo giudaico quanto quello pagano. Nella sua vita poi ha avuto un'esperienza religiosa definitiva (Damasco), che gli ha illuminato e la storia e il mistero dell'uomo, per avervi trovato la chiave di soluzione di tutte le contraddittorietà in cui si dibatte 1'umanità: Dio, Gesù, sono stati per lui non solo una fede, ma un'esperienza per la quale è pronto a giocarsi tutto, ad affrontare con serenità persecuzioni, umiliazioni e persino la morte... L'Areopago, dove lo fanno parlare, è una specie di Hide Park dove chiunque può esprimere le proprie opinioni e rispondere alle domande. "Potremmo sapere - gli domandano – cos’è questa nuova dottrina che vai predicando ?". Paolo non li condanna, non li sottovaluta, fiero di una sua certezza, bensì mostra subito loro tutta la sua stima per la loro religiosità: "Ateniesi, vi considero in tutto molto religiosi... ho visto un vostro altare dedicato al dio ignoto... voi lo venerate senza conoscerlo, ma io potrei dirvi chi è". E così spiega loro l'azione di Dio nella creazione e nella storia, mutuando - per farsi capire - espressioni dagli stessi poeti e filosofi stoici e platonici; e conclude dicendo che se errore in essi c'è stato è quello d'aver concepito Dio a immagine dell'uomo invece d'aver intuito che è l'uomo ad essere immagine di Dio; tant'è vero che quest'unico Dio (se esiste una divinità non può essere moltiplicata in idoli) per amore degli uomini, "senza tener conto dell'ignoranza passata", ha designato "un uomo" a disvelare loro la verità su Dio, e ne è garanzia il fatto che Dio, dopo morto, l'ha risuscitato.

Quando parlava ai suoi "vicini" in fatto di religione, Paolo faceva discorsi parecchio diversi. Di fronte a questi pagani intellettuali, "lontani", non nomina neppure Gesù. Ha detto il minimo che poteva dire, ha donato la sua certezza e la sua esperienza. Nessuno si è sentito violentato nella propria persona, ma neppure Paolo ha messo a rischio la propria identità, anzi! Qualcuno, incuriosito, l'ha seguito per saperne di più, un uomo e una donna, Dionigi 1'Areopagita e Dàmaris.

Silvano Cola