Lavorare per l'unità: un'esperienza dall'Australia

L'UNITÀ COMINCIA TRA ME E TE

 

Roy Poole, ministro della Chiesa anglicana d'Australia e per lungo tempo segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese dell'Australia occidentale, sta ora vivendo una profonda e singolare esperienza "ecumenica" nella Scuola Sacerdotale del Movimento dei Focolari a Frascati. Ecco la sua testimonianza, data a Frascati durante la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

 

 

Vengo da Perth, in Australia, e sono un sacerdote della Chiesa anglicana. Ho lavorato a lungo in campo ecumenico, essendo stato per sei anni Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese dell'Australia occidentale - uno dei tanti organi nati in ogni parte del mondo, per iniziativa dei leaders religiosi dei diversi paesi, con lo scopo di contribuire localmente a realizzare gli indirizzi del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC). Tale Consiglio - che come noto ha sede a Ginevra - raccoglie i rappresentanti di circa 350 confessioni cristiane delle chiese evangeliche, anglicane, luterane e ortodosse. Il lavoro che esso svolge è molto vario, incentrato sulle due fondamentali piste d'impegno di ricercare la via di Dio verso l'unità di tutti i cristiani, e di promuovere una concreta collaborazione fra le chiese, dovunque ciò sia possibile.

Tutte le maggiori chiese anglicane, luterane e ortodosse presenti nell'Australia occidentale sono membri del nostro Consiglio nazionale. La Chiesa cattolica romana attualmente non ne è membro - come invece lo è di altri Consigli nazionali delle Chiese -, ma con essa c'è una cooperazione molto stretta. I settori di tale impegno comune sono diversi, e vanno dal campo dell'istruzione religiosa nelle scuole statali, a quello della raccolta di fondi a sostegno delle chiese del terzo mondo, alle varie attività in campo sociale, e così via.

 

La difficoltà di fare il primo passo...

 

Uno dei miei compiti era appunto quello. di favorire una collaborazione e un'unità più piena fra i leaders delle varie chiese, sia a livello nazionale che locale e parrocchiale. Non che già non ci fosse una cooperazione pratica, come ho già detto - in attività sulle quali ci si accordava, e che magari si conducevano insieme; ma un rapporto vero, a livello di fiducia reciproca e di amore cristiano, è sempre stato non facile da realizzare. In genere, non c'è fra sacerdoti e pastori di diverse chiese un'amicizia così sincera e profonda da far loro riconoscere e vivere una vera unità in Cristo, pur nella fedeltà alle rispettive chiese. Al contrario, in molti ho trovato paura. Paura di perdere la propria opinione, di non esser leali verso la propria chiesa e la sua dottrina - come se avere amore e rispetto nei riguardi di qualcuno di un'altra chiesa potesse compromettere in qualche maniera la propria fede. C'è poi quel tipico atteggiamento di aspettare che sia l'altro a fare il primo passo, cioè si uniformi al mio modo di vedere e di pensare la verità rivelata... Così, il rapporto « cristiano » con l'altro non è quella dimensione costitutiva e dinamica della mia vita da tener viva come una primaria volontà di Dio per me, ma quasi un « fuori-programma », un peso extra - oltre ai tanti e gravosi impegni del lavoro pastorale.

Io cercavo, d'altra parte, di incoraggiare questi leaders nel superare tali difficoltà, per instaurare un rapporto di vera comunione: ma anche il mio parlare, spesso, era soltanto un dire a livello razionale; citavo il Vaticano II, o il Consiglio ecumenico delle Chiese, senza riuscire a spazzar via le paure - perché erano parole che toccavano la mente, non il cuore.

Tuttavia, rendendomi conto sempre più dell'importanza di un tale rapporto dinamico ed aperto, ho cercato via via di cambiare il mio « stile » di lavoro. Cominciai a metter l'accento anzitutto sull'insegnamento evangelico che ha la sua sintesi nel comandamento nuovo dell'amore reciproco; in quel « come io ho amato voi » che richiede di esser pronti a dare la mia vita per l'altro; nell'unità, infine, che è l'esser uno tra noi come Gesù lo è col Padre.

 

Prima di tutto la reciproca carità

 

Ricordo - per fare un esempio - di una visita ad una città dove dovevo intervenire alla Christian Fraternal locale. Questa Fraternal - si tratta di un incontro fra tutti i leaders cristiani del posto - si riuniva una volta al mese per parlare di argomenti biblici o teologici, e per stabilire qualche modalità di cooperazione. Io però prima parlai dell'amore di Dio e del nostro amore reciproco in Cristo, e solo poi del lavoro per l'unità e dei documenti del Vaticano II e del CEC. Durante la conferenza e la conversazione che ne seguì c'era in particolare un pastore che non sembrava contento, ma appariva anzi piuttosto a disagio. Le sue domande erano aggressive; ma io, invece di difendermi, cercavo solo di amarlo. Dopo un'ora dovetti andar via - dovevo parlare alla scuola cattolica del posto -, mentre la Fraternal proseguiva il dibattito su alcune questioni pratiche. Tornai circa un'ora e mezza più tardi, e l'incontro si era appena concluso. Dopo la mia partenza - mi dissero - quel pastore che più di tutti era sembrato maldisposto aveva ammesso di esser venuto all'incontro per attaccare me e tutto il lavoro per l'unione dei cristiani. Egli lo sentiva infatti come negativo e dannoso, come una deformazione della verità rivelata da Gesù. Pensava che solo la sua chiesa avesse la verità, e che tutte le altre la volessero intaccare e compromettere. Quindi era venuto all'incontro per comunicare l'intenzione di non riunirsi più con la Fraternal. Ma quando si era parlato dell'amore reciproco, aveva cominciato a capire che l'unità era un'altra cosa da ciò che lui aveva pensato, e che non poteva continuare ad attaccare il lavoro per questa unità. Aveva così abbandonato il suo proposito, e s'era detto pronto a costruire questi rapporti nuovi, nonostante tutta la fatica e il dolore che quest'atteggiamento gli comportava. Avrebbe provato ad aprirsi, e a donare se stesso.

Un secondo episodio riguarda il mio lavoro con la gerarchia delle chiese in Australia, e con i più importanti teologi. Per anni avevo cercato di riunirli tutti insieme per realizzare una comunione più viva, e trovare le forme di una maggiore collaborazione: ma senza alcun esito. Finalmente, dopo aver cercato con ognuno un rapporto personale di fiducia, si dissero pronti ad incontrarsi per un week-end « lungo », dal venerdì sera fino al lunedì. Il programma prevedeva la discussione del documento del CEC su « Battesimo, Eucaristia e ministero », noto come « Documento di Lima ».

Eravamo in due, nel comitato organizzativo, a conoscere la spiritualità del Movimento dei Focolari. E il nostro impegno è stato quello di far sì, essendo prima di tutto uniti fra di noi, che il week-end potesse risultare una profonda esperienza di comunione fra i partecipanti. C'erano due vescovi cattolici, due anglicani, il moderatore della Chiesa unita protestante, con altri leaders e teologi - per un totale di 35 persone. Alcuni dei teologi presentavano testi su un determinato tema, poi si teneva una franca discussione in gruppi, essendo ognuno sinceramente leale all'insegnamento della propria chiesa.

Al termine dell'ultima sessione, però, l'impressione più forte non veniva loro dalla discussione teologica, ma piuttosto dal rapporto che s'era instaurato fra tutti. C'era vero amore scambievole, al di là delle differenze teologiche e delle distanze di tradizione. Un leader evangelico diceva di uno dei vescovi cattolici che ora lo conosceva prima di tutto come un fratello in Cristo.

 

Scoprirsi nuovi per imparare l'uno dall'altro

 

Ora sono da qualche mese alla Scuola Sacerdotale del Movimento dei Focolari, qui a Frascati. Sono l'unico sacerdote anglicano fra 23 sacerdoti o studenti di teologia cattolici, e veniamo da 14 paesi differenti. Eppure anche qui sto sperimentando una vera e profonda unità. Non che manchino le difficoltà; non essendo ancora piena l'unità tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa anglicana, non posso ad esempio concelebrare la messa con gli altri sacerdoti. Accettiamo però questo dolore come il prezzo che paghiamo perché Dio possa usarlo per la realizzazione della sua volontà di unità, nel tempo e nel modo che Lui vuole. Noi ci rispettiamo e, pur essendo fedeli alla nostra fede e tradizione, ciò non ci impedisce di vivere nell'amore scambievole e quindi nella più profonda unità, donando liberamente l'un l'altro se stessi.

Scopriamo così che davvero impariamo l'uno dall'altro. Ed io, in tal modo, ho conosciuto anche la Chiesa cattolica in modo nuovo; ho potuto apprezzare molto della sua vita, della sua grande devozione per il Signore, della dedizione dei suoi sacerdoti. Ho visto anche come siano simili le difficoltà delle nostre chiese. Entrambe hanno il problema dell'unità non soltanto all'esterno, ma anche all'interno: unità fra sacerdoti e coi vescovi, unità fra laici e sacerdoti, fra tutti i membri della chiesa che deve essere segno di questa unità in un mondo diviso. Per questo, giorno dopo giorno, impariamo a vivere in una vera « scuola di unità » ogni momento della nostra convivenza, lavorando in lavanderia, in cucina, nella pulizia. E si tratta sempre di non fermarsi a vedere l'altro in ciò che lo rende diverso da me le tradizioni di cultura o di religione -, ma di vedere Gesù in lui, di vedere ciascuno come l'immagine di Dio.

Io sono più anziano degli altri; sono sposato, con tutt'altre abitudini di vita, e con una diversa tradizione di cristianesimo; ed ogni giorno debbo trovare con ciascuno, magari con un giovane seminarista, il rapporto giusto. Ricordo di uno di loro, del quale m'ero fatto una certa idea, e che pensavo ormai di conoscere. Una mattina, nella lavanderia, stava spiegando ad un altro come si debbono stirare i vestiti, ed io, all'improvviso, ho avuto verso di lui una reazione brusca: « Sa lui come deve stirare - tu fa il tuo lavoro! ». Subito sono rimasto turbato; e davvero non sapevo come vincere questa reazione ostile. Finché due o tre giorni dopo, durante la meditazione, ho capito l'importanza di vedere gli altri ogni giorno come fosse la prima volta, per poterli conoscere veramente così come sono, e non attraverso la lente dei miei pregiudizi. Così ho provato a fare: ho visto scomparire le mie difficoltà di prima, ed ho potuto così vedere nell'altro qualità nuove, diverse forse dalle mie, ma non per questo meno belle e preziose. Ed ancora oggi continuo a « scoprire » le altre persone che sono con me alla Scuola ogni giorno in modo nuovo ed arricchente - nella luce dell'unità, non nella divisione.

Così, nell'esperienza quotidiana della vita alla Scuola - specie in questa settimana di preghiera per l'unità - sto imparando che la via per l'unità è quella di donare me stesso per amore; e che il dolore della nostra divisione, accettato profondamente ed unito alle sofferenze di Cristo crocifisso mi aiuta in verità a scoprire sempre più l'altro, cioè Gesù nell'altro. Comincio ad avere la certezza - dall'esperienza della nostra convivenza - che, se sapremo vivere come cristiani nell'amore reciproco, prima o poi Dio realizzerà tra le nostre chiese quell'unità ad immagine della Trinità che è la sua Vita stessa.

Saremo allora un solo Corpo vivo, un segno di unità per il mondo. Ma - adesso l'ho capito - possiamo già esserlo qui e ora, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, con chiunque incontriamo. L'unità comincia oggi tra me e te, in questo momento.                              

Roy J. Poole