A SERVIZIO DELLA COMUNIONE di Vincenzo Chiarle

 

Don Vincenzo Chiarle - incaricato a Torino della formazione dei diaconi permanenti - da anni anima quella che è una delle esperienze più avanzate, dal .punto di vista di un "corpo" diaconale diocesano. La sua relazione al convegno - che qui riportiamo - ha enucleato le linee principali del Magistero conciliare e postconciliare sul diaconato, alla luce della esperienza di comunione nella Chiesa-Popolo di Dio.

 

Il ripristino del diaconato « come proprio e permanente grado della gerarchia » (1) si pub capire nella sua portata di rinnovamento solo all'interno di quella visione « nuova » del Vaticano II di una Chiesa-comunione « sempre vivente e sempre giovane, che sente il ritmo del tempo e che in ciascun secolo si adorna di nuovo splendore, getta nuove luci e realizza nuove conquiste, pur restando identica a se stessa, fedele all'immagine divina impressa sul suo volto dal suo Sposo, il Cristo Gesù » (2) - come prefigurava Giovanni XXIII nell'indire il Concilio. « Sarà senza dubbio una nuova Pentecoste - aggiungeva ancora il Papa a chiusura della prima sessione dei lavori che arricchirà la Chiesa di forze interiori più abbondanti », perché « rifiorisca di un vigore nuovo e giovanile » (3).

Fra gli elementi volti a caratterizzare in senso nuovo quest'immagine della Chiesa vi sono la sua presentazione come il popolo ,di Dio, all'interno del quale l'autorità gerarchica viene proposta come servizio; la realtà della Chiesa come comunione, che qualifica in tal senso tutte le relazioni al suo interno; la dottrina, inoltre, per la quale tutti i membri del popolo di Dio, nel modo proprio a ciascuno, sono partecipi del triplice « ufficio » di Cristo sacerdote, profeta e re. .

Nella linea del rinnovamento indicata dal Concilio - e in «ciò che costituisce la novità fondamentale del Vaticano II per quanto riguarda l'ecclesiologia » (4) - si colloca appunto anche il ripristino del diaconato permanente. Ed è la stessa fedeltà al Concilio che ci spinge a considerare il riemergere di tale vocazione nella Chiesa in un senso decisamente innovatore. Con ciò non si vuol certo disconoscere il carattere di continuità con la tradizione che tale passo conciliare ugualmente riveste: tuttavia esso implica, in radice, una scelta ecclesiale e pastorale di rinnovamento. Il diaconato infatti non va visto - come ci chiariscono i documenti di applicazione delle direttive conciliari - come sostegno quantitativo alle istituzioni ecclesiastiche, ma anzitutto come una forza di grazia (sacramentale!) destinata a «rendere più profonda la comunione ecclesiale», a promuovere «il senso comunitario dello spirito familiare del popolo di Dio», ad «accentuare la dimensione comunitaria e missionaria della Chiesa e della pastorale» (5).

 

Un arricchimento della comunione presbiterale

 

L'istituzione dei diaconi è attribuita da S. Clemente Romano agli stessi apostoli (6). Nella Didaché, essi sono menzionati dopo i vescovi; e in S. Ignazio d'Antiochia troviamo per la prima volta la distinzione chiara dei tre ordini: vescovi, presbiteri e diaconi (7). Tale distinzione è codificata nel terzo secolo, con delle precisazioni sul rito di ordinazione, dalla Traditio apostolica di Ippolito. Questi dati della tradizione più antica ci permettono di riconoscere come un fatto saldamente stabilito la appartenenza del diaconato alla struttura della Chiesa come un ministero che, al pari dell'episcopato e del presbiterato, ha il suo fondamento nel sacramento dell'Ordine. E col Concilio, dunque, tale vocazione è chiamata a riportare nella comunità ecclesiale una ricchezza nuova e insostituibile; giacché - è stato detto - « senza il diaconato la gerarchia ecclesiale è incompleta » (8).

Nel 1957 la costituzione Sacramentum ordinis di Pio XII ha riaffermato chiaramente la dottrina che sarà ripresa dalla costituzione dogmatica del Concilio sulla Chiesa: « Il ministero ecclesiastico divinamente istituito è esercitato in ordini diversi, da coloro che fin dall'antichità sono chiamati vescovi, preti, diaconi » (9). Nel paragrafo dedicato al ministero diaconale il Concilio, dopo aver menzionato l'imposizione delle mani, così prosegue: « Fortificati per la grazia del sacramento, (i diaconi) servono il popolo di Dio in comunione col Vescovo e il suo presbiterio, nella diaconia della liturgia, della Parola, della carità » (10).

Ed ecco come viene presentato il ministero diaconale dal Motu proprio Sacrum diaconatus ordinem, con cui Paolo VI dà attuazione alle decisioni del Concilio: « Fin dall'età degli apostoli la Chiesa cattolica ebbe in grande venerazione l'Ordine sacro del diaconato, come ne fa fede lo stesso S. Paolo, il quale espressamente porge il suo saluto oltre che ai vescovi anche ai diaconi, e a Timoteo insegna quali virtù e pregi siano ad essi indispensabili perché siano ritenuti degni del loro ministero. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel rispetto di tale antichissima tradizione... decretò che "in futuro si potesse ristabilire il diaconato quale proprio e permanente grado della gerarchia". Benché infatti usualmente vengano affidati ai laici non pochi uffici diaconali, "è bene che quanti esercitano davvero il ministero diaconale siano fortificati e più strettamente associati all'altare mediante l'imposizione delle mani, che è tradizione apostolica, affinché più efficacemente essi adempiano... il loro ministero" (11). In tal modo, sarà chiarita la natura propria di questo Ordine che non deve essere considerato come un puro e semplice grado di accesso al sacerdozio. Esso, insigne per l'indelebile carattere e la sua particolare grazia, di tanto si arricchisce, che coloro i quali vi sono chiamati possono dedicarsi in maniera stabile ai misteri di Cristo e della Chiesa» (12).

E nel Motu proprio Ad pascendum, Paolo VI specifica ulteriormente che il Vaticano II volle reintrodurre il diaconato permanente « come ordine intermedio tra i gradi superiori delle gerarchia ecclesiastica ed il resto del popolo di Dio, perché fosse in qualche modo interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatore del servizio, ossia delle diaconia della Chiesa presso le comunità cristiane locali, segno e sacramento dello stesse Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire» (13).

 

Servire la Chiesa fedeli alla propria chiamata

 

Il diaconato è dunque tra quei ministeri dei quali si dice che sono nella « successione apostolica », continuatori del Ministero degli apostoli. Esso è al servizio, cioè, della apostolicità della Chiesa - che non è solo questione di integrità dottrinale e di fede, ma implica tutte uno stile di vita, di dedizione e di servizio, di apertura agli uomini e al mondo. E lo fa con una sua modalità, e con una pienezza tutta propria; con una particolarità che non è tanto - o solo - di funzioni, né è suggerita dalle necessità contingenti di un'epoca o di una situazione, ma nasce da un carisma ed una grazia sacramentale suscitati e confermati dalle Spirito nella Chiesa, in una visione pluralistica dei ministeri che è immagine della ricchezza inesauribile della comunione ecclesiale. Poi ché « se il diaconato è un dono - osservava al Concilio il card. Suenens - se è una grazia, e se i legittimi pastori stimano conveniente attingere a tale patrimonio di grazia, allora la instaurazione del diaconato non potrà in alcun modo ridurre, ma dovrà aumentare la misura della pienezza di Cristo nella comunità cristiana ». D'altra parte, essendo i sacramenti e i carismi donati per il bene di tutti i fedeli, « la comunità cristiana ha il diritto di fruire di tali doni che esistono nel patrimonio della Chiesa » (14).

Dopo il Concilio, la crisi che ha in parte colpito i sacerdoti - con la conseguente scarsità numerica e di vocazioni - ha di contro favorito ed accelerato la riscoperta del diaconato. Anzi, qualcuno l’ha vista come un rimedio alla scarsità dei preti. Non è affatto questa, tuttavia, la sua ragione più vera.

Dal momento che ciascuno di questi due ministeri, pur nella reciproca interdipendenza, ha una sua propria e specifica fisionomia, non si può pensare di compensare la scarsità dell'uno con l'abbondanza dell'altro. Si potrà piuttosto riconoscere che i preti per secoli - proprio per l'assenza dei diaconi e per la scarsa valorizzazione dei carismi dei laici - hanno dovuto esercitare ministeri che forse non sono loro specifici. Sicché il ritorno dei diaconi, mentre costituisce un aiuto prezioso ai sacerdoti per ritrovare la ragione peculiare del proprio ministero, potrà anche sempre più indicare ai laici le vie di una responsabile valorizzazione della grazia battesimale propria di ogni cristiano.

Come la presenza di un numero sufficiente di sacerdoti non sminuisce in alcun modo il dovere di apostolato dei laici, che è un'esigenza propria del loro essere cristiani, ugualmente il diaconato non perderebbe affatto la sua ragion d'essere qualora avesse termine la crisi delle vocazioni sacerdotali. Occorre però che il diacono sappia evitare il rischio di apparire come un prete di second'ordine, o un suo supplente. Egli ha un ministero che gli è proprio, ben distinto da quello sacerdotale - seppure in intima relazione con esso. Ed anche se il diacono dovrà svolgere delle mansioni che attualmente sono per lo più esercitate dal sacerdote (come responsabile di comunità, ad esempio) lo farà con una grazia sua propria, con una modalità ed uno stile che gli vengono particolarmente dalla sua tipica collocazione di ponte tra gerarchia e laicato.

Questo è un aspetto d'importanza decisiva. Perché, se dal punto di vista teologico ed ecclesiale è lui stesso gerarchia, dall'altro versante, quello dell'inserimento nella società, il diacono è posto nella normale condizione di tutti i laici: il più delle volte coniugato, impegnato nel mondo del lavoro, a stretto contatto coi problemi più vari della vita quotidiana. In tal modo, egli viene ad essere veramente per la gerarchia una finestra aperta sul mondo come pure, - dall'altra parte, per ogni « laico », la testimonianza di un impegno (non estemporaneo ma permanente, e stabilmente fortificato dalla grazia) a far della vita intera, in ogni suo aspetto e momento, un dono, un'offerta d'amore e di servizio, anche al di là dei confini usuali del « sacro », del culto religioso.

 

Una continua conversione alla comunione

 

Una vocazione attualissima, quindi, con un suo proprio timbro, ed aperta sui più vari campi dell'esistenza cristiana; nella quale ciò che conta di più non saranno tanto le « forme » del servizio che il diaconato potrà assumere, in quei campi già indicati dal Concilio - quelli « della liturgia, della Parola e della carità »: dove pure non si tratterà di copiare « forme » antiche, ma di esser sensibili ai segni dei tempi -, quanto piuttosto il contribuire a vivificare il Corpo Mistico di Cristo, il favorire la comunione più piena nel popolo di Dio - specie tra la gerarchia e il laicato.

Quando in questi anni del dopo-Concilio si parla del diaconato come « fattore ed espressione di un rinnovamento ecclesiale », non si pub dunque non far riferimento a questo suo esclusivo essere "per" la comunione nella comunità, presenza di solo servizio che non è mai - né può esserlo - fine a se stessa. « Ho talora l'impressione - diceva il teologo F. Ardusso ad un recente convegno sul diaconato - che nel periodo postconciliare si sia data a volte eccessiva importanza a queste realtà istituzionali, dimenticando che esse sono mezzi, solo mezzi in vista di un fine. Sono realtà che cesseranno di esistere quando "Dio sarà tutto in tutti". Anche la più bella teologia del diaconato e la sua realizzazione più efficiente - da sole - non salvano gli uomini... S. Paolo relativizzava tutti i carismi e tutti i ministeri, dice anzi che servono solo a far fracasso e trambusto, qualora non mirino alla carità» (15).

Nel diaconato, in realtà, abbiamo l'esempio più limpido di come un ministero sia vuoto, sia niente se non è carità. È questa d'altra parte la sua particolare bellezza che, se compresa, può aiutare ad evitarne ogni sopravvalutazione - non è certo il diaconato l'unica fonte di rinnovamento ecclesiale -, ogni senso anche minimo di autosufficienza. Piuttosto, l'impegno dovrà essere quello di una continua « conversione alla comunione », nell'apertura umile ed attenta ai doni di grazia e ai carismi più diversi che Dio suscita dove e come vuole nella sua Chiesa, per accoglierli e valorizzarli, al fine di edificare la piena unità dell'unico Corpo di Cristo.

Attualmente, il diaconato permanente appare nella Chiesa come una realtà in forte e costante sviluppo, dopo le difficoltà di definizione e di assestamento che ne avevano segnati i primi anni di vita. I diaconi permanenti nel mondo sono oltre 10.000, in costante incremento: anche se il quadro statistico ci mostra una realtà ancora molto ineguale da zona a zona. Per dare solo un dato indicativo, oltre la metà di essi si trova negli Stati Uniti, e circa un migliaio in Germania. In Italia l'esperienza del diaconato si va man mano allargando in molte diocesi. Negli ultimi anni in particolare si è avuto un vero moltiplicarsi delle ordinazioni, specie nel nord: ed al momento i diaconi in Italia sono più di 300. «Questa crescita sorprendente del diaconato in Italia e nel mondo - commentava qualche tempo fa « L'Osservatore Romano » è già di per se stessa un dato significativo... Le vocazioni vengono da Dio. Egli chiama chi vuole a farsi strumento per la trasmissione della Salvezza e la dilatazione del Suo Regno, nel modo e nella forma da Lui volute. Questa inattesa diffusione del ministero diaconale, pertanto, è indicativa di un disegno di Dio, cui le comunità cristiane sono chiamate ad adeguarsi » (16).

E' un segno dei tempi, dunque. Ma se il diacono vorrà far risplendere il volto « sempre nuovo » della Chiesa di Cristo, dovrà essere sempre più solo testimonianza di Lui, servo fedele del Padre e dell'umanità.                                                                                                                Vincenzo Chiarle

Note

 

(1) Lumen Gentium, 29, 2.

 (2) Humanae Salutis, discorso del 25-12-1961, n. 7.

 (3) Giovanni XXIII, Allocuzione al Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1962.

 (4) Costituzione Apostolica Sacrae diaciplinae leges, 25 gennaio 1983,

 (5) cf. II Documento della CEI La restaurazione del Diaconato permanente In Italia, 15 febbraio 1972, art, 2, 8, 9, 16.

(6) cf. Lettera al Corinti, 42-44.

 (7) cf. Lettere al Tralliani, 3, 1.

 (8) Phillps, La Chiesa e II suo ministero, Jaca Book, Milano. 1967. p. 326.

 (9) Lumen Gentium, n. 28. 1.

 (10) Ibid. n. 29. 1.

 (11) Ad Gentes divinitus, n. 16.

 (12) Motu proprio Sacrum diaconatus ordinem, 18 giugno 1987.

 (13) Motu proprio Ad pascendum, 15 agosto 1972.

(14) cf. Acta Synodalia Concilii Oecumenici Vaticani II, Roma 1970-76, vol. II pars II, pp. 317-320.

15) F. Ardusso, conf. su Teologia del Diaconato, Torino, 26 settembre 1980.

(16) “L'Osservatore Romano” del 22 aprile 1983.