Note in margine ad un recente dibattito teologico

SACERDOZIO DOVE PUNTARE?

a cura di Hubertus Blaumeiser

Quello del sacerdozio è certamente uno dei temi più travagliati nella vita e nella riflessione della Chiesa in questo dopoConcilio. E non sono solo i numerosi problemi scottanti di ordine pratico come quello del celibato, delle vocazioni, o quello dell'impegno politico del sacerdote a nutrire le molte incertezze sull'identità del sacerdote oggi, ma piuttosto due fattori profondamente innovatori, sopravvenuti con lo stesso Concilio: la riscoperta del sacerdozio comune (e quindi della fondamentale uguaglianza di tutti i battezzati) e la ridefinizione dei rapporti Chiesamondo.

Mentre il primo di questi fattori ha sottoposto a difficili trasformazioni il quadro tradizionale dei rapporti intraecclesiali tra « clero » e « laici » , il secondo ha messo a soqquadro l'immagine di una Chiesa e di un sacerdozio « sacrali », imperniati sul « rito ».

Alla nuova situazione, deve far riscontro una nuova teologia del sacerdozio, essenziale tra l'altro per superare via via gli squilibri ereditati dal passato si pensi alle reazioni provocate da talune forme di clericalismo senza crearne subito degli altri.

Ma verso quali orizzonti si sta andando? Ci sono state, in questi anni, proposte clamorose, che hanno sollevato scalpore anche al di là dell'ambito teologico. Ci sono poi stati approfondimenti meno spinti, ma non per questo meno consci delle problematiche attuali e meno utili. Ne abbiamo presentati due su Gen's: il fondamentale studio esegetico di A. Vanhoye, del Pontificio Istituto Biblico (di prossima pubblicazione anche in italiano) e l'equilibrato e documentato abbozzo di sintesi sistematica proposto da G. Greshake, professore di Teologia dogmatica a Vienna (cf. Gen's 5/ 1982 e 1/1983).

Ultimamente il dibattito sul sacerdozio si è riacceso anche in Italia. Ad offrire lo spunto sono stati due eventi: il IX Congresso dell'Associazione Teologica Italiana dal titolo « Popolo di Dio e sacerdozio » e una giornata di studio indetta, sempre nel 1981, dalla Università Lateranense di Roma. Sono ora accessibili gli Atti di ambedue questi convegni (1).

Non intediamo qui riassumerli e valutarli nei singoli contributi. Vorremmo piuttosto evidenziare alcune linee emergenti che ci sembrano particolarmente indicative per l'attuale stato della discussione, e da tener presenti in vista di un futuro approfondimento.

 

Sacerdozio ministeriale: a servizio del sacerdozio comune

I due convegni si collocavano, come vedremo, su due fronti diversi. Ad indicare l'interesse prevalente che ha guidato la « giornata di studio » lateranense è già il titolo del numero monografico di Lateranum che la documenta: « Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Unità e specificità ». Il volume, che accanto alla relazione fondamentale di J. Lécuyer raccoglie un'ampia gamma di contributi biblici, storici, sistematici nonché pastorali (cf. in proposito il ricco studio di F. Mannelli che ha organizzato l'incontro), è quindi tutto incentrato sul rapporto tra sacerdozio dei fedeli e sacerdozio ministeriale.

Si trattava, in sostanza, di fare un'ermeneutica di quell'espressione del Vaticano II che al numero 10 della Lumen Gentium parla di una differenza « essentia et non gradu tantum » dei due sacerdozi. Nella loro interpretazione teologica i relatori hanno saputo evitare due pericoli: da una parte una « sacralizzazione » del laicato in nome del sacerdozio battesimale (cf. la lucida « nota » di M. Lohrer) e dall'altra una concezione del ministero che pone il « clero » semplicemente al di sopra dei « laici ». Centrando il discorso sul sacerdozio comune, il volume delinea un'immagine del sacerdozio ordinato che sia chiaramente al servizio del sacerdozio dei battezzati, e non viceversa.

Se in molti interventi si è insistito sullo stretto legame dei due sacerdozi perché ambedue partecipazioni dell'unico sacerdozio di Cristo mi sembra però particolarmente stimolante il contributo di A. Joos. Egli evidenzia come i vari dialoghi ecumenici, nel tentativo di elaborare una teologia del ministero, vadano esprimendo una prospettiva nuova e promettente. Adoperando una chiave di lettura non più statica ma dinamica, cerano di cogliere la specificità del sacerdozio ordinato e di quello battesimale non tanto interrogandosi distintamente sulla « essenza » dell'uno e dell'altro, ma attraverso un'analisi della loro diversa « relazionalità » cioè del loro specifico « riferimento attraverso gli altri a Cristo » e «in Cristo per gli altri» (p. 323) . Ciò non necessariamente significa distinguere i due sacerdozi solo a livello funzionale e non ontologico, ma leggerli alla luce di una teologia del corpo mistico ovvero di una « personologia eucaristica » proposta innanzi tutto da teologi ortodossi che vede nella persona « prima di tutto un "noi" che poi si annoda personologicamente nel1' "io" » (p. 313) ; significa, in ultima analisi, rinviare « la realtà ministeriale della Chiesa alla relazionalità trinitaria » (p. 322s.), porsi cioè ad un livello di lettura davvero illuminante in cui l'opposizione tra essenza e relazione è superata e la relazionalità diventa costitutiva dell'essere stesso.

Da notare che questa visione ha immediati risvolti vitali, perché porta a valorizzare «il "fondamento kenotico" dal dono ministeriale che si esprime come impegno radicale, il quale (...) in qualche modo "svuota" il ministro nell'autosacrificarsi » (p. 312) . In altre parole: il sacerdote è tanto più quello che deve essere quanto più sa essere completamente in relazione, amore. In che modo conciliare, dunque, la fondamentale uguaglianza dei battezzati con lo specifico ruolo dei ministri ordinati ? Come già il libro di G. Greshake, il contributo di A. Joos ci offre, in proposito, un'indicazione importante: lo stagliarsi della nuova identità del sacerdote postconciliare e quindi del nuovo rapporto tra laici e ministri ordinati dipende per molti versi dallo sviluppo di un'ecclesiologia e di un'ontologia che prendano le mosse dal mistero trinitario.

 

Verso un sacerdozio a servizio del mondo

Se il Simposio lateranense in sostanza era concentrato sui problemi intraecclesiali, l'Associazione Teologica Italiana, sin dai lavori preparatori del suo IX Congresso, si è basata sulla convinzione che il « vero e più serio problema » sarebbe stato piuttosto un altro, cioè la necessità di interpretare sia il sacerdozio comune che il sacerdozio ministeriale «sul fronte del popolo credente con il mondo e con la storia » (così S. Dianich a p. 26 della « presentazione » che rievoca l'itinerario del congresso).

Nell'accingersi a tale impresa l'ATI, operando una precisa scelta metodologica, ha voluto prestare particolare attenzione alla prassi e ai linguaggi ecclesiali. E quale il risultato di queste analisi? Un po' sorprendente, in realtà, perché rovesciava l'indirizzo col quale si era inizialmente partiti: non era emerso gran che di coscienza ecclesiale « estroversa », nell'interpretazione del sacerdozio comune e di quello ministeriale, tanto da indurre il Dianich al giudizio molto pessimista che «prassi e linguaggio della liturgia, delle istituzioni e del magistero postconciliare non fornirebbero elementi di stimolo per nuove ermeneutiche, ma costringerebbero a porre necessariamente al centro del discorso interpretative semplicemente il famoso "licet essentia et non gradu tantum differant, ad invicem tamen ordinantur" di Lumen Gentium 10 » (p. 18) .

Anche stavolta sono stati soprattutto gli stimoli provenienti dal dialogo ecumenico ad aprire nuovi spiragli (cf. la presentazione del testo di « fede e costituzione » di M. Thurian, con la «reazione» protestante di P. Ricca e quella cattolica di T. Citrini). Spinto dall'ansia dell'unità, il dialogo ecumenico tende a vedere il problema dei rapporti intraecclesiali tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale collocandoli decisamente sulla linea della missione della Chiesa nel mondo. Ma cosa significa questo? Significa vedere nel sacerdozio dei ministri ordinati e in quello di tutto il popolo di Dio non solo due articolazioni interne della Chiesa, ma « due modi diversi di servire il mondo per fare di tutta l'esistenza un'oblazione gradita al Padre » (p. 27) . E per questo, proprio in nome del sacerdozio, occorre « scoprire il carattere oblativo, dossologico, espiatorio e intercessorio delle mille cose laiche, storiche, secolari e mondane che il cristiano e la comunità sono chiamati a fare giorno per giorno» (p. 22) .

Più che già elaborare l'auspicata nuova immagine della Chiesa e quindi del sacerdozio, il Congresso con questa prospettiva ha indicato un indirizzo importante per il futuro. Di dove prendere le mosse per concretizzarlo? «Ogni riflessione sul sacerdozio della Chiesa o nella Chiesa non può non rifarsi al paradinma Cristo, al suo sacerdozio fontale unico e irripetibile», ha risposto L. Sartori nella sua relazione su «Prospettive di teologia sistematica» (p. 39). E non basta centrare il discorso sul sacerdozio in Cristo. Occorre insistere «sulla valenza dinamica della mediazione di Cristo: egli è mediatore in quanto dona se stesso». Bisogna allora centrare la teologia del sacerdozio nel mistero pasquale, nel quale la radicale « proesistenza » del Cristo, che « si dà a noi in quanto unigenito del Padre » e « si dona al Padre in quanto fratello nostro » , trova il suo culmine (p. 42).

 

Centrare il sacerdozio nel mistero pasquale

A conclusione dell'itinerario tratteggiato attraverso questi due contributi, dobbiamo dire che quella dell'identità del sacerdote resta una sfida aperta. E' la sfida di presentare al mondo un sacerdozio ed una Chiesa che non si riducano al « rito » . Per potervi rispondere, in modo attuale ed insieme profondo, un'indicazione importante sembra essere emersa: bisognerà puntare non già al sacerdozio in sé, ma innanzitutto al sacerdozio di Gesù in croce (2); ed insieme alla vita del Dio trino, portata in terra attraverso il mistero pasquale, per essere la vita degli uomini.

Hubertus Blaumeiser

Note
(1) AA.VV., Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Unità e specificità, Lateranum 47 (1981), n. 1, pp. 332; Associazione Teologica Ita liana, Popolo dl Dio e sacerdozio. Prassi e linguaggi ecclesiali, Ed. Messaggero, Padova 1983, pp. 364.
(2) cf. in proposito lo stimolante abbozzo di G. Zanghì su Gesù Abbandonato e II sacerdozio, pubblicato in due parti su Gen's nn. 11 e 12/ 1982.