Alla ricerca di un giusto rapporto fra

morale, situazione e socialità

Pasquale Foresi

 

L'etica pone problemi molto dibattuti nel nostro tempo. Fra i numerosi aspetti che offre, qui vorremmo affrontare un tema fondamentale che l'investe a tutti i livelli: il rapporto fra la norma oggettiva e universale e la situazione concreta e particolare.

Legge e situazione

Come si è andata formando>realtà, il mondo, l'uomo nella sua natura, nel suo essere universale, e d'accordo con questo si sono fatte delle norme che valgono per tutti gli uomini. Un certo atto è cattivo nella misura in cui va contro l'essere uomo», era la regola fondamentale.

Però ci sono vari elementi che coartano di fatto questa norma astratta: la norma generale è che non si deve rubare, ad es., però se un individuo muore di fame non ruba prendendosi un pezzo di pane, o se in un certo caso una persona fosse convinta in buona fede che è bene rubare, soggettivamente non sbaglia nel seguire la propria coscienza. Le norme oggettive hanno un valore per tutti sempre, ma poi nel momento dell'atto che si compie quello che conta è seguire ciò che in coscienza sembra meglio. Moralmente nessuno può essere obbligato ad agire contro coscienza.

Cosa si e verificato però ultimamente? Che una corrente di pensiero sempre più consistente affermava: una norma etica universale, che valga per tutti gli uomini, nella pratica è impossibile. L'uomo in astratto non esiste, esiste questo uomo concreto che vive una determinata situazione esistenziale, diversa per ogni uomo. Quindi la norma astratta è un'illusione, esiste solo il concreto e ognuno deve fare quello che vede in quel determinato momento, seguendo la propria coscienza.

Pertanto — riducendo i termini del problema alla sua forma più semplice — prima si diceva: c'e un ordine nelle cose, creato da Dio; se vogliamo essere felici ed essere veramente uomini dobbiamo attaccarci all'essere e alla realtà così come è. Da qui vengono le norme generali. Poi nella complessità delle situazioni ognuno deve trovare, con saggezza e prudenza, la maniera di attuare concretamente quelle norme universali. Oggi invece alcuni dicono: questi sono ragionamenti che valgono in astratto, ma nella realtà non esistono leggi assolute, valide sempre e per tutti. Chi esiste veramente è questo uomo concreto in queste date circostanze storiche e di fronte alle quali deve prendere una decisione secondo coscienza.

Infatti, a conferma di questa seconda posizione, si rileva il fatto che spesso nella vita reale le norme universali non antecedono di fatto l'applicazione, poichè ci si trova a dover prendere decisioni concrete di fronte a certe situazioni drammatiche e urgenti, e solo in seguito magari ci si accorge che quelle azioni erano giuste ed erano riflesso di una dottrina implicita soltanto in seguito chiarita, sviluppata e universalizzata.

Senza dire poi che molte leggi universalmente accettate come qualcosa di pacifico e scontato, e che a volte hanno esigito sacrifici enormi da parte di tanti, col tempo si sono rivelate dipendenti non «dall'ordine delle cose», ma da categorie culturali relative e transitorie, e di fatto sono state in seguito profondamente rinnovate o abbandonate.

 

L'ottimo e il possibile

Un altro aspetto che forse non si rileva abbastanza in questo problema, e che quelle leggi universali vengono presentate come espressione di un «ordine naturale» o di un ordinamento «sociale "idealmente" cristiano», mentre in realtà le persone devono vivere quelle leggi in mezzo a strutture e circostanze ben diverse da quell'ordine ideale. Quindi dire: « si deve fare questo, comportarsi così, non danneggiare gli altri, dare senza aspettare ritorno, non aver sentimenti cattivi... », è giusto. Solo che per poter vivere secondo queste norme le persone dovrebbero abitare in un eremo o in un'altra società, fuggendo la pubblicità, il cinema, la letteratura, i rapporti sociali e commerciali così come vengono concepiti oggi. Ma siccome questo è impensabile, succede di fatto che nella pratica per quelle persone frequentemente non è possibile attenersi alle norme di quell'etica generale, normativa, universale. Un industriale dice: «se io dovessi attenermi oggi a certe norme dell'etica sociale così come viene concepita correntemente in teoria, in poco tempo andrei in fallimento, perché l'ingranaggio sociale — che si regge su altri valori (o disvalori) — è talmente potente che mi schiaccerebbe in poco tempo». Lo stesso per un neo-laureato che voglia impostare in maniera più onesta o altruista la propria professione: è molto probabile che dopo un po’ venga o incorporato nel sistema o emarginato. E così via. Ormai, precisamente per la collettivizzazione della coscienza e di tutte le espressioni della vita umana, siamo tutti condizionati al punto che è impossibile in certi casi andare contro corrente (analisi sperimentali porterebbero ad affermare che gli individui con forte personalità sono decisamente condizionati nelle loro azioni «solo» (!) nella misura dell'ottanta per cento circa). Allora, quando certe norme non possono nella pratica essere vissute, che norme sono? Quando diventano impossibili, le norme cessano di essere tali. Finiscono per creare dei drammi o delle esasperazioni nelle persone, le quali, se sono buone, cercano di fare quel che possono, altrimenti abbandonano gradualmente la pratica di quelle norme adattandosi alle regole di gioco della società in cui vivono.

Come continuare a sostenere delle norme che sono nate per essere vissute da tutti mentre solo pochi riescono a viverle? Sono diventate norme del singolo, mentre erano sorte precisamente come norme della collettività.
D'altra parte non si può, per il solo fatto che c'e questa situazione così paradossale, che la norma sia solo l'individuo con la sua decisione momentanea; non si può assolutizzare cioè come unica norma di comportamento quello che l'individuo crede sia bene o male in quel momento, perché si cadrebbe in un soggettivismo grossolano ed in ogni sorta di arbitrarietà. Uno potrebbe dire: « io ammazzo gli altri e così divento santo perché agisco secondo la mia coscienza». Si potrebbe cioè arrivare a qualunque assurdità. Uno che agisse solo secondo la propria coscienza individuale potrebbe danneggiare tutti, perché si e tagliato dall'unità che lo lega profondamente agli altri.

Una via d'uscita sarebbe quella di mostrare alla massa il «dover-essere» ideale, il punto a cui si dovrebbe arrivare — che poi è sintetizzato nel Vangelo —mentre con ogni singolo, caso per caso, si dovrebbe tener conto della sua situazione concreta: «forse tu per via di queste difficoltà non ce la fai; fa il possibile, però se dopo non riesci perché le difficoltà esterne sono cosi grandi da toglierti la libertà, anche andando contro la norma oggettiva non vai contro la norma soggettiva, che è poi quella che sempre prevale in un atto morale». Ma nemmeno questo atteggiamento può essere assolutizzato, perché altrimenti la natura umana, che è quella che è, si lascerebbe andare, giacche «comunque quello che conta e solo l'opzione di fondo e le buone disposizioni soggettive». Per questo, anche se quest'ultima è una strada che spesso si segue per risolvere il problema, non si tratta di una cosa affatto pacifica.

 

Situazione e socialità

Secondo me l'errore fondamentale che si è commesso in tutta questa problematica non si trova per sè nel fatto di aver sottolineato l'importanza della situazione, ma nell'aver concepito l'essere come asociale.

Se era sbagliato far prevalere l'astratto, è anche un errore far dipendere tutto dall'individuo singolo. Considerare l'uomo soltanto come individuo senza tener conto della socialità, che è una sua dimensione fondamentale, mettersi fuori della realtà. Se la legge universale in sè era qualcosa di astratto, più irreale e astratto risulta considerate l’uomo separato dagli altri uomini. Non si può considerare l'uomo come non è, ma come è: sociale. E questo può cambiare le prospettive anche dell'etica.

Molti cristiani considerano che nel Vangelo non esiste un'etica sociale: lo vedono soltanto come una norma di vita individuale. Qui è lo sbaglio, in altri tempi questo fu affermato dall'individualismo liberale. Oggi siamo arrivati all'individualismo nel collettivismo. Oggi cioè non siamo più nel pre-marxismo, ma nel post-marxismo: viviamo sempre più in maniera collettiva e vorremmo continuare a fare leggi universali per individui isolati.

E' vero che bisognerebbe superare I'etica astratta, quella che astraendo dall'esistenza si poneva come norma estrinseca all'individuo e che l'individuo solo raramente nel suo singolo caso poteva verificare. Ed in questo senso l'etica della situazione ha portato un grande contributo: ci ha fatto capire che non basta più un'etica fatta solo di formule. Però adesso, se si vuole trovare la norma del nostro essere esistenziale, bisogna farlo tenendo conto che esso per natura sua è associativo. Si dovrebbe cercare quindi un'etica della situazione nuova, un'etica della situazione collettiva.

L'etica, così come è stata in genere concepita, considerava gli individui e da essi deduceva un universale che a sua volta proponeva come modello agli individui. Ci vorrebbe invece un'etica che, essendo collettiva, ci offra dei valori assoluti che provengono non dal particolare ma dall'universale. In questo caso avremmo un'universale non astratto, ma quello che ha creato Dio, I'universale che siamo noi: la collettività degli uomini che trovano in sè stessi, nel loro essere, nel loro dinamismo sociale sia l'individuale che il collettivo. Per questa strada si potrebbe, penso, ritrovare un'etica della situazione che sia salvabile e che risponda alle esigenze dell'umanità attuale, proprio perché risponde all'essere nostro che è sociale.

Oltretutto un'etica che tenga conto della socialità permetterebbe il nascere nelle persone di una sensibilità nuova verso il fatto che la pratica di certe norme e di certi valori va raggiunta come collettivo, come esseri alto stesso tempo individuali e sociali. Se così spesso le persone non riescono a vivere certi valori, è perché stanno cercando di vivere isolatamente delle realtà che sono fatte per essere vissute insieme. Ci vuole una virtù non comune per vivere da soli contro tutti, ed è per questo che molto frequentemente sopravvengono crolli strepitosi o delusioni, perche si arriva a delle situazioni umanamente insostenibili. In altri tempi una santità individuale era possibile. Oggi, chi è solo, crolla quasi sicuramente. E non solo perche il male è penetrato profondamente nella società, ma anche perché la povertà, l’onestà, l'amore, il bene, trovano la loro vera espressione quando sono vissuti in comunione. Tante volte ci meraviglia che quelli che fanno il male vadano avanti mentre coloro che fanno il bene spesso restano indietro. Generalmente è perche si tratta di un bene fatto senza luce sufficiente, fatto individualisticamente.

Ad una società come quella attuale non si può opporre «delle buone persone», ma un'altra «società» che la trasformi dal di dentro e vinca il male con il bene. Una comunione di persone che, vivendo un'etica della situazione sociale, scoprano che la loro vita è in sintonia con il loro proprio essere e con la realtà.

Questa ricerca di un'etica che tenga seriamente conto della socialità è una proposta che dovrebbe essere approfondita sia a livello teorico che attraverso la sua concreta applicazione. Nonostante ciò mi permetto di accennarla allo stato ancora di intuizione non sviluppata, nella convinzione che per questa strada si dovrebbe trovare una soluzione a tanti dilemmi e problemi che assillano l'uomo d'oggi.