Impegno morale

sforzo solitario o vita evangelica in comunione?

Oggi si trova in atto, nella morale cattolica, un profondo ripensamento a tutti i livelli: si parla dell'amore come opzione fondamentale che deve orientare tutta la nostra vita; si segnala che la Parola di Dio vissuta dev'essere il punto di partenza del rinnovamento della morale; ci si domanda fin dove questa Parola della Scrittura può continuare ad essere attuale, normativa e pianificante nel contesto del mondo d'oggi così lontano e diverso dal contesto culturale nel quale la Bibbia è nata; si vuole mettere in luce l'importanza della vita comunitaria anche per la morale; si cerca di rivalutare il piacere come valore e il fatto che Dio ci ha creati per la felicità, e ci si domanda quale rapporto ha tutto questo con il dolore e la teologia della croce, ecc. Su questi temi abbiamo conversato con alcuni sacerdoti, provenienti da vari contesti ma legati da un elemento comune: l'esperienza fatta seguendo la spiritualità del Movimento dei Focolari. Pubblichiamo qui solo alcuni degli interventi che abbiamo raccolto dalla loro viva voce, come un contributo indicativo al dibattito in corso, persuasi che il rinnovamento non può venire solo da principi teorici, e che la vita cristiana autentica contiene un profondo valore dottrinale.

 

Adolfo Raggio, Fontem (Cameroun occ.)

«Stando in Cameroun ho fatto una costatazione: negli africani c'e un senso di Dio e una religiosità profondissima. Uno di loro mi diceva: «La religione, credere in Dio, è la sostanza della nostra anima; per cui, se ci tolgono Dio, ci tolgono l'anima». Qual'e allora la conseguenza? Proprio perché credono in Dio, c'è un senso morale fortissimo, e un forte senso di ciò che è male come offesa contro Dio e contro la comunità, la cui riparazione è la confessione pubblica. Per loro i peccati più gravi sono quelli che vanno contro la socialità, come ad esempio il peccato contro l'ospitalità, il rubare, l'adulterio, e tutti i peccati che recano danno alla comunità. Ecco perche l'esperienza che si fa all'interno del Movimento dei Focolari, di mettere Dio al primo posto nella propria vita, ricrea a poco a poco il senso morale nelle coscienze. Per questo succede a volte, ad esempio nelle Mariapoli, di sentire delle persone dire: «Ho ritrovato Dio», e di vederle poi andare a confessarsi».

 

Eraldo Carpanese parroco a Stoccolma

«Ricordo che, appena arrivato in Svezia, non facevo altro che giudicare quella gente. Se, ad es., vedevo un tale fare una data cosa subito lo bollavo: "Questo è male". Adesso, non me la sento più di essere così dogmatico. Per loro è normale che una ragazza vada a dormire con un ragazzo. Questo è un male, naturalmente; ma ho capito di dovermi mettere dal loro punto di vista per capire le ragioni del loro comportamento. E ho visto che esso era comprensibile dal momento che nella loro vita manca Dio, perché nessuno ha mai detto loro cosa è Dio, nessuno l'ha mai fatto capire loro fino in fondo. Anzi ho sentito dire da tanti anziani che il Luteranesimo ha portato un rigorismo tale che tutti adesso lo rifiutano. Per quella ragazza quindi è normale comportarsi così, se non ha mai conosciuto l'amore di nessuno. Per questo lei si dona a chi, anche per un giorno, le fa credere di amarla. La mia battaglia allora non può limitarsi a dire: "è giusto", "è sbagliato". Piuttosto devo offrire a queste persone la possibilità di sperimentare cosa vuol dire amare, nel senso vero, e allora sono sicuro che saranno capaci di doni enormi. Ecco. direi che è come fare l'esperienza della situazione in cui si è trovata Maria Maddalena. Chi la vedeva "dal di fuori" diceva: quella è una peccatrice. Gesù invece ha visto lo stesso fatto, ma si è comportato in modo totalmente diverso. In quest'ultimo anno il mio impegno è stato proprio questo: vedere un po' con gli occhi di Gesù la realtà di questa gente. Porto alcuni fatti che possono chiarificare le ultime cose che ho detto. Non mi sono ad esempio mai preoccupato di dire ai ragazzi e alle ragazze che dovevano essere puri, andare alla Messa, fare la comunione... Non ce n'e bisogno. Lo capiscono da soli appena trovano Dio, e Dio lo scoprono a volte in modo semplicissimo. Voglio dire, non dopo una lunga discussione o altre cose straordinarie. Per una ragazza, ad es., l'inizio del suo incontro con Dio è partito dal come ha visto muoversi e giocare un ragazzino, figlio di due sposi della nostra comunità cattolica. Ebbene, vedendo la libertà di questo bambino che già era in grado di capire quando aveva mancato di amore e quando faceva le cose bene, lei è rimasta così impressionata che ha voluto sapere che cosa si celava sotto quel modo di comportarsi. Il fatto è che quel bambino è cresciuto in un ambiente bello e sereno, in una famiglia dove si viveva effettivamente l'amore scambievole. E io credo che sia questo il senso vero della morale: la scoperta della realtà di DioAmore, che porta come conseguenza tutto un nuovo modo di vivere i rapporti sociali. Una difficoltà grossa potrebbe essere rappresentata dalla società in così aperta antitesi con questo stile di vita. Verrebbe da pensare che è assurdo che i giovani riescano ad andare contro corrente. Ecco la mia esperienza su questo aspetto: quelli di una certa età finiscono per arrivare alla nausea del sistema di vita in cui hanno finora creduto. Si ritrovano distrutti, con niente in mano e, in genere, si danno all'alcoolismo o a qualsiasi altro tipo di evasione che serva ad annegare i ricordi. Ed è naturale che sia così, perché quando si è perso il senso dei rapporti umani, quando anche nella famiglia, in cui uno vive, tutto è spento, subito salta qualsiasi legame di ordine naturale oltrechè spirituale. E' facile immaginare che cosa enorme sia per loro riscoprire addirittura un'unità spirituale, cioè l'esperienza di comunità che cerchiamo di proporre: ne restano abbagliati e non se la lasciano scappare più. I giovani che hanno incontrato e incominciato a vivere questa vita non restano intaccati dall'ambiente esterno, anche se è vero che non puoi girare gli occhi senza subire un autentico lavaggio del cervello. Dentro di loro c'e come un segreto fortissimo, molto più affascinante della realtà che li circonda. E quando vanno con i loro amici, perché sono anche ragazzi tanto liberi, non fanno altro che stabilire un'amicizia a volte così seria e profonda che "inquieta" le persone che incontrano. E tanti chiedono il perché del loro comportamento, e ricevono risposte piene, logiche, e trovano la soluzione della loro vita, mentre in questa specie di libertà dove fino ad ora erano vissuti si sono sentiti schiavi, nel senso vero della parola».

 

Cosimino Fronzuto, parroco a Gaeta (Napoli)

«L'impressione che ho io è che molte volte diamo troppo peso ai rilievi sociologici di statistica, per cui spesso la morale è una resa di fronte a questi dati e uno scendere a patti col mondo, adattandosi all'uomo. L'uomo viene dipinto debole e insicuro e sembra quindi necessario rassicurarlo su tante debolezze invece di proporgli delle prospettive e delle mete. Gesù, cosi come lo presenta il Vangelo, è preso spesso come unico modello, distorto però, a volte a giustificazione di scelte già fatte e a strumentalizzazione del proprio comodo voler vivere. E' molto diffusa in questo tempo l'idea di libertà come liberalizzazione indiscriminata, e sta diventando un dogma anche tra i preti. Di questo passo però ognuno si fa una sua opinione personale della morale, del peccato. Da parte dei sacerdoti c'e una forte tendenza ad allargare, per facilitare l'incontro dell'uomo con Cristo, ma spesso si tratta di un allargare che scavalca I'aspetto ascetico fondamentale richiesto dall'incontro con Dio.

Dall'esperienza ho visto che spesso i contatti avuti con altre persone portano solo ad un rispetto reciproco, in considerazione delle convinzioni e delle idee che ciascuno da parte sua esprime, ma non facilitano un rapporto più vero con Dio, e lasciano gli interlocutori irremovibili sulle loro sia pure affascinanti teorie. Da qualche tempo a questa parte invece, negli incontri che facciamo in parrocchia con i fidanzati, come preparazione al matrimonio, ho visto che se rispondo alle loro domande proponendo anche l'ascetica spesso dura che Gesù ha tracciato, questi giovani accettano molto più facilmente la Parola di Dio. In fondo, voglio dire, noi siamo solo degli annunciatori del messaggio evangelico — annunciatori che vivono! — e non promulgatori di teorie ».

 

Eraldo Carpanese

«A proposito di efficacia della Parola di Dio, credo di poter dire che se è stato possibile, per quelli che hanno incominciato a vivere questa esperienza di cristianesimo e di unità andare controcorrente è perché hanno sperimentato che vivere immoralmente lascia dentro di loro un vuoto molto grande, proprio l'opposto della pienezza che trovano quando vivono il Vangelo. Anzi, per loro, vivere la Parola è un aiuto grandissimo che ti fa restare con più facilità nel soprannaturale.

Ricordo l'esperienza di uno che adesso è animatore della comunità. Il suo matrimonio ormai si stava sfasciando e lui si drogava. Capita tra noi una sera mentre stavamo prendendo l'impegno di vivere la parola del Vangelo: «Non giudicate...» Era un periodo in cui anche lui tentava di vivere. Tornando poi a casa in treno arrivò nel posto dove, prima, si procurava la droga e qui prese a sudare per tutto il corpo, cadendo in uno stato di tensione fortissima che gli impediva di ragionare a di controllarsi. Sceso dal treno in questo stato, incontrò un ragazzo che conosceva che gli poteva dare un po' di "roba". Entrano in un bar a prendere una birra e l'altro, un hippie malvestito, gli chiede: «ma quanto tempo è che non ti droghi? ». Quando viene a sapere che era tre mesi — da quando ci aveva conosciuto — lo afferra e lo butta fuori gridando: «Ma se sei riuscito per tre mesi, va' via di qui, non cascarci più». In quel momento — ci raccontava poi — io ho visto Gesù in tutti, anche in quell'hippie che mi cacciava via; e correndo verso il treno sentivo dentro di me un urlo che mi diceva: «Va' via, va' via!» e mi sembrava che fosse Gesù a dirmelo. Da quel giorno ho incominciato a capire che non dovevo più giudicare neppure un hippie o un drogato». Questa ginnastica lo ha liberato nel senso più assoluto. Adesso la sua famiglia è una famiglia serena. La moglie non ha la fede e una sera, piangendo, mi diceva: «lo non riesco a credere». Mi è sembrato di doverle rispondere: «Guarda, io credo che nella tua situazione non devi preoccuparti, ma attendere. Gesù un giorno ci giudicherà sulla carità: "Avevo fame..."». Perché sapevo che lei vive la Parola di vita e fa esperienze. Dice cioè di non credere, però vive il Vangelo, e noi sappiamo che «chi fa la verità, viene alla luce"». Lei non crede perché ancora non sa cosa voglia dire credere. Eppure si sente che è un'anima cristiana, ed è talmente unita a suo marito che tutte le persona che vanno a trovarli se ne ripartono contenti, perche avvertono l'armonia che c'è in quella casa.

Un aspetto interessante infine della maturità cristiana raggiunta è che tutti quelli della comunità si sentono un corpo e capiscono che se si ammala uno di loro è tutto il corpo che si ammala. Se uno ad esempio va in crisi, come è successo una volta, lo dice a tutti: «Sento che non devo più venire da voi perché sono fuori strada, cioè non riesco a vivere come voi e così inquino tutta la vostra vita». Solo che nessuno l'ha giudicato, anzi gli abbiamo detto: «Guarda, tu sei come noi, sei quello che sei, e ormai sei parte di noi». Così si è ripreso e ha voluto ricominciare a vivere. Amando noi e sentendosi amato, lui risolveva il suo problema».

 

Cosimino Fronzuto

«Una cosa che potrà sembrare strana ad alcuni è che io non ho mai cercato di fornire tante spiegazioni nel gruppo più impegnato della comunità, cioè non ho svolto una vera e propria catechesi dettagliata, perché non mi sembra di dover fare il "catechismo" ogni volta su un problema. I nostri sono incontri in cui si cerca di dare spazio alle esperienze di Vangelo vissuto che ciascuno fa nella sua vita e solo se emergono dei problemi li trattiamo. Ebbene, dai contatti che ho con le persone della comunità, sento che i giovani come gli anziani affrontano problemi che io non ho mai trattato, ad esempio come vivere in grazia, o crescere nelle virtù, o ancora come evitare le tentazioni. Ci sono dei ragazzi che studiano a Napoli e frequentano la comunità, i quali mi raccontavano della loro riscoperta della preghiera come mezzo per conservarsi in grazia di Dio e per orientarsi più decisamente a Lui.

Sostanzialmente, quando mi trovo interpellato su qualsiasi problema di ordine morale, mi rendo conto che l'unica cosa che dia un po' di pace a chi cerca consiglio a l'inserire il suo problema nel discorso più ampio della scelta di Dio. In pratica sono convinto che non bisogna mai soffermarsi a trattare una situazione particolare, quanto piuttosto cercare di individuare la posizione di ogni coscienza di fronte a Dio. Allora si vedono le persone rasserenarsi e scoprire come la Chiesa è fermissima nei principi, ma è come una madre che incoraggia il cristiano a raggiungere determinate mete. Ed è cosi che la coscienza rappacificata vedrà il problema con maggiore oggettività, subordinandolo all'impegno fondamentale del cristiano che è quello di mettere Dio al primo posto nella sua vita. Succede spesso che le persone, risollevate, se ne vadano senza aver risolto quel problema particolare che le assillava e tuttavia ringraziano di essere state aiutate a individuare un altro problema più grave e più grande: quel vuoto che non riuscivano a colmare Nella nostra attività di sacerdoti come confessori, mi sembra che a volte, magari senza volerlo, cerchiamo di attribuirci un ruolo che non è nostro, esercitando in pratica una certa forma di paternalismo spirituale che fa si che le anime si leghino più alla nostra persona che a Dio, mentre è proprio a Dio che bisogna lasciare più spazio.

Non dobbiamo, insomma, avere la pretesa di voler licenziare le persone con tutte le carte in regola e con le soluzioni pronte per ogni tipo di problema».

 

Giuseppe Gambardella, viceparroco a Torre A. (NA)

Vorrei dire a quali conclusioni sono arrivato io proprio attraverso la mia esperienza. Fino ad un certo periodo della mia vita il mio rapporto con Dio consisteva nell'essere legato a delle norme da osservare. Se queste norme non le osservavo, era un tormento perché mi sembrava di non essere stato fedele: non tanto perché si era rotto i1 mio rapporto con Dio, ma piuttosto perché era mancata la fedeltà ad una norma. Mi sembra che adesso, dopo anni, qualcosa sia cambiato perché mi sono accorto che in tondo "il peccato" è il nonamore; mentre, per contrapposto, la grazia e l'amore, è il rapporto con Dio. Questo vuol dire che per me non a più una grossa difficoltà l'accorgermi di non aver amato, perché, anche se è un dolore avere le prove della propria debolezza, è anche molto semplice rimettersi subito in Dio senza tanti traumi. In pratica avviene questo: sento che veramente il passato non conta più; quello che conta è che io, in quel momento, ami, e se amo sono in Dio un'altra volta e la vita scorre con una continuità in cui anche le rotture e le cadute non sono che occasioni per rimettersi in Dio con maggior coscienza di prima. Questo fatto mi ha portato ad una scoperta e a delle conclusioni anche di tipo pastorale. Mi sono reso conto cioè che tante persone vengono a confessarsi perche psicologicamente insicure: a loro non importa tanto ricomporre l'amicizia con Dio, quanto tranquillizzare se stesse. Si potrebbe dire che se anche formalmente queste persone riconoscono di aver commesso un peccato, — perche hanno trasgredito quella tal Legge morale o quel tal altro comandamento — in realtà manca in loro la coscienza fondamentale che ogni peccato rompe il proprio rapporto personale con Dio.

 

Renzo Bonetti, Verona

«Quanto tu dici mi conferma in una convinzione: che noi spesso abbiamo costruito una morale fatta su misura per conservare l'integrità dell'«uomo vecchio». Quel modo con cui uno viene a confessarsi, con tutta quell'ansietà, quella preoccupazione, quella fretta di confessarsi subito, assolutamente... Ma, dico, perche? Hai sofferto cosi tanto per aver offeso Dio? Senti che Dio manca nella tua vita? Oppure è perche hai preso una bella umiliazione, una buona botta in testa? Ma allora chi è l'offeso in definitiva, sei tu o è Dio? Perche se è Dio, allora sì dobbiamo vedere insieme come ricostruire questo rapporto e ripartire di nuovo. Ma se sei tu l'offeso — mi viene da dire — chiediti perdono e va' in pace! Cioè si vede chiaramente che quello che manca è il rapporto con Dio e che, se c'e l'offesa, è in fondo solo un'offesa a se stessi, o meglio, a quel superuomo, a quell'idolo che noi facciamo di noi stessi con la falsa convinzione di seguire cosi del modelli di coerenza, di integrità, e magari di perfezione. Di fronte a queste possibili sfasature, è sembrato che un superamento di esse potesse venire dalla confessione comunitaria. Di fatto, appena è uscita la liturgia della confessione comunitaria c'e stata una corsa in questa direzione, perche sembrava il punto di arrivo di una crescita spirituale e liturgica. Quindi celebrazioni comunitarie a tutto andare! Mentre a volte ci si poteva benissimo rendere conto che concretamente non si cresceva nè personalmente, nè come comunità. Rimaneva lo "status quo"! Perche? Perche la dimensione sociale del peccato veniva presa solo come effetto e non anche come punto di partenza. Manca ancora la coscienza di essere parte di un corpo, coscienza che automaticamente investe e regola di conseguenza il mio modo di comportarmi con il fratello con cui vivo insieme. Invece, solo quando ho fatto il peccato mi ricordo che... Cioè si è puntato innanzitutto alla realizzazione della confessione comunitaria, senza puntare a delle "persone comunitarie". Non so se riesco a dare l'idea di queste sfasature... Si è celebrato quello che non si è mai vissuto. Di qui una certa noia delle celebrazioni comunitarie, subentrata dopo un paio di anni».

 

Giuseppe Gambardella

«Ricordo la tristezza e la delusione che mi prendevano nel costatare che non corrispondevo a quel modello di perfezione che mi ero proposto. In effetti però era una tristezza che veniva più che dalla coscienza di non aver amato, dal cogliere la mia incapacità di realizzarmi secondo determinati schemi. In altri termini era uno scoprirmi incoerente e incapace! La vita di unità con altri sacerdoti, invece, è stata una liberazione da questo punto di vista. Perché non mi ha più messo davanti agli occhi un tipo astratto di ideale cristiano, ma mi ha proposto Gesù come il cristiano perfetto. Per cui la cosa più importante per me, adesso, è il tendere a «consumarmi in uno» per convivere con Gesù, nonostante che io sia fragile, incoerente. Senza contare poi che, naturalmente, tendendo costantemente all'unità, io cambierò e diventerò sempre più Gesù. Per adesso, se uno non si accorge che sono un peccatore, glielo posso dire io. Ma non è che me ne importi, come non mi importa se ho combinato un pasticcio o qualcosa di grosso. Così quando ci troviamo fra noi è un edificarci in Dio, nel senso che ci diciamo: «Guarda, io sono così e così, ma tu non ti meravigli e mi vuoi bene così e io pure ti accetto così come sei. Adesso però ci rimettiamo ad amare Dio veramente, di nuovo». Questo, anche nei rapporti tra marito e moglie, tra ragazzi a ragazze, tra persone insomma, porta una liberazione enorme. Parlando, ad esempio, con giovani fidanzati che vogliono incominciare a vivere la vita cristiana, si sente che abbiamo dato loro un certo modello di rapporto tra fidanzati che, onestamente, nelle loro condizioni, non riescono a vivere. Però, d'altra parte, vogliono essere cristiani e questa tensione crea in loro dei traumi e delle spaccature interiori finchè arrivano a dire: «Tanto vale che ci rinunci!». Quando invece gli si prospetta questa luce nuova che, anche per me, è stata cosi forte da cambiare la mia vita, e che non è una coerenza ad un certo tipo di cristiano, ma il seguire Gesù e il tendere con tutte le forze a che Gesù sia presente, — Lui che è il Perfetto, non noi, — allora si sentono come liberati da un peso. Certo che dopo, nello sforzo di realizzare una piena comunione spirituale, trovano anche la linea giusta nel loro rapporto esteriore di fidanzati e comunque in tutti gli aspetti della vita, nella famiglia, nel lavoro. Che si sentano liberi dipende dal fatto che li si aiuta a puntare tutto sull'amore scambievole senza insistere troppo sui peccati: questo non ci meraviglia più; è il negativo che tutti abbiamo. Quello che è importante è riportare subito chi "sbaglia" nella dimensione positiva ».

 

Karl Raster, parroco a Ratisbona (Germania)

«Nella mia parrocchia, come punto primo e fondamentale della pastorale, abbiamo voluto che ci fosse l'unita tra noi sacerdoti. Già si vedono i primi frutti. Ci sono giovani che prima andavano a Messa per consuetudine e che ora ci vanno perché hanno trovato Dio vedendoci uniti; e andare a Messa adesso significa per loro: prendere contatto con Gesù vivo e ricevere la forza di vivere secondo il Vangelo. Credo che nella nostra catechesi non dovremmo mai dire: «Non è lecito fare questo, non si deve fare quello!». Bisogna dare ai cristiani punti di forza, valori in cui credere e vivere! Ad esempio chi ruba, lo fa perché è egoista e vuole essere felice da solo. Ebbene, noi dobbiamo aiutarlo a capire che il cristianesimo è fare felici gli altri, uscire dal proprio squallido egoismo. Non si dovrebbe mai limitarsi a proporre una norma astratta, ma piuttosto un'alternativa alla vita impostata negativamente, cioè la proposta di iniziare un'esperienza nuova! «Gesù ti propone questo, provaci e vedrai». Come Gesù, si butta lì una frase apparentemente innocua: «Vieni e vedi». Si tratta, come si vede, di un nuovo modo di affrontare la morale. Ho visto poi che non occorre far notare gli sbagli; se ne rendono pienamente conto da soli. Alcuni si scoraggiano, ma a poco a poco li si può aiutare a vedere anche nel fallimento una pedana di lancio per ripartire con più «sprint» di prima. Anzi, la forza di ricominciare sempre, di nuovo, è la chiave di volta della vita del cristiano, perché gli dà la possibilità di essere continuamente in cammino e di non sentirsi mai arrivato».

(A cura di Zeno Sartori)