Un'ordinazione come tutte
le altre
E' arrivato il giorno dell'ordinazione.
Devo dire onestamente che il diventare prete aveva ben poco di esaltante o di « romantico » per me. L'ho
vissuto in un clima molto normale e sereno. Avranno influito in questo molte cose, tra cui quegli aspetti del mio
carattere a cui non si addicono le effusioni, il chiasso, le feste. Ma
soprattutto è dovuto a una convinzione
profonda: che quello che conta non è tanto il posto che uno occupa ma il
« come » vive la propria vocazione. Per questo —
continuando a parlare con tutta schiettezza — non
trovavano risonanza dentro di me frasi come: « è arrivato
il grande giorno » ed altre dello stesso stile. Non mi
sembrava il sacerdozio una mèta d'arrivo ma piuttosto una tappa, una
continuazione. Il giorno seguente le cose in certo senso sarebbero continuate
come prima. Con un qualcosa in più, è vero, e questo è
fondamentale: la grazia congiunta ad ogni sacramento
per vivere bene il proprio stato. Però sapevo anche che questo era
soprattutto per gli altri. Potevo infatti dare Dio
agli uomini attraverso i sacramenti, ma per me continuava a valere il fatto che
chi non ama non cresce e non costruisce. « Sacerdoti si, ma
cristiani anzitutto », è stato scritto recentemente.
Allo stesso tempo intravedevo anche qualcosa
dell'amore di Dio nello scegliermi per questa strada, e del passo enorme
che stavo per compiere. Da qualche anno avevo capito che «il» Sacerdote è
stato Gesù in croce, e che quindi diventare sacerdoti significava
essere disposti a diventare altri Gesù crocifissi ed abbandonati vivi.
« Il sacerdote è un sacro separato che aiuta tutti ma per sé chiede solo aiuto a Dio ». Da allora
questo è stato il mio Ideale. Se non l'avessi trovato non sarei mai
diventato sacerdote. Capivo che era l'unica strada per dare agli altri la luce
e la vita, per continuare a generare l'unità fra gli uomini, per
anticipare in qualche modo il Paradiso già da questa terra.
In questo contesto la preparazione di
tutti i particolari per l'ordinazione mi lasciavano sereno
e tranquillo. Anche le lettere, telegrammi, regali che arrivavamo
come espressione dell'amore di tanti, mi facevano felice ma
non mi toccavano il fondo dell'anima. Tutto era relativo di fronte a quella
scelta di fondo.
La cerimonia dell'ordinazione è stata molto bella nella sua semplicità.
Nel silenzio e nella pace di una piccola chiesetta incastonata nella folta
vegetazione dei Castelli Romani. Era la casa che ospita
i sacerdoti e seminaristi che vengono da tutto il mondo per fare una esperienza
in profondità della spiritualità del Movimento dei
Focolari. Un contesto naturale, dato che a quella vita, che ho condiviso
in questi anni, dovevo l'essere arrivato a questo giorno. Una cosa soprattutto
mi ha colpito: l'unità che si è creata fra quelli che partecipavano
alla cerimonia. Mentre parlava il mio Vescovo — venuto in quei giorni dall'Argentina —
c'era in chiesa un silenzio denso, profondo, che gli permetteva di parlare
liberamente, persino con degli spunti scherzosi che contribuivano a creare
un'aria di famiglia. Si avvertiva che le sue parole trovavano
un'accoglienza ed un'eco particolare nelle anime di coloro che ascoltavano. La
maggior parte dei presenti erano dei focolarini, però in quel momento
nessuno parlava del Movimento. Si viveva e si amava la Chiesa. Il
loro ideale lo dicevano con la loro vita, con la realtà che si è
creata fra noi. Diverse persone che erano venute da fuori partivano commosse,
ripromettendosi di ritornarvi. Mi è piaciuto questo, anche
perché nella preparazione all'ordinazione tutti
puntavamo a cercare che il centro di tutto non fosse tanto la persona di
chi diventava sacerdote, ma Gesù presente nella comunità.
La grazia centrale dell'ordinazione
ne portava con sé tante altre
collegate. Qualche giorno dopo ad esempio siamo stati col Vescovo in
udienza privata dal Papa. Una delle grazie che mi porto da Roma è la forza, la paternità universale,
l'amore personale che ho trovato nel Papa ogni volta che l'ho avvicinato.
Fra poco il ritorno in diocesi, nei pressi di
Buenos Aires. Per il reinserimento dopo questi anni in Europa, e di fronte
ai problemi di ogni specie che troverò, dà tanta tranquillità sapere che l'unità con
coloro che là condividono lo stesso ideale, è capace di
offrire la luce e la forza per andare avanti secondo i disegni di Dio su quelle
terre cosi travagliate e così
ricche di promesse e speranze.
Dentro, come programma non da dire ma da
incarnare, uno solo: «Il
sacerdote deve essere... uomo sul campo di battaglia, / donna al letto
dell'infermo, / un vegliardo nell'osservare, / un bimbo nel fidarsi. / Rivolto
alle cose più eccelse, / attento alle piccole cose. / Destinato alla gioia,
I familiare col dolore. / ... Il
sacerdote è là dove fa unità la vittima e il sacerdote ».
Enrique C.