la crisi dell'arte

di Pasquale Foresi

 

Vorrei fare qualche cenno non tanto sull'arte o sull'estetica in sé, quanto su alcuni presupposti dell'arte e dell'estetica che applicati poi in questo campo possono risultare d'importanza fondamentale.

 

Crisi del pensiero

Partiamo da quello che si osserva nella vita dell'umanità in questi ultimi decenni. La cosa più evidente che appare sono i grandi cambiamenti a livello sociale, culturale, politico, tecnico-scientifico, che hanno scosso com­pletamente soprattutto alcune nazioni, ma in una certa misura tutta l'umanità.

Con queste rivoluzioni o innovazioni si è verificata una profonda crisi non solo a livello sociale, ma anche nel pensiero. E' una crisi che potremmo chiamare di scetticismo: non si crede più alle possibilità del pensare per affermare delle verità razionali; si diffida cioè del valore della ragione.

Questo lo si avverte in tutti i campi. Nel pensiero filosofia) oggi nes­suno può affermare di aver « la » filosofia da seguire. C'è una grande confusione, non ci sono delle grandi novità e questo viene interpretato come una mancanza di vitalità; più che fare della filosofia spesso ci si limita a fare la storia delle idee filosofiche, e non si trovano delle personalità tali da innovare profondamente il pensiero. In campo marxista si cerca piut­tosto di presentare delle realizzazioni sociali più che delle vere e proprie novità di espressioni nel pensiero. Nel campo cattolico non sazia più quel modo di capire la realtà in senso realista medievale, e si cercano altre strade di timbro hegeliano, storicista, dialettico, marxista, strutturalista...

A livello teologico si assiste a tutta una serie di opinioni delle più disparate che appaiono e scompaiono, che si contraddicono, come un sintomo di una crisi non tanto della fede, non tanto della presenza del divino, quanto del modo di presentare, esprimere, capire la fede.

Si tratta di uno di quei fenomeni storici che non si possono fermare. E' l'umanità che non viene più soddisfatta dalla maniera in cui prima si pensava e si affrontava la realtà. Come succedeva ad es. al tempo dei pre­socratici con i sofisti: loro non negavano il pensare e la vita, ma esprimevano il malessere dell'umanità di allora di fronte a un modo di concepire la realtà che non era più adeguato allo sviluppo umano di quei popoli e di quella cultura. Era necessaria una nuova fase che loro, senza saperlo, stavano preparando. Infatti dopo sono venuti Socrate, Platone, Aristotele, con delle filosofie grandiose che rispondevano alle esigenze del loro tempo e conti­nuano ad offrirci degli aspetti suggestivi ancora adesso. Loro però sono stati come il prodotto di quella crisi, di quella decomposizione della vita pre­cedente che ha permesso lo svilupparsi di nuove concezioni.

Ad ogni nuova svolta dell'umanità è necessaria una certa crisi di sofismo e di scetticismo, il cui aspetto positivo è precisamente di indicare l'esigenza che gli uomini hanno di trovare nuove profondità e nuovi orizzonti nella vita e nel pensiero.

 

Crisi dell'arte

Vita, lavoro, pensiero, musica, arte, sono tutte espressioni diverse, ma collegate, dell'uomo. Anche l'arte, che è una delle più alte intuizioni del­l'essere, sta passando una crisi che può essere molto indicativa. Vediamo che oggi si producono delle innovazioni radicali nel campo dell'arte. Basta vedere la biennale di Venezia o le numerose mostre che si vanno succedendo ovunque. Il popolo, la gente semplice, resta sconcertata, non riesce a capire queste manifestazioni artistiche d'oggi. E questo è grave sotto un certo aspetto, perché nei periodi più felici della vita del pensiero e della vita dell'arte c'era la partecipazione dell'umanità di allora, del popolo, delle masse. Ancora fino alla generazione precedente, ed es., c'erano in Toscana dei con­tadini che sapevano a memoria « La Divina Commedia », proprio perché era un'espressione artistica che rispondeva alle esigenze della vita di quel mondo, di quella cultura. Qualcosa di simile succedeva con le grandi tragedie greche, oppure con i dibattiti filosofici che venivano fatti dai filosofi nelle piazze ai tempi dei romani, o con le dispute teologiche che si facevano più tardi nelle chiese davanti al popolo. Queste espressioni venivano seguite dal popolo perché c'era un innesto profondo fra la cultura, il pensiero, l'arte del tempo, e l'esistenza di quelle persone. Allora ci si potrebbe domandare se è vera arte quella produzione che oggi lascia perplessi o che non viene capita dalla maggioranza del popolo.

D'altra parte, personalmente, vedo dei fatti positivi, tutto sommato, nelle attuali espressioni artistiche, perché attraverso quelle nuove forme è l'umanità che sta ricercando se stessa. Non è più soddisfatta delle vecchie forme e tenta quindi nuove strade, senza ancora riuscire tuttavia a trovare una nuova sintesi, delle forme che la sazino, ossia che la esprimano nelle sue più profonde esigenze attuali.

 

Dall'individuale al collettivo

Se oggi tutto entra in crisi e tante cose non soddisfano più, è precisa­mente perché nel nostro tempo stiamo assistendo a uno di quei tipici pas­saggi dell'umanità da una fase ad un'altra. Qual è l'aspetto fondamentale che sta cambiando nella società attuale? Si tratta del fatto che fino adesso l'uomo ha visto e vissuto le cose da un punto di vista soprattutto individua­listico, mentre la fase nuova nella quale stiamo entrando è quella della vita collettiva, o — se non si vuole usare questa parola che può avere anche un senso tecnico molto preciso — della vita comunitaria. L'uomo non vive più da solo, vive in comunione, vive socialmente comunque, sia che lo voglia o che non lo voglia.

Questo succede sia a livello, diciamo, superficiale (notizie anche minime che si sanno dappertutto, rapidità dell'informazione, facilità di spostamento e di contatto con altri popoli e culture, ecc), sia ad un livello più pro­fondo. Prima ognuno pensava da sé, e poi comunicava o riceveva dagli altri. Se scriveva una lettera, la risposta gli arrivava dopo mesi di corriere; intanto lui meditava per conto suo, poi, quando riceveva la risposta poteva ripensare tranquillamente all'argomento trattato e riscrivere un'altra lettera che arrivava a sua volta dopo mesi. Basti citare san Girolamo: le sue lettere sono datate a tre, quattro anni di distanza, alle volte, a causa del tempo che occorreva ad una lettera per arrivare dall'Africa all'Europa e alla risposta per il viaggio inverso.

E quello che si dice della lentezza delle comunicazioni si può affermare di tante altre cose. Il fatto ad es. che non esistesse la stampa faceva che anche delle opere più grandi, quelle che hanno fatto furore, mettiamo la Summa Teologica nel medioevo, ce ne fossero poche decine di copie in tutta l'Europa, perché era un manoscritto che si andava a consultare solo nelle università, nelle grandi biblioteche, mentre normalmente non circola­vano che appunti compilati dagli alunni stessi, dato che un'opera di quel genere aveva un prezzo commerciale evidentemente altissimo.

Questo per dire che i contatti umani, i problemi, lo sviluppo cono­scitivo, erano diversi da quello che sono oggi. L'uomo pensava da solo. Non esisteva la socialità conoscitiva in maniera cosi acuta come si mani­festa oggi.

Ai nostri giorni stanno cambiando tutti i rapporti. Riceviamo continui choc dal ritmo della nostra vita, dai contatti permanenti che abbiamo con gli altri uomini, siamo bombardati continuamente da immagini, pubblicazioni, notizie, ci troviamo in una tensione continua fra le mille informazioni che ci arrivano e le necessità di andare a fondo nei problemi, fra la specializ­zazione e un dilettantismo superficiale in ogni campo. J. Maritain dice di S. Tommaso che, prima di mettersi a scrivere, aveva letto tutta la produ­zione che c'era stata fino allora, del mondo greco e del mondo romano, della patristica e del mondo medievale, e solo quando ha potuto dire di avere una certa competenza, oltre che nella filosofia e nella teologia, anche nella scienza, nell'arte, nella medicina, ha incominciato a produrre. Lui voleva dire qual­cosa di nuovo, quindi sentiva di dover leggersi tutto quello che l'aveva preceduto. Oggi uno specialista, se da una parte è cosciente del fatto che è impossibile fare una cosa simile, allo stesso tempo sa che se non è collegato in qualche maniera con le altre scienze rischia di commettere dei grossi sbagli, di perdere tempo, di affrontare problematiche false, di fare della mitologia o dì parlare « sopra le nuvole ». Da qui le esigenze attuali del lavoro in équipe, la necessità del lavoro e dall'insegnamento interdisciplinare, del dia­logo, della comunione. E questo non solo per un'utilità pratica, perché essendo in più riusciamo ad affrontare un problema da più angolazioni e arriviamo più facilmente a una soluzione, ma perché si sta sviluppando in maniera nuova l'essere sociale dell'uomo, anche a livello conoscitivo. La marcia del­l'umanità, le circostanze storiche, mettono l'uomo nelle condizioni di svilup­pare questa sua dimensione fondamentale, come mai era successo prima nella storia.

 

Ricerca e disarmonia

Questa situazione non poteva non incidere profondamente anche nel mondo dell'arte. Gli artisti non possono estraniarsi, anche se vogliono, dal­l'umanità d'oggi con tutte le sue caratteristiche, con i nuovi tipi di rapporto che vanno nascendo. E non devono estraniarsi, poiché se non hanno tutto dentro, in un certo senso, non sono artisti, in quanto non riescono a espri­mere l'umanità nella quale vivono. Qualcuno riesce ancora a tenersi ai mar­gini del travaglio della società attuale, però sono delle eccezioni che non riescono a incidere profondamente, e anche se esprimono delle cose belle e positive la gente le sente sempre meno come proprie, perché non esprimono più il mondo in cui viviamo.

E questo mondo nel quale ognuno di noi vive viene espresso molte volte da queste, più che composizioni, decomposizioni che troviamo in certe espressioni artistiche. Da una parte verrebbe da ridere, o da pensare che si stia impazzendo, o che ci si trovi davanti ad accorte trovate pubblicitarie e commerciali per acquistare fama e danaro. Però se guardiamo più in pro­fondità dobbiamo riconoscere che noi siamo proprio cosi, che tutti noi siamo un po' nevrotici, un po' matti. L'arte d'oggi esprime esattamente lo stato d'animo che proviamo noi nel vivere in mezzo a tutti gli altri: cioè noi vorremmo essere un po' di questo e un po' di quest'altro, avere tutto in noi ed essere un po' tutto. L'arte attuale riesce ad esprimere in qualche maniera quello che siamo noi, uomini d'oggi. In maniera ancora disarmonica, è vero, ma proprio perché è l'uomo stesso che è disarmonico dentro di sé e nei suoi rapporti.

L'artista d'oggi è immerso in un'umanità che ha fatto esperienze così ricche e profonde, da sentire che le forme precedenti dell'arte non gli bastano più a esprimere quell'uomo che è. Allora entra in crisi. Crisi del­l'arte, dunque? si, ma in tanto in quanto esprime la crisi di transizione dell’uomo che sta avanzando verso una nuova sintesi. E' entrato in crisi uno schema, una serie di valori alcuni dei quali dopo verranno ripresi, perché quello che è valido l'uomo lo ritrova sempre.

 

Un'arte nuova

Verrebbe da domandarsi: ma allora dove andremo a finire? Penso che l'umanità stia andando verso un nuovo equilibrio sociale dato da un nuovo senso di unità e di distinzione. Bisogna che l'uomo scopra che è più sociale di una volta, anche se rimane completamente individuo. E' più solo, in un certo senso, pur essendo più pienamente inserito negli altri. Si sta andando verso nuovi punti di contatto, di dialogo, di coesistenza, di rapporti, sia fra le persone che fra i gruppi sociali ed i popoli. In mezzo a guerre e difficoltà di ogni tipo, che ci saranno sempre, si sta aprendo il passo una nuova vita, una nuova visione della vita.

L'umanità sta cercando una realtà nuova, una fratellanza, una sintesi nuova che è divina e umana. E anche l'arte, che oggi si trova a cavallo fra due mondi, riuscirà ad esprimersi in una forma nuova. Ogni stagione ha i suoi fiori, quindi l'arte non può esprimersi oggi con le formule del secolo XIV o di un secolo fa, pur essendo meravigliose.

E' per questo che quando degli artisti si trovano oggi per cercare una nuova unità spirituale tra loro — non spirituale in senso devozionale, ma nel senso più personale e profondo che si possa pensare —, stanno met­tendo le basi più solide per risolvere il problema dell'arte, per trovare nuove espressioni artistiche che esprimano e sazino la conoscenza e la vita dell'umanità che sta nascendo.

Ci vorranno degli artisti che possiedano un nuovo tipo di arte e di conoscenza, che non è solo quella individuale, ma che permetta loro, restando e scoprendo sempre più pienamente se stéssi, di esprimere anche un po' della conoscenza dell'altro. Si dice che l'amore è unitivo, e per questo è fondamentale per la conoscenza. Un gruppo dove ci sia un vero rapporto di amore, di unità, riesce più facilmente a trasfondere reciprocamente fra i membri i propri modi di vedere le cose. Ognuno, ad un certo punto, è capace di vedere dal proprio punto di vista, ma anche con l'occhio del­l'altro.

Anche quando non siamo uniti nell'amore, in un certo senso ci in­fluenziamo; se non altro come reazione gli altri ci comunicano sempre qual­che cosa. Ma se ci inseriamo nell'essere dell'uomo e nell'essere metafisico che tende all'unità, noi facilitiamo enormemente questo nostro modo di cono­scere e assimiliamo quegli elementi che poi sapremo esprimere in forme tali che gli altri capiranno, perché sono proprio le forme che tutti incon­sciamente sentono e vivono.

Le espressioni attuali dell'arte che ci sembrano cosi strane, sono in realtà espressione di quello che è l'umanità costretta a vivere unita essendo ancora disunita. Esprimono mille cose non ancora armonizzate. Se noi riu­scissimo ad armonizzarci tra noi come persone, allora ci armonizzeremmo anche nell'arte e nelle sue espressioni, perché l'arte è l'espressione dell'essere, ed i veri artisti sono quelli che riescono a dar forma, al di là delle tecniche che hanno imparato, alla realtà che possiedono dentro. Se non riusciamo ad armonizzarci non riusciremo mai a creare un'arte nuova che soddisfi e pienifichi tutti.

Quindi da una parte è bene che vengano fuori le attuali espressioni artistiche, perché ci fanno vedere la crisi delle forme del passato e ci fanno meglio capire come siamo adesso. Però sono anche un sintomo dell'urgenza che abbiamo di andare avanti, sono un segno che l'essere è già al di là della forma artistica attuale. Se l'arte si esprime in forme decomposte vuol dire che siamo già in un essere che è al di là e che non ha trovato ancora una sua perfezione formale. L'arte attuale è la distruzione del vecchio tipo, ma non è ancora il nuovo tipo. Questo riusciranno a crearlo solo delle per­sone in sintonia con il grado di sviluppo attuale dell'essere e dell'umanità. Delle persone che siano in tale comunione fra loro da poter esprimere allo stesso tempo quello che loro personalmente sentono e quello che sente il corpo sociale in cui sono inserite. Che sappiano ascoltarsi tra di loro, e non solo attraverso le parole, perché alle volte basta ascoltare gli altri prima ancora che dicano una parola, basta ascoltarli nell'essere che ci danno, nell'essere che sono. Penso che sarà da persone di questo tipo che nascerà qualcosa di nuovo, di nuovissimo, che non distruggerà il vecchio, ma lo conterrà — perché tutte le grandi epoche artistiche contengono in sé i semi di ogni altra epoca —, esprimendosi però da un altro punto di vista, da un altro aspetto. Queste forme nuove non si può stare ad attendere che nascano. Nasceranno da persone che abbiano scoperto nel senso più profondo la socialità, la comunione.