"Anche noi vogliamo che Dio

occupi il primo posto

nella nostra vita"

 

Ho sempre saputo che l'adolescenza è un tipico periodo che invita a perpetuare sulla carta, leggi sul diario, i ricordi di quest'epo­ca singolarmente tumultuosa. Se di una con­ferma avevo bisogno, eccomi con un bel gruzzolo di cento e più pagine, tra relazioni lettere e diari, a documentare dal 1970 in poi la vita di un nutrito gruppo di ragazzi — quelli stessi di cui si parla in seconda e terza pagina —.

Età dagli 11 ai 16 anni, cittadini della periferia, di professione studenti. In altre parole ragazzi normali, altruisti ed egoisti, con un tipico mondo di interessi in fermen­tazione continua. Compreso il mondo del­l'esperienza religiosa. E' di questa esperien­za che i loro diari-lettere ci parlano.

 

Stop al doppio gioco

Sembra proprio di risentire l'eco fedele di una situazione che tutti conosciamo. Sentia­mo ad esempio Pierino, 16 anni, a parlarci dei primi passi della sua esperienza:

« Per me il cristianesimo era un po' mettermi la maschera, cioè andare a messa e pregare, poi uscire di chiesa e continuare a fare tutto quello che volevo ». E' una cri­si in cui sicuramente siamo tutti passati. Pie­rino l'ha risolta cosi: « Poi sono venute le vacanze e sono andato in campeggio a Ger­bore. Io ero contento perché ci sarebbe stato da divertirsi tutto il giorno. Ma arri­vato lassù mi accorsi che il campeggio era basato su una cosa del tutto diversa: sul­l'amore... Questo campeggio mi ha fatto capire una cosa fondamentale: che non pos­so stare con Dio e con me stesso insieme; o scelgo Dio oppure è meglio che scelga me stesso, invece di continuare a fare il doppio gioco. In questo campeggio ho scelto Dio ».

 

Queste le prime pagine del diario di Pie­rino, già vecchie di tre anni. Ma anche quelle più recenti, del gennaio scorso, sembrano decisamente intenzionate a rimanere in linea con questa scelta.

« Questo mese è stato stupendo, non per­ché ci siano stati avvenimenti o incontri favolosi, o perché abbia provato tanta gioia; anche per questo, ma soprattutto perché il mio rapporto con Gesù si è approfondito. Dopo l'ultimo campeggio di Venezia una favolosità mi ero detto: "si potrà gu­stare una gioia più grande di quella pro­vata in quei giorni?", convinto che la rispo­sta fosse negativa. Invece adesso mi accorgo che quel campeggio è ormai superato e che Gesù non sta fermo. Infatti proprio qui a Torino mi aspettava al varco. Avevo deciso di far giustizia e per questo di mettere Gesù al primo posto. Però mi sentivo legato da una simpatia per una ragazza. Che fare? Non sapevo ancora che direzione avrei preso nella mia vita, ma certamente ciò che ora importava era di essere totalitario con Dio. Dentro di me ho fatto un taglio. Ma è stato solo il primo passo, perché parlandone poi con don Ferruccio mi sono accorto che io avevo si tagliato con quella ragazza, ma in fondo ci tenevo ancora che lei avesse il cuo­re pieno di me. Il giorno dopo sono andato anche da lei e le ho parlato della mia deci­sione. E' stato durissimo; ma voglio o non voglio essere totalitario? e poi con Gesù non c'è mai da perdere... ».

 

Al campeggio

Gerbore in Val d'Aosta, Vinadio nel cu­neese, e Treporti sul lido di Venezia sono le località normalmente sede del campeg­gio. Risalta chiaramente dalle testimonianze dei ragazzi che se si può paragonare la vita come ad un passaggio da una tappa all'altra, il campeggio rappresenta sempre una di que­ste tappe. Si è cercato, in terza pagina, di spiegare la tattica che produce quegli effetti che, ad esempio, Alberto ci mostra con la sua esperienza.

« Sono felice. In questa settimana Ve­nezia, gennaio 1974 — ho scoperto più di prima il vero volto di Gesù. Se arrivano le difficoltà, grazie Gesù, amale e buttati. Que­ste parole, ormai impresse in me, racchiu­dono la realtà più potente che sto vivendo nel mondo però non è del mondo —. Tre sono i punti principali: grazie Gesù, ringraziare Gesù del dolore che ci sta man­dando, poiché ci ama in modo particolare; amale, non rinchiudermi, anzi amare in quel momento particolare e gioire; e buttati, but­tarmi ad amare gli altri senza paura del do­lore, poiché Gesù l'ha già cancellato. Solo facendo questo possiamo gustare il paradiso, poiché dopo la morte c'è la vita, quindi se nel nostro piccolo vogliamo risolverci dob­biamo prima sentirci in croce. Fatto questo passo la realtà si fa viva.

Oltre a questo Dio mi ha fatto altri doni: "l'unità". E' una parolona che moltissimi uomini cercano di vivere, dimenticandone spesso le condizioni, perché solo dopo aver vissuto completamente la croce ci si può far uno con gli altri. Altro punto indispensabile per l'unità è la comunione, in particolare la comunione col responsabile. Quando mi è stato proposto questo compito, tra i ragazzi della prima superiore, mi sentivo troppo fallito, ma ho capito che non dovevo guar­dare indietro, bensì cercare di essere costan­temente in Dio, per poter dare Dio agli altri. In questi giorni ho ricevuto tanti doni, ma questo, mi accorgo, è soltanto l'inizio ».

In effetti tutto sarebbe già morto, e i campeggi naufragati, restando tutt'al più come il ricordo di una romantica esperien­za, se a Torino, nella parrocchia di Gesù Operaio non fossero ogni giorno calati in quella realtà. Cioè nella scuola, nella fami­glia, con gli altri compagni, nello sport, in tutto. E' questa continuità tra i campeggio e la vita di ogni giorno che spiega, dopo 4 anni, il moltiplicarsi dei ragazzi che si sen­tono attratti da questa esperienza.

I diari riportano tante mini-esperienze col­lezionate durante un esperimento di mate­matica, alla partita di pallacanestro, in casa con le sorelle, con gli altri compagni o con altri gruppi giovanili. Ma per capire il di­namismo di questa vita, occorre riferirsi a quella rete giornaliera di rapporti che tiene viva la loro comunione.

 

2 aprile 1974

« Ho voluto segnare questa data perché questa giornata è semplicemente stupenda. Tutto è cominciato da stamattina quando ho pregato Gesù affinché ci fosse più unità e vera vita fra noi.

Da quel momento tutta la giornata è stata una catena ininterrotta di incontri. Beppe mi ha parlato dell'incontro fatto con tre amici. Jackie mi ha raccontato della scelta fatta da lui tra la vita dei suoi compa­gni e la nostra; naturalmente ha scelto la nostra e ha constatato che è più dura, ma più stupenda. Questi due ultimi mi hanno parlato durante gli intervalli scolastici, quin­di non si può dire che abbiano perso tempo. Nel pomeriggio mi ha telefonato Walter e gli ho detto che sarei andato da lui, ma prima sono andato da Pierino e dopo averlo aggiornato ho passato con lui dei momenti veramente belli, anche facendo i compiti. Quando poi sono andato da Walter, mi ha aggiornato della malattia che l'aveva tenuto lontano da noi in quella settimana; ha sof­ferto, ma ha spesso saputo offrire il dolore e, per non far preoccupare sua mamma, l'al­tra sera non le ha detto che aveva mal di testa. E' ormai sera. Ma suona ancora il telefono: una telefonata che aspettavo. Era Giorgio... Mi stavo chiedendo se c'era vita. Ora non ho più alcun dubbio: la vita c'è e si sente perché fra noi oggi c'è stata unità, perché l'amore regna fra noi. Cosa importa soffrire, cosa importa essere un niente se arrivano giornate cosi belle e piene di gioia ».

 

Volontà di non barare

Accanto ai momenti di verifica collettiva, una sosta davanti a Dio, per confrontarsi con lui e ripartire.

« Gli ho offerto quelle cose che nemmeno don Ferruccio e Alberto sapevano, anche perché mi sono ritornate in mente in modo consistente solo lunedì. La ragazza e l'estate con lei tremenda, non solo gli anni addietro ma anche quest'anno, le bravate dal sapore giallo, le innumerevoli cadute attaccandomi all'umano, le tentazioni e i giornali poco pu­liti. Ma nonostante questa fedina da assas­sino di Cristo, nonostante il dolore di sen­tirmi dire che ancora avevo barato, mi è ri­masta la pace, perché più forte era l'amore di Dio per me ».

 

Lasciar libera la vita

Può esserci tuttavia, per chi è stato lo strumento di questa opera, una certa sof­ferenza a riconoscere questa autonomia. Ma è con passo necessario per lasciare libera la vita.

Don Ferruccio: « Si, mi accorgo che sono attaccato ai ragazzi, soprattutto a quelli che sono stati a Venezia. E tutto ciò mi preoc­cupa e non mi lascia libero. Anzi, direi: "non mi lasciava", perché ho cercato di ta­gliare subito, non intervenendo agli incontri a gruppi ai quali ci tenevo tanto —, po­tendo benissimo farne a meno. Era un un "godere" sui ragazzi, uno strumentaliz­zarli....

Scopro che da quando ho lasciato i ra­gazzi pienamente liberi nei loro incontri, la loro realtà ha fatto un passo enorme in avan­ti, realizzando maggiore unità e di conse­guenza meno attaccamenti per la mia anima. Ormai è a gruppi che scelgono Dio come il tutto della loro vita ».