Dio non è passato di moda
Quello che presentiamo è il risultato di una conversazione,
tipo-intervista, che abbiamo avuto con don Ferruccio
e con due giovani, Alberto e Pierino, protagonisti di una esperienza
di gruppo che, pur non presentando novità dal punto di vista delle « tecniche di gruppo » (incontri,
sport, campeggi, ecc. ) trova il suo punto di forza nella concretizzazione
vissuta e testimoniata della spiritualità del Mov.
dei Focolari.
Come vi spiegate l'adesione che questa
iniziativa ha suscitato tra i giovani della vostra città?
DON FERRUCCIO: Per me è significativo che
durante questi quattro anni il nostro gruppo non è diminuito,
ma aumentato. Di solito succede che in questi
gruppi tanti vanno in crisi, se ne vanno e non
tornano più. Nella nostra esperienza invece abbiamo visto che
magari molti se ne sono anche andati, ma che, dopo un periodo di ripensamento,
sono tornati. E il bello è che tornano diversi, con una voglia ancor
più grande di accettare e di fare la nostra esperienza di
profonda comunione, di Gesù in mezzo a noi. E' come se quelli che se ne
vanno, vedendo i loro amici di prima che continuano a vivere cosi, sentissero
come una vera e propria «
nostalgia ». Per cui quando ritornano, decisi a ricominciare,
sono come purificati. La prima volta forse erano venuti nel gruppo per motivi
umani: per trovarvi degli amici, per sentirsi amati. Ora, se ritornano, ritornano
unicamente per Dio.
Sembra di capire che il vostro
segreto sta nel fare una proposta di vita radicale e totalitaria, nel
proporre ai giovani un cristianesimo che chiede a loro tutto, che li
scuote, che non li lascia più
tranquilli. E' cosi?
ALBERTO: E' vero che la nostra esperienza chiede
tutto e, secondo me, questa radicalità
è la nota dominante del nostro stare insieme. Perché o uno non accetta e allora lascia perdere; oppure, se accetta
la nostra esperienza fino in fondo capisce che li deve dare tutto se stesso.
Questa caratteristica mi sembra molto importante, soprattutto nel nostro
tempo in cui di ideali ve ne sono, si, ma tutti parziali: la politica, ad es., ti prende solo in parte. Ci sono dei momenti, nella vita,
in cui la politica non c'entra. Per noi invece è diverso: noi non
siamo « gruppo » soltanto
durante l'incontro o in quei momenti nei quali ci vediamo, ma dobbiamo
esserlo soprattutto dopo.
Ma allora verrebbe da pensare che voi vi
separate dal mondo, dalla politica, dai problemi sociali e umani e che il
fatto di aver trovato un Dio su misura per voi vi lascia perfettamente
tranquilli e insensibili ai problemi!
ALBERTO* Non è che
noi facciamo il gruppo per star bene tra
di noi. Anzi, l'ideale del nostro stare insieme è proprio
portare agli altri la realtà della
nostra vita, la nostra rivoluzione. Solo che se prima non lo viviamo noi questo
ideale, che cosa portiamo agli altri? Per questo
ci preoccupiamo di vivere al cento per cento tra di
noi per portare agli altri qualcosa che non siano solo chiacchiere!
In questo modo non ci sentiamo divisi dagli altri, ma anzi viviamo proprio in
funzione degli altri e Gesù in mezzo a noi ci unisce
agli altri più di quanto possiamo fare noi materialmente.
DON FERRUCCIO:
Ricordo che uno di noi, che ci ha lasciati per inserirsi
attivamente nella politica, riconosceva di aver sbagliato. Non per essersi
dedicato alla politica, campo molto importante di servizio al prossimo, ma
per aver rinunciato a quella totalitarietà che deve prendere ogni aspetto della propria vita. Per noi ciò che
conta, l'esperienza che viene prima di ogni altra, è avere
Gesù in mezzo a noi. E penso che quanto più riusciamo a
realizzare la famiglia tra di noi, la presenza di
Gesù in mezzo a noi, tanto più abbiamo la capacità di
aprirci agli altri. Ci accorgiamo che se non usciamo verso gli altri, moriamo.
Ad es., se facciamo un incontro tra ragazzi della scuola
media e vediamo che alcuni mancano, poi i più grandi vanno a due a
due ad aggiornare gli assenti. E chi più rimane stupito sono i genitori
stessi che vedono ragazzi di 16, 17 anni parlare di Dio a quelli
più giovani di loro. E poi siamo in contatto con tantissimi altri gruppi
e questo è un vero scambio di doni.
Sappiamo che tu, Ferruccio, hai una comunione
di vita particolare con altri sacerdoti. Puoi dirci se questo fatto non
crea quasi una frattura tra la tua vita e la parrocchia o delle
tensioni col tuo parroco, che per il lavoro è il tuo responsabile?
DON FERRUCCIO: Ho capito che posso essere un vero sacerdote soltanto se perdo tutta la mia vita nella
comunione con quei sacerdoti con cui condivido lo stesso impegno di vita
evangelica, proprio per evitare che sia io a portare avanti questa esperienza,
mentre è soltanto opera di
Dio. E' evidente che sarebbe facilissimo proporre delle mie idee a questi
ragazzi e che loro seguissero la mia personalità. Ebbene il fatto che io
viva in comunione con questi sacerdoti è la garanzia perché loro
possano cogliere solo Dio. In questo senso non mi preoccupo di fare
apostolato, ma solo di essere nella volontà di Dio nell'attimo presente.
Cercando di fare solo questo vedo, ad es., che i
gruppi in questi ultimi mesi hanno fatto dei passi enormi A parte che,
concretamente, mi sarebbe impossibile seguire 120 ragazzi, ma vedo
anche che proprio non è
necessario. Perché quando io ho fatto tutta la mia parte per essere in
unità con i responsabili dei gruppi, in modo da far si che Gesù sia in mezzo a noi, ho posto la vera base
dell'apostolato, perché è presente Gesù stesso. La mia unica
preoccupazione dunque è quella di « guardare in alto », cioè di essere sempre in tensione
continua di contatto con Dio, affinché anche loro abbiano la
dimensione giusta in cui muoversi. E' importante vedere poi come questo
rapporto che ho con altri sacerdoti non ostacola minimamente il rapporto
che ho col mio parroco, anzi lo feconda: più mi sforzo di essere una
sola cosa con loro, cioè di essere in Dio e più c'è un
rapporto stupendo col mio parroco. Al punto che lui si sente libero di dirmi la
verità, facendomi un richiamo o dicendomi
le cose che non vanno, ed è contento perché vede che non
resto male, ma che accetto volentieri. Inoltre ha una grande stima di
questa realtà dei giovani, perché vede che questa non
è una spiritualità che gli allontana i parrocchiani dalla
parrocchia, ma che glieli ridona carichi di vita e talmente disponibili
che ogni tanto lo sento dire: « Vorrei
averne tanti di questi in parrocchia! ».
Da quanto ci avete detto risulta chiaro
che la vostra è una
comunità abbastanza strutturata, con una forte
coesione e con dei responsabili. In un tempo in cui i giovani tendono ad
una democrazia sempre più ampia, non vi sembra un po' superato
questo modello?
Quello che cerchiamo di fare noi va al di là delle normali formule di convivenza umana.
Può sembrare strano o azzardato, eppure noi tentiamo di vivere secondo il modello trinitario. E
cioè ci sembra necessario che in ogni forma di rapporto tra più
persone ci sia qualcuno che come « padre » segua e alimenti altri che, come «
figli », cercano di essere una sola cosa con lui. Certo,
vista con occhi umani questa può sembrare una struttura in più, e
se non ne fai l'esperienza non puoi capire che
non è tanto struttura quanto amore. Ma poi non è vero che i
giovani non accettino un leader. Proprio in un ultimo incontro di
catechesi in cui abbiamo parlato di come cerchiamo di vivere, senza però
fare accenno alla nostra « struttura » interna, è
venuto poi da me un giovane a dirmi: « Quello che voi dite va bene
per voi, perché tra noi, in realtà, manca qualcuno a cui fare riferimento e che sia l'anima del nostro gruppo ».
Voi avete accettato fino in fondo la proposta
radicale del Vangelo. Però
il mondo di oggi fa un sacco di altre proposte: la politica, la carriera,
la ragazza, i soldi, le macchine, ecc. Voi, come vi sentite di fronte a
questo bombardamento di proposte, di provocazioni? Sentite che
quello che avete accettato vi realizza pienamente, pur essendo in tutto e
per tutto giovani di oggi?
ALBERTO: Certo, sappiamo bene
che lo stile del mondo è questo: farti
luccicare tutte queste false promesse di felicità! Posso avere la moto, la macchina, i soldi e magari
anche la ragazza; però tutte queste cose finiscono, perché
nella maggior parte dei casi sono soltanto un gioco, anche il rapporto con
una ragazza. Invece noi, pur non avendo niente di tutto questo, cerchiamo
solo di fare fino in fondo questa esperienza, di prenderla finalmente sul
serio. E vediamo che Gesù in mezzo a noi ci realizza,
ci dà tutto; ci dà una gioia più grande di tutte quelle
gioie frammentarie messe insieme. Non ci sentiamo inferiori agli altri o
peggio ancora handicappati. Noi abbiamo fatto una scelta: mettere Dio e l'uomo
al giusto posto, cioè fare giustizia! E
poi penso che mettere al giusto posto le cose non significa toglierle del
tutto. Se mettiamo Dio al primo posto tutto il resto prende il posto che
gli spetta. Se la nostra vocazione è quella di sposarci, ci sposeremo.
Però prima ci sia Dio. E poi anche il rapporto con una ragazza
sarà vero e bellissimo. E se e è
Gesù tra di noi possiamo avere anche tutte le altre cose: la moto, le
macchine, i soldi. Perché solo cosi saremo sicuri che non prenderanno
mai il posto che non devono avere.
Ma per voi e per gli altri che condividono
con voi questa scelta, si tratta di una esperienza passeggera, una
delle tante che si fanno, o di una esperienza tale da
lasciare un segno e un orientamento magari per tutta la vita?
ALBERTO: Se Qualcuno vuole scegliere Dio e
nient'altro nella sua vita, prima di farlo ci pensa. E dopo averlo fatto crede
che Dio lo aiuterà. L'importante
è vivere l'attimo presente. Quindi in quest'istante scegliamo Dio. Bene.
In questo istante Dio ci dà tutto. Siamo totalitari! Qualche volta mi
preoccupo per il futuro: come farò? sarò
fedele? Ma non c'è assolutamente da preoccuparsi. Ci penserà
Lui.
DON FERRUCCIO: Il motivo fondamentale della
consistenza di questa scelta è
che non parte dall'entusiasmo,
ma da una scelta radicale di un Dio, che si presenta molte volte come un
Dio crocifìsso e abbandonato. E questa
è un'esperienza cosi forte che anche i ragazzi non la dimenticano
più. Ho sentito dei ragazzi che hanno lasciato il gruppo dire:
« Gli ideali nei quali prima credevo
sono tutti crollati ». Il che equivale a dire che lo sport, il
divertimento, la ragazza ora non li accontentano più. E allora
ritornano; ritornano perché non possono più fare a meno di
Dio. Cosi quella che era un'esperienza negativa diventa profondamente
positiva perché capiscono con maggiore evidenza
che il mondo non dà niente e si aggrappano ancora più
strettamente a Dio.
A cura di Zeno Sartori