Da ottobre a marzo, alla Scuola Sacerdotale
di Frascati, per una
"accellerazione col
vangelo"
Presentiamo in questa pagina un getto di
esperienze (alcune per la loro semplicità e brevità possono anche sembrare miniesperienze) nel tentativo
di cogliere alcuni aspetti di una vita che per sei mesi ha visto protagonisti
un'ottantina di persone. Venti nazionalità. Venti seminaristi, sacerdoti
gli altri. Per la cronaca questo è stato l'anno dell'esodo dalla ormai
insufficiente Villa Maria Assunta di Grottaferrata, a Villa S. Francesco
in Frascati. Questo complesso, un antico convento francescano, variamente
ampliato, è stato anche il principale teatro dei lavori di quella
singolare famiglia che ogni anno compone la Scuola. Chi si ricorda di Villa S.
Francesco ai primi di ottobre, faticherebbe di sicuro a riconoscerla dopo quel
lavoro di « ringiovanimento »
a cui tutti variamente hanno collaborato.
Si capisce che tra sei mesi di vita e quanto
appare su questa pagina non c'è
proporzione. Le stesse esperienze, staccate da una bobina incisa negli ultimi
giorni, erano raccontate per fare comunione, non per essere pubblicate.
Sono dunque espressione di un momento in cui si parla a persone che « ascoltano », badando a
comunicare, al di là dei particolari, soprattutto l'essenziale.
Dal contenuto di tante altre testimonianze
che qui non appaiono, ci sembra che la sintesi di questo essenziale, sia
stata per tutti, pur con una varietà
di modalità, una rievangelizzazione della propria vita, cioè una accelerazione decisiva nel rapporto personale con Dio e
comunitario con i fratelli.
La
parola ai protagonisti.
faticavo
a capire l'italiano
E' Joseph che
racconta, un sacerdote coreano: «
Ricordo bene il primo giorno passato in questa Scuola. Ero tra i primi
arrivati e con me un gruppo di studenti impegnati nei restauri della casa. Io,
naturalmente, avevo grosse difficoltà per capire l'italiano e loro
a volte parlavano in dialetto. Mi hanno invitato ad aiutare
in cucina. E quel giorno, dopo la meditazione, ho incominciato a lavare piatti,
poi ho aiutato Giorgio a preparare il pranzo e dopo il pranzo ancora a
lavare piatti. Così anche alla sera, dopo aver preparato la cena. Alle 9,45 mi sono
domandato: ma in che genere di Scuola sono arrivato? Questo in Corea non
mi è mai successo... Mi sembra che la Scuola
sia stata per me un continuo allenamento per vivere il Vangelo, anche nei suoi
aspetti più crudi. Era la prima volta che lasciavo la Corea, e in
Europa ho trovato un mondo tanto diverso. Ho cercato di
dimenticare che ero coreano per amare le persone cosi come
erano. Tutto, anche le mie personali difficoltà, sono state la
porta per incontrare Gesù. Io adesso ho scoperto e vissuto
Gesù Abbandonato, ed è il tesoro che porto in Corea».
Commenta Toni Weber, che è stato l'animatore della Scuola sacerdotale:
« Sai, Joseph, sei stato un grande dono
per noi, perché tutti abbiamo sentito la tua difficoltà di
esprimerti, ma al di là di questa difficoltà,
perché la lingua coreana è molto diversa da una lingua europea,
si sentiva la tua anima e anche il fatto che tu davi te
stesso anche attraverso parole che magari rendevano poco ».
azione
e contemplazione
All'inizio della Scuola Toni ci aveva
detto che eravamo pienamente liberi, e subito, dopo alcuni giorni, ho
fatto l'esperienza che essere libero corrisponde al « fare la volontà di Dio ». Sono
libero in quanto faccio la volontà di Dio. Obbedire alla Parola di
Dio è sempre stato per me un problema, nel senso che non ho mai voluto
trovare la volontà di Dio insieme con gli altri. Fare la volontà
di Dio era fare la mia volontà, realizzare il mio programma,
attuare un mio modo di pensare nella parrocchia, nel lavoro. Qui ho capito che
la volontà di Dio si trova insieme, quando Gestì sta in mezzo
a noi, quando ci lega l'amore scambievole.
Inoltre l'esperienza della Scuola mi ha
aiutato a ritrovare l'unità tra azione e
contemplazione. Finora il mio rapporto con Dio era nella preghiera, nella
liturgia. In quei momenti me lo sentivo vicino. In questi mesi ho
fatto l'esperienza del lavoro, non solo, ma anche nel lavoro ho trovato un
rapporto con Dio. Allora non importa pregare, essere nella gioia o nella
sofferenza, lavorare o predicare. Quando faccio la volontà di Dio
sono sempre in Dio e in rapporto con Lui.
Vorrei esprimere ancora un'altra cosa. Mi
piace molto salire in montagna, e l'estate scorsa ho partecipato ad
alcune scalate molto impegnative. Questo fatto mi suggerisce l'immagine di
una realtà che ora sento vivissima: adesso che
torno a casa non ci vado più solo, perché voi siete tutti con me.
Per questo mi sento più sicuro e forte nel salire
il monte. Certo devo salire raccogliendo tutte le mie forze e senza
appoggiarmi a nessuno; ma sicuro che ci siete anche voi».
Se un'immagine ci si può fare di questa particolare Scuola, una a cui tanti dei partecipanti si rifanno è quella del « crogiolo ». Solo quando ha perso
tutto quello che non è, cioè le sue « sovrastrutture
», l'oro passa attraverso le maglie del crogiolo, e si ritrova quello che
veramente è.
Anche in questa scuola l'intenzione di fondo è simile. Uno può lavorare in cucina o
preparare dei canti, stirare o tenere una giornata di ritiro, a volte
restarsene a letto ammalato: ciò che importa è essere amore per
gli altri in tutte queste situazioni. Ci si ritrova poi, non tanto
spagnoli coreani o argentini, ma cristiani, spesso in formato nuovo e
faticosamente sudato, che ritorneranno in Spagna, in Corea o in Argentina. In
altre parole si tratta di attuare le condizioni per seguire Gesù, con
libertà.
la struttura nuova
Carlo: «
Anche per me la Scuola è stata una grande grazia. Passare attraverso un
setaccio che mi ha permesso di vedere un po' meglio quello che in me
era struttura vecchia e il delinearsi di una struttura nuova.
E' stato uno scossone forte: non era facile buttarmi allo sbaraglio con tante
persone che dovevo conoscere. Mi sento come un albero spoglio e potato e ho
tutta la gioia di poter dire: sono una carta bianca su cui Dio può
scrivere tutto. E questo dà un nuovo sprint alla mia vita ».
Luigi: «
L'esperienza più forte della Scuola è stato capire —
non è che io l'abbia cercato, ma attraverso tanti piccoli fatti l'ho
scoperto — che Dio è l'essenziale, che tutto vale quello che è fatto per Lui. Ero arrivato con una idea fissa: buttarmi ad amare i fratelli perché credevo che i miei problemi avrebbero
trovato una via di uscita proprio vivendo la frase di Gesù " a
che mi ama mi manifesterò ". Quello che mi mancava era trovare un
centro di unificazione nella mia personalità. Qui forse ho trovato il
filo che unisce tutti i pezzi: è l'amore di Dio. Prima ero portato
a stabilire rapporti falsi. Mi avevano detto che ero un bravo seminarista,
quello che si dice " un modello ", ed ero stato invitato a giocare
per gli altri questo ruolo. Qui alla Scuola mi sono
trovato in un ambiente dovè la paura
dell'altro era cancellata in partenza. E' stato facile per me abbandonare ogni
preoccupazione di apparire, per essere con semplicità solo amore.
E' stata la mia strada per incontrare Gesù. Sono all'inizio, ma sulla
strada».
Le implicazioni di queste trasformazioni
inferiori e il loro confluire nella decisione di stabilire rapporti di
carità scambievole, capaci di meritare la
presenza di Gesù tra gli uomini è un tema che solo accenniamo. Si
può qui intravedere una linea per
una soluzione dell'attuale fame di Dio tra gli uomini, e, non meno, tra
i cristiani e i sacerdoti. Sottolineiamo solo che se per
tutti la Scuola è stata il luogo di una accelerazione nella crescita
cristiana, per alcuni si è trattato di una reale rinascita.
posso di nuovo sperare
Heinrich, dell'Austria: « Sono arrivato qui ammalato, ammalato spiritualmente.
Ero in particolare disorganizzato inferiormente e il mio sacerdozio
vacillava. Con questa situazione la Scuola per me è stata molto
difficile. La gioia che avevano gli altri mi faceva male; tutto mi faceva male.
Ma non volevo capitolare. Dopo le vacanze di Natale sono ritornato. Subito le stesse difficoltà; dopo
un giorno la voglia di fuggire, di scappare... ma è impossibile fuggire quando Dio ti ha preso. Sono rimasto. Soltanto
negli ultimi giorni ho cominciato a imparare qualcosa, a scegliere
Dio, ad accettare la croce...
Ventitré
anni fa ho celebrato la mia prima messa. In tutto questo tempo ho atteso che
Dio mi donasse questo rapporto intimo tra me e Lui,
reale, come un amico, un rapporto come tra sposi. Quando era in questa
dimensione il mio sacerdozio era giusto, ricco, fecondo. Ma guai se questo
rapporto mancava. Ho aspettato 23 anni. Dopo 14 anni ho perduto la
speranza, non potevo più credere di riuscire a costruirlo. E la mia vita
era sempre più buia...
Non avevo più speranza. Esternamente facevo tante cose, ho rinnovato
la chiesa, ho lavorato molto nella scuola, nella evangelizzazione, ho tentato
un po' di tutto cercando anche di mostrare gioia. Ma in fondo avvertivo che
senza questo rapporto con Dio non era possibile vivere il sacerdozio.
Dopo questi mesi trascorsi qui posso di nuovo sperare, di nuovo credere
che Dio è con me. Comincio una vita
nuova...».
la scuola continua
Georg, Germania: « Rivedendo la mia esperienza e ascoltando quella
degli altri ho l'impressione di guardare a un film di vicende che ci ha
coinvolti in questo mezzo anno. Siamo veramente diversi Elio, Heinrich, Luigi, io e tutti gli altri e il gioco che Dio ha
fatto con noi è stato un continuo scombussolamento. Molte volte era
dura, quella durezza che esperimenti quando senti di
dover " cambiare " la tua vita. Cambiare è sempre una
sofferenza. Ma qui ho esperimentato soprattutto la gioia di cambiare la mia
vita. Prima questo non l'avevo mai visto, nel seminario,
tra i preti. Ed era curioso, quando io scoprivo qualcosa o mi accorgevo
di crescere in quella luce che è dono di Dio,
un altro era nel buio. La gioia di uno era sempre pagata dalla sofferenza di un
altro. Ma proprio questo ci ha fatti diventare una vera famiglia, una
famiglia che continua ad essere una realtà anche adesso che ognuno
ritorna al suo posto».
a cura di L. Bonazzi