FAMIGLIA E SACERDOZIO / 2
Siamo alla seconda di una serie di interviste
a famiglie sulla loro visione del sacerdote e di coloro che si preparano a
diventarlo. E' la volta di Pino e Mariele Quartana,
insegnanti, autori di diverse pubblicazioni sull'educazione e la famiglia,
responsabili del Movimento Famiglie Nuove nell'alveo
del Movimento dei Focolari. Alla conversazione era presente il loro figlio,
Luca, 16 anni.
Come vedete la figura del sacerdote
oggi?
MARIELE A me sembra che
sotto un certo aspetto non ci dovrebbe essere differenza tra la figura del
sacerdote e quella di un laico impegnato. Certe esigenze fondamentali del
Vangelo (avere la carità in grado eroico,
essere disponibili per gli altri, acquistare la sapienza che viene
dalla vita, ecc.) sono per tutti i cristiani. Ognuno poi deve vivere questo nel
suo proprio disegno di Dio: la mamma di famiglia come tale, il sacerdote
come tale, ecc. E' vero, tra il sacerdote e lo sposato c'è
anche una differenza sostanziale, perché hanno ricevuto un
sacramento diverso, ma questa è una grazia speciale per aiutarli a
svolgere bene la loro funzione propria, nelle diverse situazioni del
loro particolare stato di vita. Però quello che voglio dire è che
per il solo fatto d'aver ricevuto il sacerdozio, questo non dà automaticamente
più carità e più sapienza. Troppo spesso si vede il
sacerdote come l'uomo del sacro e ci si aspetterebbe da lui, per il solo fatto
che è sacerdote, chissà quali cose. Ma la santità e la
testimonianza è per tutti, non per alcuni " professionisti delle cose di Dio ", e quindi
dobbiamo aiutarci reciprocamente a raggiungerle.
PINO Forse è tutto una mentalità che c'è da cambiare.
Ci si aspetterebbe dal sacerdote che «ci dia Dio». Intanto solo Dio può dare
se stesso. Non bastano le parole, la teologia, le strutture né nessun'altra
cosa. Dio viene attinto li dove c'è, e Dio
c'è «dove c'è carità e amore», dice la
liturgia. Per questo la comunione, la comunità dove si viva profondamente il Vangelo è il « luogo
» privilegiato della presenza di Dio. Frequentemente per mancanza di
maturità delle comunità cristiane ci si è appoggiati
sui sacerdoti aspettando tutto da loro. Si è quasi identificata la
Chiesa con gli ecclesiastici. Si è slegato spesso il sacerdote dalla
comunità facendolo depositario di una cultura ecclesiale: era quello che
«sa» la morale, che «conosce» la Bibbia, che
«spiega» tante cose, che deve « spingere » la
comunità, mentre raramente era colui che riassumeva ed esprimeva la
vita della comunità. Era come una figura a sé stante, alla quale
il singolo si rivolgeva per risolvere dei problemi, per essere aiutato,
per ricevere i sacramenti, ecc. L'esperienza che stiamo facendo oggi,
credo che sia in fondo quella di recuperare il prete alla sua figura originale.
Se pensiamo a coloro che svolgevano questo servizio nelle prime
comunità cristiane, non erano qualcosa di staccato, era tutta la
comunità che viveva, e dentro questa realtà straordinaria
che è la vita di una comunità cristiana, veniva fuori questo
carisma particolare di servizio. Staccato dalla vita della comunità il prete diventa una figura giuridica, un
funzionario, mentre la sua vera realtà si realizza se c'è il
cristianesimo, se c'è la comunità cristiana. Penso che la
crisi di identità dei sacerdoti oggi provenga in buona parte dalla
presa di coscienza di questa situazione: si sente tagliato fuori e quindi cerca
tutte le possibilità di contattare questo corpo per
cui è fatto.
Cosa si aspetta la gioventù dal sacerdote?
LUCA Quello che più sento fra i miei amici, fra i ragazzi con i quali sto a contatto, è
che non vanno in Chiesa perché sentono di trovare delle strutture vuote,
vedono il sacerdote come un burocrate, hanno l'impressione che si ripetano
parole dette a memoria, ma non trovano qualcosa che li interessi e che
mostri loro che la vita può essere vissuta in maniera diversa. Il cristianesimo
non è nato come una struttura ma come una vita nuova. E' logico che
dopo, crescendo il numero di persone, tante cose si ordinino e questo
può essere anche un aiuto, sempre però che non sparisca la vita e
non restino delle strutture senza contenuto. Questo i giovani criticano.
Vogliono un contatto con la Chiesa non solo attraverso
riti e formule, ma vorrebbero trovare la potenza del Vangelo per
trasformare la vita, per stabilire rapporti nuovi. Col sacerdote concretamente
vorrebbero un'amicizia profonda, che poi li segnerà per tutta la
vita, perché dopo potranno diventare anche marxisti
ma i valori che hanno trovato nella vita di certe persone non li rinnegheranno
mai. I ragazzi non si interessano troppo ai bei discorsi, ma credono
all'esperienza che vedono. Vogliono vedere cos'è la Chiesa attraverso
la vita anche dei sacerdoti. Dopo, alle strutture
ci si adatta o se ne creano altre nuove.
Quale uscita vedete all'attuale crisi di
vocazioni?
PINO Può essere una rifioritura di vocazioni solo se
c'è un rifiorire di cristianesimo. Non solo perché nasceranno più vocazioni, ma anche
perché le persone ritorneranno ad aver bisogno del sacerdote.
Prendiamo ad esempio il peccato. I peccati possono diventare uno strumento
di potere. Cioè una delle possibilità di avere ancora un po'
di gente potrebbe trovarsi nel fatto che ci sono ancora tanti che hanno
paura del peccato, però man mano che la gente
comincia a non risolvere più i problemi con la fede ma a livello
psicologico, scientifico, « terra terra », chi andrà
più a cercare nel sacerdote un aiuto psicologico, morale? Ma questo
è un beneficio enorme, perché allora la gente andrà avanti
nel
cristianesimo non per ignoranza o in ricerca di compensazione: o andrà per Dio o non andrà. E forse tanti
sacerdoti oggi, inconsciamente vanno in crisi perché prima avevano
un prestigio sociale, un peso, un potere, mentre adesso ce
l'hanno sempre di meno. Secondo me le circostanze storiche stanno
rendendo un grande servizio al sacerdote,
perché lo costringono a ritornare all'essenziale. Alcuni sacerdoti
sentendosi rifiutati o lasciati da parte, cercano una strada diversa per farsi
accettare dalla società. Lavorano, producono, si fanno una
competenza in certi campi, però in genere sono delusi perché al
più la società li accetta come uomini, però non s'interessa,
per il solo fatto che svolgono quelle attività, a quel messaggio di
cui sarebbero portatori. Mentre altri cercano ancora di salvare il
salvabile delle posizioni tradizionali, ma con questo ritardano solo
qualcosa che storicamente è impossibile fermare. Tutto questo mi
sembra provvidenziale, perché fa cadere tante cose secondarie, e
lascia in piedi quei valori nei quali ritroverà se stesso: Dio,
vita di Dio, amore di Dio e quindi degli altri. Tutto il resto è
relativo. L'unica possibilità di riportare il prete al suo posto
è quella della ripresa, della rinascita della vita cristiana, per cui ad un certo punto si capirà che ci vuole
effettivamente un fratello che spezza il pane, che ci dona quella
particolare presenza di Gesù, che perdona i peccati nel nome di Dio
dandoci pace e aiutandoci a ricucire quel rapporto con Dio che si era rotto,
ecc. L'importante non è puntare sul numero delle vocazioni, sul
salvare, sul difendere, perché sono tutte battaglie perdute in partenza.
L'importante è la rievangelizzazione della vita cristiana, il resto
viene come conseguenza.
Come concepite i rapporti fra il sacerdote e
la famiglia?
MARIELE: Da una parte il sacerdote per noi sposati è sempre un richiamo ai valori che contano: con
la sua disponibilità totale alla
comunità, con i suoi impegni di vita, sta a dirci che l'importante
è Dio, che per Dio si può lasciare o posporre tutto. E' una vita in qualche maniera messa sul moggio, e
ricorda anche a noi sposati, che vogliamo vivere il nostro matrimonio e la
nostra famiglia solo per Dio, che dobbiamo essere sempre disponibili,
purificare i nostri affetti, viverli su un piano di distacco, mettendo
sempre Dio al primo posto. Mentre allo stesso tempo una famiglia
che viva cosi è un grande aiuto per il sacerdote. Ci è successo
frequentemente, parlando a gruppi diversi del nostro impegno
cristiano in famiglia, che dei ragazzi che avevano lasciato il seminario
ritrovassero la propria vocazione, o che dei sacerdoti venissero
a ringraziarci perché si erano sentiti rafforzati nella loro
consacrazione.
In una comunità cristiana, se è tale, ci deve essere
questo permanente scambio, questo aiutarci reciprocamente a fare la
volontà di Dio, questo emularci scambievolmente nella vita del Vangelo
fra famiglie e sacerdoti.
Infatti abbiamo visto che se
una persona cerca di diventare quello che deve essere davanti a Dio, anche
gli altri diventano quello che devono essere, e non sentono tanto il desiderio
di imitare pedissequa mente quella persona ma di realizzare fino in
fondo il disegno di Dio su di sé,
che è la cosa più bella che si possa pensare per la propria vita.
a cura di Enrique Cambón