La storia come verità

di Pasquale Foresi

 

L'umanità tende necessariamente alla verità. Un uomo o una società possono commettere degli errori per molti motivi: pregiudizi, educazione o presupposti sbagliati, osservazione difettosa, ecc; ma l'umanità non può cercare coscientemente di sbagliarsi: essa tende fondamentalmente, irresi­stibilmente, alla verità, come per istinto. Siamo fatti per la verità: c'è dentro di noi un'esigenza impellente al vero.

 

cos'è la verità?

La domanda però che l'umanità da sempre si pone è questa: cos'è la verità?

Nel senso classico si parla di verità come adesione della mente alla realtà, come corrispondenza delle parole all'essere, al reale. Diciamo che qualcuno è sincero quando è convinto che quello che dice è vero, ma lo chiamiamo verace quando costatiamo che le sue parole corrispondono all'essere che ci esprimono. Di fronte all'affermazione: « quel muro è bianco », diciamo « questa frase è vera » se vediamo che quel muro è effettivamente bianco.

Questa è una concezione giusta. Ma è ancora un esame troppo in super­ficie, troppo esteriore e fenomenologico, che non va alla radice profonda del problema.

Al di là di ciò che si presenta a noi come quello che con il linguaggio chiamiamo verità, deve esserci qualche cosa che è verità, cioè la scoperta della luce, l'essere che diventa luminoso, l'esistenza che si fa pensiero. Questa è la verità che non solo ci appare come fenomeno, ma la verità filosofica: il filosofo ci dice una verità che è molto più essenziale della serie di frasi che poi ci dirà: ci dice appunto l'essere che diventa cosciente ed esprime a se stesso quello che è. Questa è la verità.

 

storia e verità

Capire la verità in questo senso, è molto importante per avvertire l'im­portanza della storia come verità. Perché quello che la storia ci dà, non sono tanto quelle forme fenomenologiche di trasmissione della verità che sono i concetti, i libri, e tutto quello che serve a trasmettere la verità, a far da veicolo perché la verità arrivi a noi. La storia ci offre qualcosa di più pro­fondo: ci trasmette la verità nel senso che abbiamo detto, cioè quella realtà che è al di là di tutto quello che viene descritto e raccontato. Ci dà quel tanto di esistenza vera, di essere, che come un pezzetto d'oro sta sotto quelle forme esterne.

E' questa la verità che noi riusciamo a cogliere nella storia, non tanto attraverso il ragionamento ma quasi bevendola, succhiandola anche inconsa­pevolmente, perché la verità entra nell'uomo come una cosa connaturale.

Quando nella vita e nella storia dell'umanità viene espressa una verità, l'uomo è capace di coglierla e farla diventare se stesso proprio perché tende al vero con tutte le forze del suo essere.

E' per questo che la verità in certo senso s'identifica in noi con la storia: quando si legge la storia del pensiero umano, soprattutto nei grandi pensatori, filosofi, poeti, storici, ecc, ci si accorge con sorpresa che su moltissime cose loro hanno pensato quello che pensiamo noi. Ci accorgiamo che essi vedono, esprimono, sentono delle verità, che per loro magari sono state grandi sco­perte, mentre per noi sono ormai diventate realtà acquisite, ovvie, normali.

Forse non li avevamo mai letti prima. Come mai allora ci ritroviamo a pensare tutte quelle cose? Certe verità sono state tramandate da padre in figlio oralmente, altre volte saranno stati i libri di studio, la musica, l'arte, il popolo, le novelle, le tradizioni, le conversazioni, ecc, ma il fatto miste­rioso è che noi ci ritroviamo dentro molte verità prescindendo dal fatto che loro le hanno scritte e noi le abbiamo lette. Alle volte, addirittura, quello che ci hanno insegnato di quei filosofi era un'altra cosa da quello che in realtà essi avevano voluto dire. Eppure ritroviamo quelle verità in noi.

Quando un uomo scopre una verità ci offre un aspetto della sua maniera d'inserirsi esistenzialmente nella realtà, e quella verità esistenzialmente posse­duta viene esistenzialmente tramandata. Ciò vuol dire che viene trasmessa anche attraverso i libri di storia o di pensiero, perché anch'essi fanno parte dell'esistenza; ma non è solo quella l'esistenza, ne è soltanto un aspetto. La sostanza della verità si fa strada da sola nella vita dell'umanità.

L'umanità appare dunque come un enorme fiume che convoglia il vero e lo trasmette attraverso le mille forme possibili all'esistenza umana (arte, parola, scritti...): se è verità va avanti da sé.

 

funzione dello studio

Lo studio, in questa prospettiva, sarà importante nella misura in cui noi studiamo ciò che noi siamo.

Se la storia dell'umanità ed i grandi pensatori ci dicono qualcosa è preci­samente perché troviamo in loro quella verità che è già in qualche senso dentro di noi. Loro sono fuori e dentro di noi allo stesso tempo. Se fossero soltanto fuori ci direbbero poco o niente; è perché erano dentro di noi che ci hanno detto tanto, e per quel tanto che sono rimasti fuori non ci hanno detto più niente.

Quello che noi dobbiamo studiare è precisamente il rapporto tra quel tanto di verità che loro hanno scoperto e quella verità che è dentro di noi.

Ci sono due maniere in cui potremmo rendere coscienti le verità che sono in noi: o pensandole da noi stessi, o andando a leggerle in quei pensa­tori e trovando che loro esprimono, molto meglio di noi, quello che già avevamo dentro. Abbiamo bisogno di conoscere loro per conoscere noi.

Questo fenomeno si produce perché ritroviamo in noi quel tanto di verità che attraverso la storia del pensiero ci si è riversato dentro.

Hegel aveva visto questo, soltanto che lui identificava tutto quel pensare umano con se stesso, mentre non tutto quello che è, è verità. Precisamente,

l'errore è ciò che rimane ai margini del fiume, ciò che si deposita perché non viene più trasportato avanti. Sono come dei sassi e dei detriti che vengono fuori da quei grandi uomini assieme alla verità, ma per queste cose essi non esistono per me. Esistono per tutta quella parte di verità che ritrovo dentro di me. Gli errori vengono pian piano depurati dalla marcia dell'uma­nità; si depositano e non li si prende più in considerazione.

In ogni pensatore si ritrova insieme il contingente e l'assoluto. L'asso­luto è la verità che essi porgono, e il contingente è quella parte di storia che non ritroviamo più dentro di noi.

 

un pensare che è essere

I pensatori veramente grandi, quelli che hanno lasciato qualcosa d'im­portante, sono coloro per i quali il loro pensare era essere. La parte di verità che la storia di loro ci trasmette, non è tanto il loro parlare, il loro scrivere, il loro concettualizzare, ma la loro stessa esistenza, cioè quell'aspetto della verità che loro erano. E' la loro « esistenza pensata » la verità che a noi è arrivata attraverso l'esistenza stessa dell'umanità.

In genere quando noi studiamo cerchiamo di apprendere i concetti complicati che quei pensatori hanno detto, e che spesso dimentichiamo presto, perché è qualcosa che non ci tocca vitalmente. Invece dovremmo cogliere in essi quel tanto di esistente-pensante (o esistenza pensata o pen­siero esistente) che era la loro adesione al vero, a sé, all'essere, al reale.

La prima cosa che dovremmo imparare dovrebbe essere la coerenza del pensare con l'essere, con la vita. Lo studiare dovrebbe essere un autoconoscersi, un cercare di far coincidere lo studio con l'essere, con l'esistenza, non studiare facendo solo della logica deduttiva o del raziocinio, perché questo non è più pensare, è logomachia, è qualcosa d'inutile, di artificiale.

Con questo non si vuol dire che questi grandi pensatori siano sempre stati coerenti con se stessi, che la loro vita privata abbia sempre corrisposto al pensato. Però quando hanno espresso quel tanto di pensato che erano, e poi non sono stati coerenti con quello che avevano espresso, cioè non hanno aderito vitalmente a quello che erano, s'è prodotto in loro un, contrasto intimo, che in molti casi è servito come catarsi e purificazione dialettica anche per il loro pensiero, mentre in altri l'aver sbagliato dal punto di vista morale li ha persino fatti regredire nel loro pensiero, o almeno li ha impediti di progredire nello sviluppo del loro pensare. Però questo non. significa che quello che ci hanno lasciato di vero non sia stato quel tanto del loro pensare che ha coinciso con il loro esistere.

Tutti dobbiamo presupporre che, assieme a quel po’ di verità della nostra esistenza che riusciremo ad esprimere, aggiungeremo tante parole inutili, tante parole che non coincidono con l'essere. Ma il nostro pensare avrà valore tanto quanto noi siamo, tanto quanto il problema e la risposta saranno espressione di noi stessi. Questa è la parte di verità che lasceremo all'uma­nità, anche se non faremo grandi discorsi e non scriveremo niente, perché siamo comunione con gli altri uomini e la storia porta avanti quel tanto di verità che gli uomini costruiscono con la loro vita. Tipico in questo senso è l'esempio di Aristotele, che certamente è il pensatore che più ha influito nel pensare occidentale: tutti i suoi libri scritti in vita sono stati distrutti; sono rimasti solo gli appunti dei suoi discorsi che furono raccolti in volumi, tre o quattro secoli dopo la sua morte. Questo fa vedere come la verità prescinde in certo senso dal fatto della sua pubblicazione o della sua comunicazione agli altri: Aristotele è stato un grande e ci ha lasciato delle verità fondamentali perché non si è preoccupato tanto di scrivere quanto di essere. L'essere che pensa, se così si può dire, è la verità che dobbiamo cercare e che dopo sarà tramandata anche se non ce lo proponiamo.

Tutta l'umanità sta pensando mentre sta vivendo. In ogni vivere c'è già un pensare implicito che non è ancora nato. Da una vita sociale immoliate non potrà venir fuori altro che una deviazione intellettuale, così come da una vita sana germoglierà un'espressione sana. L'umanità è un'unità unica, non divisa in pensare ed essere.

Questo che succede nel corpo sociale si dà anche nell'individuo singolo. Se io sono buono riesco a fare buoni pensieri, se sono cattivo farò pensieri cattivi. E allo stesso tempo se penso bene sarò anche buono perché il pen­siero, non potendo essere svincolato dall'esistere, può determinare a sua volta il corso del vivere umano.

Se una persona si preoccupa, non tanto di conoscere cerebralisticamente, ma di essere, di crescere come umanità, allora ad un certo punto si troverà ad avere più ricchezza d'essere che di pensare, e tutto il suo travaglio sarà quello di autoconoscere quello che già è.

Non si tratta di dire che il pensiero crei l'essere né l'essere il pensiero. Pensare ed essere sono anche divisi in un certo senso, sono distinti. Però sono un qualcosa di « mescolato » in noi, non si possono scindere troppo. Si potrà vedere quali sono i momenti psicologici del prima e del poi, però nel mio esi­stere io non sono un prima e un poi, sono un'unità, sono in quest'istante.

 

l'essere come dono

Un altro aspetto importante, è che i grandi pensatori, anche quando non pensavano di dare se stessi agli altri, in realtà si davano agli altri in maniera implicita, perché ogni volta che facciamo il vero lo facciamo per l'umanità. Quando cerchiamo il vero, anche se non ci pensiamo, stiamo cercan­dolo per l'essere, quindi anche per gli altri.

Per questo è importante non cercare di apparire ma di essere. Tutto lo sforzo che pongo nell'apparire agli altri come intelligente, come possessore della verità, lo tolgo alla verità, perché lo tolgo all'essere. Ed essere significa una donazione totale di me, esistenzialmente, all'essere ed agli altri. Non è tanto quello che ricevo dagli altri ciò che mi fa essere, ma io sono e ricevo dagli altri nella proporzione in cui ho saputo donarmi pienamente a loro.

Ricevo tanto quanto do. Se io vado agli altri solo per ricevere, non do nulla e quindi loro non possono darmi niente. Quello che conta è il donare: questa è una legge profondissima dei rapporti sociali.

E' per tutto questo che i santi sono anche dei grandi geni: perché il loro pensare è il loro essere, la loro vita. Possono anche sbagliare in alcune delle cose che dicono, ma questi errori saranno sempre secondari nei riguardi della verità che esprimono, come i loro difetti sono secondari nei riguardi dell'eroicità della loro virtù.

Proprio perché in loro pensare e vita coincidono, non possono non por­tare avanti l'umanità anche nel pensiero. Non è necessario che siano essi ad esprimerlo concettualmente, perché loro esprimono l'essere. Può darsi che dottrinalmente saranno esplicitati da altri che verranno dopo, nella loro scia, ma la sostanza l'hanno portata avanti loro. Socrate non ci ha lasciato neanche uno scritto, però son venuti Platone e Aristotele, ed è stata la sua santità umana, se si vuole, a dare impulso e ispirazione alla loro filosofia. Questo lo si vede bene in tanti grandi santi, come ad esempio in san Francesco: lui ha rinnovato il pensiero teologico senza scrivere grandi trattati; questi sono stati fatti dopo da san Bonaventura, da Scoto, ecc, però la scuola francescana è la vita di san Francesco per quel tanto che essa dice delle verità. E i teologi francescani nella misura in cui non esprimono più quel pensare implicito che c'era nella vita di san Francesco non esprimono verità.

 

la verità assoluta

Quanto abbiamo esposto tocca soltanto alcuni aspetti della ricchezza contenuta nel fatto che « chi fa la verità viene alla luce ».

In una tale concezione della storia e della verità, si trova tra l'altro anche una risposta alla tendenza storicistica — sottostante a buona parte del pensiero attuale — che afferma non esistere una verità assoluta, perché la verità è in perpetua mutazione e costruzione: quello che era vero ieri può

non esserlo più oggi perché viene superato da un'altra verità. L'aspetto giusto che racchiude questa posizione, è che esiste una verità che si va facendo e della quale noi abbiamo bisogno per comprendere ed approssimarci alla verità assoluta. Lo storicismo viene a ricordarci che non dobbiamo fermarci alle formulazioni, ma dobbiamo cercare la verità che è al di là delle espres­sioni, utili ma incomplete, con le quali cerchiamo di esprimerla.

Quando leggiamo Kant, Marx, Lenin, Freud o gli esistenzialisti, non dobbiamo fermarci a quello che dicono, ma capire la verità che le loro parole contengono. Dobbiamo andare al di là delle loro espressioni verbali per cogliere il contenuto - essere, l'aspetto della verità che loro porgono all'uma­nità, come ad esempio il superamento di una maniera statica di concepire l'essere e la conoscenza, che può rivelarci aspetti nuovi della realtà, dei legami che esistono tra gli uomini, delle forze insospettate che ci sono dentro l'uomo, del rapporto tra l'azione ed il pensiero, ecc.

Se spesso questi uomini hanno messo in crisi la coscienza dei loro con­temporanei, se sono stati seguiti da buona parte dell'umanità, ciò vuol dire che le loro scoperte hanno qualcosa da insegnarci per la vita dell'umanità oggi, svelano qualche aspetto della verità, contengono dei valori autentici. Quei pensatori, dietro a certe espressioni che possono lasciarci perplessi, in mezzo a tanti errori, ci offrono delle scoperte fondamentali. Queste, noi dob­biamo cogliere.

La storia è il tutto che è in me e nell'umanità di adesso. Altrimenti noi vivremmo nella storia ma la storia non esisterebbe. La storia è, allo stesso tempo, quello che ci hanno dato coloro che ci hanno preceduto e quello che noi siamo. Proprio perché l'essere uomo è la ricerca del vero, la storia, in quanto è il corpo dell'umanità che cresce, ci depura per portare avanti solo la verità. Questo è un fenomeno che si produce anche se non lo avvertiamo, però rendiamo un servizio più grande all'umanità nella misura che ci inseriamo coscientemente in questo processo. Nella misura che lasciamo crescere in noi la verità della storia.