FAMIGLIA E SACERDOZIO

a cura di Enrique Cambón

 

Da questo numero cominciamo una serie di interviste a famiglie di laici cristianamente impegnati, sulla figura del sacerdote e del seminarista oggi, il loro posto nella società e nella comunità cristiana, la loro formazione, ecc. Ci sem­bra importante sentire la voce di sposati, perché con la loro esperienza di umanità, di Chiesa e di famiglia, ci mostrano degli aspetti del problema che nessun altro sapreb­be offrirci. Cominciamo con Rosa e Cosimo Calò, quattro figli, lui medico, attualmente in Italia dopo diversi anni in Africa al servizio della Chiesa fra le popolazioni del Camerun Occidentale.

 

Qual è la vostra esperienza sulla funzione della famiglia riguardo alla vocazione dei figli?

 

Rosa: Io penso che, come la Madonna è stata il cuore del­la famiglia di Nazaret, cosi dovrebbe essere una mamma, una donna. Es­sere, per cosi dire, spoglia di se stes­sa, di qualsiasi cosa a cui possa attaccarsi, ad es. anche al fatto che i figli si stiano decidendo per una strada o per l'altra, perché ciò che importa è aiutarli a « sceglie­re » la loro vocazione, e far loro vedere la bellezza di ogni vocazione. In modo che, quando finalmente scelgono la loro strada, siano sicuri e corrano il minor pericolo possi­bile di voler tornare indietro, per­ché hanno visto tutto le vocazioni che sono state loro presentate nella maniera giusta. Con l'abituarli poi già fin d'ora ad amare per primi, acquistano una maggior capacità di inserimento in qualsiasi ambiente, ap­punto perché non pretendono niente.

Il mio bambino più grande, ad esempio, sente molto la vocazione al sacerdozio: « Voglio diventare sacerdote, voglio celebrare la mes­sa». Naturalmente io cerco di colti­vare in lui questa propensione, però nello stesso tempo, gli faccio anche notare la bellezza di tutte le altre vocazioni. Perché altrimenti reste­rebbe come incompleto e non avreb­be quella pienezza che gli consen­tirebbe di aiutare gli altri. A volte per esempio parlando con i suoi amici chiede: « Ma tu cosa farai da grande? Io non mi voglio sposare, perché è una cosa molto complicata. Non voglio essere papà ». Io gli fac­cio notare: « Ma guarda: se papà e mamma non avessero voluto essere papà e mamma, tu non ci saresti. Non devi dire che non lo vuoi fare perché non ti piace, ma devi sentire dentro quello che Dio vuole da te; non tanto vedere le cose come fan­no piacere a noi».

Tutta la vita della famiglia influi­sce sulla formazione e le scelte dei nostri figli, e pertanto essi dovreb­bero poter sempre respirare un cli­ma sano. Perché quando i genitori vivono, per cosi dire, al di fuori della legge di Dio, restano fonda­mentalmente scontenti e turbati nel­l'anima. Ed essendo i bambini pro­prio nel cuore della famiglia, è facile che l'avvertano, che « sentano » tut­to. E' per questo che i bambini devono vedere che i loro genitori si vogliono bene e sono contenti, e ne gioiscano. Se io, quando mio marito esce da casa, gli do una ca­rezza o un bacio, loro sono felici. Ed è giusto, perché essi devono an­che sentire l'amore che c'è tra i genitori. E qualche volta, dopo, dico loro: « Non abbracciate, non date un bacio al papà? ». Come per dire: « Voi siete uguali a me! ».

Una famiglia moralmente e spi­ritualmente sana è per i bambini

una piattaforma di sicurezza infe­riore, utilissima tra l'altro sia per la loro scelta del personale stato di vita, che per aiutare domani gli altri.

 

Quale rapporto trovate tra la famiglia, la comunità in gene­re, e l'attuale crisi di voca­zioni al sacerdozio?

 

ROSA: Penso che una risposta all'attuale crisi di vocazione

verrà attraverso tante e tante fami­glie dove si respiri un'atmosfera di carità soprannaturale, dove ci sia attimo per attimo, al dì là degli sbagli e delle difficoltà, quell'amore che rende liberi.

Ho sentito delle mamme dire che non vorrebbero avere un figlio sa­cerdote perché è impossibile che una persona sola possa sostenere una comunità con tutte le difficoltà che essa comporta. Io penso invece che, se ci fosse questo scambio di amore, sia nella famiglia che nelle comunità il sacerdote sarebbe so­stenuto. A me sembra che la comu­nità in genere dovrebbe avere di più il senso di aiutare la Chiesa, di essere Chiesa. Le comunità cri­stiane dovrebbero essere fatte da persone che sentono proprie le gioie ed i dolori degli altri: famiglie ca­paci di aiutare altre famiglie, ra­gazze capaci di aiutare altre ragazze in crisi, gli stessi bambini capaci di aiutarsi l'un l'altro. Penso che un sacerdote che si trovasse in un po­sto dove non ci sono delle famiglie cosi, dovrebbe prendere di mira qualche famiglia aiutandola a uscire fuori dai suoi problemi per pren­dere su di sé quelli degli altri. Allo stesso modo con i ragazzi e con le ragazze: crearsi delle « forze utili », un gruppo di persone pronte a vive­re il Vangelo fino in fondo, che sono poi quelle che porteranno avanti la vita assieme al sacerdote, perché Chiesa siamo tutti.

 

Qual è la caratteristica fonda­mentale che vi attendereste da un sacerdote?

 

COSIMO: Il sacerdote io lo vedo come una persona che

dà Dio all'umanità, che possiede la sapienza, perché altrimenti non ca­pisco che cosa mi possa dare un sacerdote. La sapienza è riuscire a conciliare un po' l'uomo-del-mondo con l'uomo-di-Dio. Il prete deve sa­per distinguere il bene dal male, sa­per conciliare Dio e l'umanità, saper « accettare » la realtà con tutto il suo mistero e svelarne il senso « dal punto di vista di Dio». Ma questo come lo si può fare senza la sapien­za? Quando vado a confessarmi, ol­tre a ricevere la grazia del sacramen­to vorrei che il sacerdote mi desse la sapienza per avere luce su tutta la mia vita.

La sapienza è un dono di Dio e bisogna pregare per riceverlo, ma è anche qualcosa che si acquista at­traverso la vita. Per diventare sa­cerdoti bisogna studiare tanti anni, quasi che studiando filosofia, teolo­gia e le altre materie uno potesse avere quella formazione tale da po­ter essere sacerdote. Di fatto, ci vuo­le, si, uno studio approfondito, per­ché anche lo studio è un'attività dell'uomo e una attività validissima; basta però che non si veda lo studio come l'unica e principale strada per arrivare alla sapienza, perché allora dovremmo ammettere e sarebbe veramente curioso che soltanto gli studiosi possono averla.

A me sembra che la sostanza del sacerdote rimane sempre quella, cioè uno che amministra i sacramenti, l'uomo che dà Dio all'uomo aiutan­dolo cosi ad essere più umano. Però oggi non si può dare Dio o Gesù

al mondo se non con la sapienza, altrimenti il mondo non capisce né viene affascinato dal Vangelo. Li mi sembra la forza e la bellezza della vocazione sacerdotale, che è, si, una strada di sacrificio, ma è anche una vocazione bellissima, che può dare una felicità profonda a coloro che vi sono chiamati.

 

Come vedete la figura del sa­cerdote nella società d'oggi?

 

COSIMO: A me non fa problema che un sacerdote lavori

o faccia altre attività, ma anche que­sta scelta io la vedo solo se fatta veramente per il suo amore per Dio. Altrimenti sarebbe solo un battersi, un confrontarsi umanamente, senza quel timbro divino che il cristiano e il sacerdote devono avere. Anche

Gesù ha fatto cose che, per il suo tempo, erano rivoluzionarie. Però Lui le ha fatte facendo sentire che era veramente Figlio di Dio.

La cosa più importante per un sa­cerdote è realizzare una forte espe­rienza di vita evangelica, altrimenti può succedergli che il leggere la Sa­cra Scrittura diventi una cosa mec­canica; ci prende magari spunti di predicazione, mentre quello che con­ta è il vivere quelle parole a con­tatto con gli altri, in uno sforzo con­tinuo di fare degli atti di amore, di prendere le cose alla maniera divina invece che a quella umana attra­verso tutta la giornata, acquistando poco a poco una maniera di pensare che è quella di Dio. Solo cosi arri­verà non a consigliare di testa sua, ma a essere luce per gli altri e per tutta la società. Che poi sia socio­logo o operaio, che abbia cultura, attitudini, intuizioni in altri campi del sapere, sarà anche bello, però è tutto relativo dì fronte a quello che ci attendiamo da lui: che sia un uomo profondamente di Dio e che possieda quella sapienza che pro­viene dall'amore vissuto.

Dalle comunità del Movimento Parrocchie Nuove