È in genere un attaccamento a se stessi, agli altri o alle cose che ci impedisce di

 

vivere la vita

di Chiara Lubich

 

Il cristiano è chiamato a vivere la vita, a nuotare nella luce, ad inabissarsi nelle croci, ma non a languire. La vita nostra invece a volte è spenta, l'intelligenza appannata, la volontà indecisa perché educati in questo mondo, siamo stati abituati a vivere una vita individualista che è in contraddizione con la vita cristiana.

Cristo è amore e il cristiano non può non esserlo. E l'amore genera la comunione: la comunione come base della vita cristiana e come vertice.

In questa comunione l'uomo non va più solo a Dio, ma vi cammina in compagnia. E questo è un fatto di una bellezza incompara­bile che fa ripetere alla nostra anima il verso della Scrittura: « Ecco quanto è bello e quanto è giocondo che i fratelli abitino in­sieme! ».

La comunione fraterna però non è stasi beatifica: è una perenne conquista, col risul­tato continuo non solo del mantenimento della comunione, ma del dilagare di essa fra tanti, perché la comunione di cui qui si parla è amore, è carità, e la carità è diffusiva di sua natura.

Quante volte tra fratelli che hanno deciso di andare uniti a Dio, l'unità illanguidisce, della polvere si frammette tra anima e ani­ma e cade l'incanto, perché la luce, che era sorta fra tutti, lentamente si spegne.

E' questa polvere un pensiero o un attac­camento del cuore a se stessi o agli altri: un amare sé per sé e non per Dio, o il fratello o i fratelli per sé e non per Dio; è altre volte un ritirare l'anima che si era posta per gli altri; un concentrarsi sul proprio io, sulla propria volontà, e non su Dio, sul fratello per Dio, sulla volontà di Dio.

E' molto spesso un giudizio inesatto su chi vive con noi.

Avevamo detto di voler vedere solo Gesù nel fratello, di trattare con Gesù nel fratello, di amare Gesù nel fratello, ma ora si affaccia il ricordo che quel fratello ha questo o quel difetto, ha fatto questa o quella imperfe­zione.

Il nostro occhio si complica e il nostro essere non è più illuminato. Di conseguenza si rompe l'unità, errando.

Forse quel fratello, come tutti noi, ha commesso degli errori, ma Dio come lo vede? Ma quale è in realtà la sua condizione, la verità del suo stato?

Se è posto davanti a Dio, Dio non ricorda più nulla, ha tutto cancellato col Suo San­gue. E noi perché ricordare?

Chi è nell'errore in quel momento?

Io che giudico o il fratello? Io.

E allora devo mettermi a vedere le cose dall'occhio di Dio, nella verità, e trattare in modo conforme col fratello che, se per disav­ventura egli non si fosse ancora sistemato con il Signore, il calore del mio amore, che è Cristo in me, lo porterebbe a conpunzione, come il sole riassorbe e cicatrizza tante piaghe.

La carità si mantiene con la verità e la verità è misericordia pura, della quale dob­biamo essere rivestiti da capo a fondo per poterci dire cristiani.

Il  mio fratello torna?

Io debbo vederlo nuovo come nulla fosse stato e ricominciare la vita insieme nell'unità di Cristo, come la prima volta, perché nulla è più. Questa fiducia lo salvaguarderà da altre cadute e anch'io, se così avrò misurato con lui, potrò aver speranza d'essere da Dio un giorno così giudicato.