una
possibile vocazione
Di Josef avevo una
conoscenza soltanto superficiale, maturata durante il servizio militare, e
del nostro rapporto non si poteva certo dire che fosse stretto. Secondo
l'immagine che mi ero fatta, lui era un ragazzo di collegio un po' di
sinistra, simpatico, che nelle discussioni interveniva sempre in maniera
polemica. Josef venne a sapere
che io studiavo teologia.
Così
stavano le cose quando ci rivedemmo per l'annuale
periodo di servizio militare. Si vedeva chiaramente che tutti e due
eravamo curiosi di conoscerci più
profondamente. Io cercavo di tastare il terreno. Non sapevo come lui la
pensasse su Dio, sulla fede. Ci dovevano essere sicuramente delle
differenze di opinione, anzitutto nel campo ideologico, e di conseguenza in
tutto quello che mi riguardava personalmente: il sacerdozio e anche il
celibato. Si aggiungeva la difficoltà che a me non piaceva discutere
a lungo.
Una prima scintilla scoccò tra di noi quando un giorno
mi domandò se a Friburgo la catechesi era ben
insegnata, confidandomi di voler lavorare in questo campo. Più
tardi mi diceva anche che lui aveva scelto il liceo con lo scopo di studiare
poi la teologia; ma che era stato scoraggiato dall'esperienza di Chiesa che
aveva fatto. Da qui la sua preferenza per la pedagogia.
Era un rapporto nuovo che nasceva tra di noi, attraverso il quale riuscivo a intuire in
lui aspetti che la sua « primarietà
» di carattere nascondeva, e cercavo di stare attento, di fare in
modo che lui si incontrasse non tanto con me, ma che ci trovassimo il
più possibile in Dio.
L'ultima sera — ultimate le tre settimane di servizio militare — cenammo insieme a casa sua, e continuando nella
sua stanza la nostra conversazione, trovai il modo di comunicargli cosa
avevo scoperto in lui: soprattutto un'esigenza di profondità che non
poteva essere colmata solo dall'azione. Per me era anche chiaro che lui era il tipo da avere le carte in regola per essere
sacerdote, ma tenni questo per me. Così
parlammo di cosa era per lui la fede, delle difficoltà che incontrava
nel trovare una sintesi tra « azione e meditazione » e, come
conclusione, mi chiese di continuare a rimanere in contatto con lui.
Giunto a casa pensai di telefonare subito ad Albert — un amico sacerdote
—. Come facevamo normalmente, volevo subito comunicare a lui questa
esperienza per trovare in unità la luce di condurla avanti.
Quando dopo questo colloquio ripresi i
contatti con Josef e gli dissi chiaramente che a me
sembrava di aver intravisto in lui una possibile vocazione al sacerdozio, Josef reagì in modo molto
positivo. Poiché era la struttura della Chiesa, così come lui
l'aveva sperimentata, a creargli difficoltà, gli dissi che Cristo
non aveva fondato un club di santi, ma che seguire Cristo voleva dire
vivere la croce. Restava sempre la sua paura di non essere all'altezza del
compito del sacerdote, congiunta al timore di non avere una vera
esperienza di comunione ecclesiale.
Per me era già un piccolo « trionfo » vedere che avevo capito la
sua situazione, ed avvertivo anche chiaramente il pericolo di voler
affrettare le sue decisioni. Per tutti questi motivi lo invitai ad
incontrarsi con Albert. Accettò molto contento.
Questo incontro risultò la goccia che colma il
bicchiere. Senza tanti preamboli Albert
incominciò a parlargli di come lui cercava di portar avanti un
impegno « politico » nella Chiesa, di come cercava di equilibrare
l'azione e la meditazione. Ma soprattutto gli raccontava la sua esperienza
e i contatti col movimento dei Focolari, e
concludeva dicendogli come il parroco e lui cercavano di vivere nella parrocchia:
non essere i responsabili di una comunità che funzionasse perfettamente,
ma persone che ogni giorno cercavano di scegliere Dio, insieme. Josef era molto colpito.
Adesso, dopo una settimana, ha deciso di
studiare per altri due anni ancora pedagogia, e poi la teologia.
Hanspeter - Svizzera
Venerdì scorso Raffaele ed io siamo andati dal cardinale. Volevamo
proporgli un'idea sulla quale avevamo da tempo meditato: abitare insieme
in un appartamento, anche con eventuali altri sacerdoti, per essere segno di
unità nel vivere la nostra comune vocazione.
Dopo circa due ore di attesa, dove abbiamo
approfittato per mettere a fuoco la nostra anima, ci siamo incontrati. Si
parlava dell'inizio della mia esperienza di sacerdote, essendo il cardinale
interessato a come andava. Ad un certo punto Raffaele, in modo delicato ma
deciso, gli espone la nostra proposta.
Sembrava che non riuscissimo ad intenderci dal momento che in un primo tempo il
cardinale capisce che noi volevamo il suo aiuto nel trovare un appartamento; e
ci fa tre indicazioni. Noi lo ascoltiamo e poi gli
prospettiamo una terza possibilità: stare insieme in un appartamento che noi stessi avremmo trovato.
E la soluzione gli piace: anzitutto è
contento dell'idea oltre che del fatto che non gli procuriamo un peso nel
realizzarla. Ma anche noi siamo contenti, una gioia unita al timore di
iniziare una esperienza che sapevamo essere divina.
La storia della realizzazione del progetto,
cioè di come abbiamo trovato e arredato
questo appartamento, è una storia di provvidenza.
La prima cosa era trovare i locali,
abbastanza ardua considerando la zona — il centro residenziale dì Napoli
— dove stanno le nostre parrocchie.
Ma non fatichiamo molto. Una signora ci offre la sua casa: un appartamento
di quattro camere, con riscaldamento, doppi servizi e una balconata lunga 12 metri,
a un prezzo conveniente. Ci consegna le chiavi della casa dopo averla
fatta pulire.
Per gli aiuti domestici una
signorina di 50 anni, che da tempo conoscevamo, si
presta spontaneamente ad aiutarci. Quando abbiamo visto come dovevamo regolarci
con lei economicamente, si è offesa, ci ha anzi detto che se occorreva era lei a poterci aiutare.
Da un altro signore arrivano le batterie
per la cucina e dalla sorella di Lucio il necessario per i pasti: piatti, posate, bicchieri, tazzine.
Rimanevano da
arredare le stanzette-studio e volevamo farlo
bene, con sobrietà, gusto e armonia.
Ci siamo rivolti per questo a mio fratello ebanista. Ci ha colpito quanto
lui poi ci diceva: « Chiaramente sono prezzi che ti ho fatto
perché sei mio fratello e perché in ognuno dei tuoi amici ho visto
un fratello... ma anche perché ho capito lo spirito di quello che state
per fare ».
Se la provvidenza non arrivava, la cercavamo.
Spesso l'amore ci ha spinto anche ad osare rischiando. La risposta di
Dio è sempre stata quella evangelica: « Chiedete e vi sarà dato ».
Abbiamo, ad esempio, acquistato una libreria con la certezza che sarebbe arrivata
la provvidenza, la quale, puntualmente, è arrivata il giorno dopo.
Cosi per tante cose. Una volta c'è capitato addirittura di pensare:
« Occorrerebbe una bilancia». Il giorno dopo è arrivata.
Abbiamo poi capito un'altra cosa: che il vero
povero non è soltanto colui che
non possiede, ma colui che chiede. Mi sono ricordato di un amico che ha
parecchi milioni, gli ho telefonato, ricordandogli tra il serio e il faceto il
vangelo del giovane ricco. Faceto perché scherzavo nel chiedere, e serio
perché a causa di questa mia telefonata lui ha avuto modo per mezz'ora di raccontarmi tante sue cose. E dopo
mezz'ora, centomila lire.
Un altro episodio molto interessante è stato quando
abbiamo chiesto all'impiegata dei telefoni che
si interessasse per far giungere al più presto il telefono in una
casa dove abitavano tre preti. «
Come?... tre sacerdoti insieme? ». Le
abbiamo spiegato che anzi siamo più di tre, parlandole un po' della
nostra vita, e lei che per i preti non aveva troppa simpatia, ci ha fatto
arrivare in casa gli operai il giorno dopo, accompagnandoli lei stessa,
per conoscerci e invitarci a casa sua
Lucio e Raffaele