Si rischia di render vana la venuta di Cristo
se non si passa
dal collettivo umano alla comunione
cristiana
di Pino Petrocchi
Da alcuni anni a questa parte gli studi sulla
comunità hanno registrato un « boom
» senza precedenti. Sembra che l'attenzione non solo
della teologia, ma di tutte le altre scienze umane (psicologia,
sociologia, filosofia in testa) si sia polarizzata sull'aspetto sociale
dell'uomo. Questo fenomeno è di grande importanza non
solo per i notevoli risultati acquisiti, ma soprattutto
perché esprime una sensibilità e un orientamento specifici della
cultura attuale. Senza dubbio il segno più evidente del nostro
tempo è lo spostamento dell'interesse dal singolo al collettivo,
dall'individualità alla intersoggettività. Sotto la spinta di molteplici fattori la nostra civiltà ha
preso sempre più e sempre meglio coscienza che l'uomo è
essenziale relazione agli altri; che l'io dice per natura sua rapporto al tu e
tensione al noi; che « l'essere con », lo « stare fra
», il « vivere per » non sono dimensioni accidentali
ed epidermiche ma costituiscono un dato fondamentale della persona.
Pertanto se è vero dire che è l'individuo a fare la
società, è verità sacrosanta
affermare che è la società a fare l'individuo. In altri termini: singolo e comunità non appaiono più
termini antitetici, ma reciproci, legati da una correlazione dialettica.
E' naturale che in questo pullulare di
scritti e di teorie sulla comunità
non tutto sia da prendere a scatola chiusa: occorre perciò avere idee chiare
e sapere selezionare o si finisce per avere una grande confusione in testa e
grosse ambiguità nel comportamento. Bisogna evitare anzitutto la
tentazione di fare di ogni erba un fascio, dal momento che il discorso intorno
alla comunità non è mai a senso unico, ma per sua natura
pluralistico. Ci sono infatti e si possono fare
comunità di tanti tipi e livelli diversi, dalle associazioni sportive
a quelle artistiche, dalla società politica a quella internazionale.
E' necessario pertanto che il cristiano si
interroghi in modo radicale sulla natura e sui fini che caratterizzano la
comunità cristiana e la distinguono dalle
altre.
La risposta chiara ce la dà il Vangelo ed è strano che tanti
cristiani vadano a cercare la loro identità e lo scopo del loro impegno
in forme di pensiero e di prassi spesso in contrasto con la visione che ci
è offerta dalla Parola di Dio.
La vita trinitaria: modello della comunità cristiana
Quando ormai stava per arrivare la « sua » ora, Gesù, durante
l'ultima cena, sentì di rivelare ai suoi discepoli le cose più
intime, e rivolgendosi al Padre chiese: « siano tutti una cosa sola come
tu sei in me, o Padre, ed io in te » (Gv. 17, 21). Quel come spalancava
una prospettiva vertiginosa: Gesù chiamava i suoi a realizzare tra di loro una comunione simile a quella che lega il Padre
e il Figlio nello Spirito Santo.
Basta dare uno sguardo alla vita trinitaria,
così come è stata penetrata in
secoli di teologia, per rendersi conto che quella preghiera contiene il
più alto ideale di Amore che sia mai stato proposto agli uomini. In Dio,
infatti, ogni Persona è perché è dono, perché vive
totalmente per le Altre. Si costituisce dunque come Pienezza in quanto non
si chiude, non pensa a sé, ma esce da sé per offrirsi. In Dio
perciò Perfezione infinita ed infinito « rinunciare »
al possesso autonomo di se stesso per darsi agli altri, coincidono.
Queste affermazioni forse sarebbero restate
per noi idee astratte e non avremmo capito in profondità il significato e l'intensità di questo
amore trinitario se Gesù stesso, il Figlio di Dio fatto uomo, non ce lo avesse portato e mostrato nello spazio e nel tempo,
cioè se non lo avesse incarnato rendendolo visibile e concreto.
Ed è
sulla croce che Gesù ci manifesta in modo pieno quale sia la misura di
questo amore. Giustamente la teologia attuale vede nella
croce non solo il centro della salvezza, ma una finestra spalancata
sulla Trinità. In questa prospettiva, infatti, Gesù crocifisso e
abbandonato non fa che rivivere come Verbo-incarnato
quell'infinito atto di donazione, cioè quell'assoluto «
rinunciare » a sé per offrirsi totalmente al Padre, che da tutta
l'eternità compie come Verbo nel seno della Trinità. In
altre parole: la kenosi di Gesù sul Calvario,
cioè questo annientarsi per amore, non è altro che l'espressione
incarnata della kenosi del Verbo (da intendersi come
darsi assoluto) nei confronti del Padre nello Spirito Santo. E' lo stesso atto
d'amore calato, attraverso l'umanità di Gesù, nello spazio e nel
tempo. Solo che mentre per il Verbo questo infinito uscire-da-sé-per-donarsi (che comporta uno
« svuotamento ») coincide con una gioia infinita
(perché è proprio in quest'atto che Egli è Persona e si
pone come Perfezione Assoluta), per il Verbo incarnato (che ha assunto la
natura umana con tutti i suoi limiti, caricandosi in più di tutti i
peccati) quest'atto coincide con una sofferenza infinita che si esprime
nel grido dell'abbandono. Gesù crocifisso e abbandonato è dunque
la vita trinitaria mostrata e spiegata all'uomo
E' in Lui, dunque, che capiamo fino a che
punto il Padre e il Figlio si amino e cosa comporti il vivere una comunione
come quella trinitaria. Appare logico allora che per essere una cosa sola
come le Tre Persone divine dobbiamo amarci come esse si amano, il che
equivale a dire: dobbiamo amarci come ha amato Gesù sulla croce. In sintesi: dobbiamo amarci come
Gesti ha amato noi (cfr. 13, 34). Il comandamento nuovo è la
conseguenza incarnata, l'esplicitazione esistenziale della preghiera
sacerdotale di Gesù; o meglio: è la via da seguire per realizzare
la comunità cristiana sul modello di quella trinitaria.
Le conseguenze di questo discorso sono di una
lucidità tagliente: possiamo parlare di
comunità cristiana nel senso pieno della parola solo dove ci sono
persone tese ,a stabilire reciprocamente rapporti come
quelli trinitari, cioè che si sforzano di amarsi come Gesù
crocifisso e abbandonato ci ha amati. E questo significa che la comunione
cristiana è creata da persone disposte a perdere tutto per essere perfette nella carità; persone capaci di
rinunciare a sé stesse per realizzarsi pienamente come puro dono al
fratello; persone, in poche parole,
che si consumano
nell'unità attraverso un amore che «
tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » (I Cor. 13, 7).
E' l'amore crocifisso, in conclusione, che
genera l'unità cristiana e ne costituisce il
segno di riconoscimento.
Comunione cristiana: vivere nella Trinità
Ma Gesù
non si è contentato di comandarci un'unità come quella
trinitaria, è andato oltre aggiungendo nella sua preghiera al Padre:
« siano una sola cosa in noi » (Gv. 17, 21). Ha chiesto il
massimo. Egli ha voluto che la comunione cristiana non fosse soltanto
imitazione di quella trinitaria, ma che vi si inserisse
direttamente e partecipasse ad essa. Vivere la comunione cristiana significa
essere, nella Trinità, quindi partecipare alla stessa vita del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo. Siamo realmente, per opera della
grazia, membri della famiglia trinitaria. La vita di Dio è una
vita di conoscenza e di Amore; conseguentemente essere immersi in questa vita
significa partecipare a quello stesso atto di Conoscenza e di Amore con il
quale il Padre genera il Figlio ed il Figlio e il Padre spirano lo Spirito.
Nello stato attuale questa conoscenza è ancora velata dai nostri limiti
e dalla situazione « terrestre », ma si esprime già
sostanzialmente nella fede e in quella particolare intuizione di Dio che
è la sapienza. Ma quando sparirà
ciò che è parziale, questa conoscenza si manifesterà
perfettamente e allora vedremo Dio faccia a faccia (cfr. I Cor. 13, 9-12).
La carità,
invece, che è lo stesso Amore di Dio diffuso nei nostri cuori (cfr. Rom.
5, 5), non subirà trasformazioni e non verrà mai meno (cfr. id. 13, 8).
Fare comunità cristiana, di conseguenza, significa guardarsi e conoscersi,
attraverso la fede, con gli stessi occhi di Dio (cioè in quello stesso
atto nel quale Dio si conosce e ci conosce) ed amarsi nello stesso Amore, o
meglio, con lo stesso Amore con il quale le Tre Persone divine si amano.
Ciò
è possibile perché siamo stati resi « partecipi della
natura divina » (2 Pt. 1, 4). A ragione perciò i Padri
greci parlano di « divinizzazione » affermando che Dio si
è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio (per partecipazione).
Ma, l'abbiamo detto, amare con lo stesso
Amore di Dio per noi ha un significato estremamente preciso: significa amare
con lo stesso Amore di Gesù crocifisso e
risorto, perché è Lui la « traduzione umana »
dell'Amore trinitario.
Non basta perciò amarci scambievolmente imitando l'amore di Gesù in croce
(qui il come esprime solo un paragone), ma
occorre amarci (si passi l'espressione) con un amore identico nella sostanza
(anche se infinitamente distante nell'intensità) all'amore di
Gesù Abbandonato. Il come del comandamento
nuovo deve essere interpretato, in questa prospettiva, nel senso forte, come
identità « qualitativa » o coessenzialità
(infatti siamo « partecipi di Cristo» Eb. 3, 14).
La comunione cristiana perciò scaturisce da persone che incorporate a
Gesù e animate dal suo stesso amore, sanno morire con Lui per risorgere
insieme a Lui alla pienezza della vita di Dio (cfr.
Rom. 6, 5-14). Occorre su questo punto essere chiari e non farsi illusioni: per
costruire l'unità cristiana non bastano le belle idee, le doti
umane, ma occorre salire insieme a Gesù il Calvario, gridare con Lui
l'abbandono, farsi servi dei fratelli per darsi tutto a tutti (cfr. I Cor. 9,
19-23).
I frutti della comunione
Se la comunità cristiana vive nella Trinità, anche la Trinità vive
ed opera nella comunità cristiana. Viene allora spontaneo chiedersi:
quali sono gli effetti di questa vita divina? Quali sono i « segni
» che attestano la presenza del Padre, di Gesù e dello Spirito
Santo in mezzo a noi? La risposta è importante, perché
queste manifestazioni possono offrirci un test prezioso sul quale confrontarci.
Se ci sono, infatti, provano inequivocabilmente che la nostra unità
è autentica: che noi siamo in Dio e Dio in noi (cfr. I Gv. 4, 16). Dalla
loro intensità, poi, possiamo anche « misurare » la
profondità della nostra comunione. Inversamente: la loro assenza
denuncia che l'unità è carente o spenta.
San Paolo abbozza una risposta facendo un
elenco, certo non esaustivo, dei frutti dello Spirito (è Lui infatti che opera
il nostro inserimento nella Trinità e della Trinità in noi).
Essi sono: « carità, gioia, pace, pazienza, benignità,
bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza » (Gal. 5,
22-23). A questi si potrebbero aggiungere (senza pretendere di
essere completi) la giustizia, la libertà, la verità, la
maturità umana e soprannaturale, la speranza, la fede.
Vediamone alcuni più da vicino.
La gioia che scaturisce dalla
comunione è unica ed inconfondibile: è la
stessa gioia di Gesù diffusa in noi. « V'ho detto queste cose
affinché in voi dimori la mia gioia e la
vostra gioia sia piena» (Gv. 15, 14). E' una gioia particolare
perché può convivere con il dolore, anzi è generata
proprio dal dolore abbracciato con amore. E' una gioia profonda, piena,
costante, che nessuno e niente ci può togliere (cfr. Gv. 16, 22). Una
gioia non rumorosa ed invadente come lo è quella che dà il
mondo, ma serena, umile, luminosa, armoniosa. Una
gioia che non da fastidio a chi soffre, ma che si effonde con semplicità
stimolando e comprendendo. Una gioia che traspare nel volto, nei
gesti e nelle parole della persona che la possiede, tanto che di essa si può
dire: « a viso scoperto riflett(ono) come in uno specchio la gloria del Signore » (2
Cor. 4, 18).
La pace è sorella inseparabile della gioia, perché anch'essa viene da
Gesù: « vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do non
come la dà il mondo» (Gv. 14, 27; cfr. 16, 33). E la pace di
Gesù non è assenza di preoccupazioni, non è data
dall'equilibrio di forze e dalla paura reciproca. Ma è la pace di chi
non può perdere più niente perché ha già donato
tutto, di chi non si angustia di nulla perché è sicuro dell'amore
del Padre. E' la pace beata (nel senso evangelico) dei poveri in spirito, di
quelli che piangono facendosi uno con chi piange, dei miti, dei misericordiosi,
dei puri di cuore, dei pacificatori, dei perseguitati a causa della giustizia,
degli oltraggiati per aver testimoniato il Vangelo (cfr. Mt. 5, 3-12).
La crescita nella maturità umana
e soprannaturale è proporzionate all'impegno con cui si vive la
comunione. Ogni persona si realizza nella misura in cui ama con l'amore del Dio
Uno e Trino rivelato in Gesù. E qui tocchiamo il paradosso: sappiamo infatti che nella Trinità perfezione assoluta e
assoluto rinunciare-a-sé-per-donarsi (se cosi
possiamo parlarne) coincidono. Questa legge trinitaria del non-essere per
essere, incarnata in Gesù diventa la legge della salvezza. Gesù
morendo sulla croce per amore del Padre e dei fratelli tocca
il fondo del non-essere e del non-avere; ma proprio per questo risorge, ed
è costituito Kyrios, il Signore, Colui che
possiede la pienezza dell'essere ed ha il dominio su tutto il creato. Questa
perciò è anche la legge della comunione e della perfezione
cristiane: più uno non-è,
per amore di Dio nel fratello, più cresce nella maturità;
più non-ha, perché si offre, più si arricchisce come
persona; più si perde nell'unità, più si ritrova
potenziato e realizzato. Dove c'è l'unità autentica, 11
c'è la croce, ma li c'è anche la
pienezza della vita di Dio.
La diffusione e il rafforzamento della fede
è uno dei frutti più belli
della comunione cristiana. Gesù nella preghiera sacerdotale è
esplicito: «Padre... siano anch'essi una cosa sola in noi affinché
il mondo creda » (Gv. 17, 21). L'essere perfetti
nell'unità (cfr. id. 17, 22-23) è una
prova viva della verità del Vangelo: per questo genera la fede. Nella
comunità infatti la persona vede ed esperimenta
la vita trinitaria vissuta sulla terra, 11 si incontra con Gesù in mezzo
e tocca il suo amore incarnato e prolungato nell'amore dei suoi discepoli.
La società
attuale che va perdendo la fede (in larga parte a causa delle nostre divisioni)
ha bisogno di comunità che, unite nella pratica del comandamento
nuovo, possano offrire agli uomini d'oggi la presenza
viva ed efficace di Gesù in mezzo. Egli infatti
continua ad agire nel nostro tempo come agiva tra i suoi apostoli perché
« è sempre lo stesso, ieri e oggi e nei secoli » (Eb.
13, 8). Converte i peccatori, dona la vista ai ciechi nello spirito, conforta
gli afflitti, attrae le masse, ristabilisce la giustizia, diffonde l'amore, la
gioia, la verità, la pace.
La nostra unità sarà autenticamente cristiana quando
la testimonianza di Gesù in mezzo a noi si sarà talmente
affermata (cfr. 1 Cor. 1, 6) che ogni persona di
buona volontà incontrandoci « adorerà Dio e
proclamerà: " Dio è veramente in mezzo a voi "
» (1 Cor. 14, 25).
Concludendo questa analisi breve ed
incompleta possiamo affermare che la comunità
cristiana sarà manifestazione viva della Trinità, luce del mondo
e sale della terra, quando i suoi membri, avendo fatto un'esperienza forte di
Gesù in mezzo, saranno capaci di testimoniare non un Dio astratto, ma un
Dio che hanno vissuto e sperimentato. E potranno dire agli uomini del nostro tempo:
« la Trinità nella quale siamo e che è in noi e fra noi, la
vita divina che abbiamo " visto ", " ascoltato ", "
toccato ", contemplato, la annunciamo a voi, affinché pure voi
siate in comunione con noi » (cfr. 1 Gv. 1, 1-3).
Pino Petrocchi