la porta stretta

La presenza di Gesù fra due o più persone unite nel suo nome è oggi tornata di moda come tema teologico e come esperienza reli­giosa. Ma vale forse la pena vedere come essa veniva capita e interpre­tata dai primi Padri della Chiesa.

Prendiamo Origene. Nel suo com­mento al Vangelo di Matteo (Patr. G. XII, 1182 ss.) comincia col dire come, per dichiarazione stessa del Verbo, non fa differenza « essere in due consenzienti sulla terra ed esse­re consenzienti con Cristo, poiché dove due o tre sono uniti nel suo nome... ». Con una vena di pessimi­smo fa poi osservare, però, che una tale unione dove Cristo sia presen­te non è facile che sia frequente, dal momento che per arrivare a questa vita bisogna entrare per la porta stretta, e sono pochi quelli che la imboccano; aggiunge, anzi, che forse non si può neppure par­lare di « pochi », poiché è già diffi­cile trovare due o tre persone che siano capaci di essere consenzien­ti. Ma quando ciò succede, allora si ripete ciò che hanno sperimentato Pietro, Giacomo e Giovanni sul Ta­bor, « ai quali il Verbo di Dio ha manifestato la sua gloria ».

Ma perché è cosi difficile meritare la presenza di Gesù? Origene lo spie­ga facendo coincidere il « consen­tire » richiesto da Gesù con l'espres­sione quasi tautologica di S. Paolo: « essere perfettamente uniti, d'uno stesso pensiero e del medesimo sen­tire» (1 Cor. 1, 10). Cita anche gli Atti (4, 32) là dove parla dei cre­denti che erano un cuor solo e un'a­nima sola, spiegando che erano arri­vati a tale unità (e sempre pessi­misticamente annota: « ammesso che si possa trovare qualcosa di si­mile tra tante persone ») che fra es­si non vi era il benché minimo di­saccordo, proprio come in un'arpa a dieci corde che sia stata accordata.

Quali sono gli effetti morali e so­ciali della concordia? Origene dice semplicemente: se la discordia con­suma e distrugge, la concordia ar­richisce, ed è capace del Viglio di Dio, il quale si può trovare ap­punto tra persone cosi unite. Ma poi fa un passo più avanti, doman­dandosi se la concordia, oltre al con­sensus che c'è quando si hanno i medesimi pensieri, non richieda an­che la medesima volontà e il mede­simo stile di vita.

Conclusione? « Se è vero dice che siamo il Corpo di Cristo e che Dio stesso ci ha fatti, ciascuno, membra del suo corpo, cosi da po­terci prendere cura gli uni degli al­tri, fino ad arrivare ad avere un unico pensiero, e a che tutte le mem­bra soffrano assieme ad un membro che soffre, o gioiscano quando uno è nella gioia (1 Cor. 12, 18; 25, 26) — allora dobbiamo attuare fra noi que­sta sinfonia che si sprigiona dalla musica divina, cosi che una volta uniti nel nome di Cristo, Cristo sia in mezzo a noi, Lui che è il Verbo di Dio e la sapienza di Dio e sua potenza ».

C'è da chiedersi se all'attuale plu­ralismo teologico Gesù in mezzo non possa dare una soluzione uni­taria. Secondo Origene, sembrereb­be di si, poiché « quando non si rie­sce a risolvere o spiegare qualche problema, dobbiamo fare come i discepoli di Gesù, ossia avvicinarci in piena unità a Lui che è presente dove due o tre sono uniti nel suo nome; e sarà Lui stesso, presente, che illuminerà le menti di coloro che sono tesi a ricevere, con l'ani­ma, la sua verità su quei proble­mi» (P.G., XII, 1131).

Fa almeno meraviglia che teologi e non teologi usino cosi poco que­sta possibilità.

Silvano Cola