rito e contenuto

 

« Gandì pumpuss » : è una frec­ciata che facilmente si coglie sulla bocca di persone di paesi vicini, rivolta al mio, e che tradotta dal gergo bergamasco suona: « Gandinesi, gente pomposa».

Ecco detto in una parola lo sce­nario della mia prima messa, una festa di paese colorata da tutti quei colpi ad effetto che la tradizione da tempo ha ormai consacrato.

Un sacco di parenti, gran parte della popolazione, quasi persi tra loro alcuni amici di Grottaferrata che mi sono stati compagni di vita in questi anni di preparazione: è l'anfiteatro che accoglie e quasi man­gia un lungo corteo di macchine e di moto che dal duomo mi accom­pagnano in paese.

Non so precisamente con quali sentimenti tutta quella gente sta ora a guardarmi e ad applaudire, ma sento fortemente dentro di me di non far solo la parte del fe­steggiato. Li saluto, li ringrazio, per una oretta rimango con loro. Non c'è tempo di sostare con ognuno, sono continuamente strappato da un gruppo all'altro, ma cerco che quei brevi attimi di incontro siano pie­ni, che esprimano il mio amore per­sonale per ciascuno.

Un amico mi diceva alla sera: « Per me era un piacere vedere co­me ti muovevi liberamente in mez­zo a tutta quella gente, quasi aves­si un cuore per ognuno di loro ». E il parroco alcuni giorni dopo sot­tolineava in pubblico: « E' stata una bella festa, ma più bello an­cora è stato il clima di cordialità in cui si è svolta ».

Il giorno dopo — una giornata splendida — campane a festa di buon mattino e il corteo. Come lo­gico strade con festoni, scritte, e immancabile la banda.

La gente per le strade fa ala e applaude: ma vedo bene che quel­lo non è più solo un gesto convenzionale. Per la prima volta ho la sensazione di sentire il mio pae­se come un corpo vivo, capace di uscire dal proprio individualismo per aprirsi sugli altri. Era forse perché si era sentito amato la sera prima, forse per la presenza na­scosta ma vera dei miei amici, tra­scinati nel vortice della festa ap­pena scesi dal treno, forse per qual­che grazia speciale.

Un fatto risaltava chiaro: l'u­nità e l'amore scambievole che cer­cavo di avere con gli amici di Grottaferrata spiccava e dava alla festa un tono umano-divino, con­vertiva.

Due particolari tra i tanti: un amico riceve l'eucarestia dopo die­ci anni e alla sera ci dice che quella era stata una delle sue più belle giornate. Ancora il parroco in un articolo scriveva a proposito del pranzo di festa: « Non inten­do parlare della solita agape fra­terna che raccoglie per la circo­stanza attorno al festeggiato con i parenti, le autorità, il clero e gli amici, ma dar rilievo al gruppetto dei focolarini, compagni di studio e di vita di don Luigi, che l'hanno animata con manifestazioni simpa­tiche di fraterna letizia».

Io avevo ancora forte nell'ani­mo quanto don Foresi ci diceva a Natale in un raduno di semina­risti: « Voi siete gente che ha la vocazione alla vita diocesana, alla Chiesa così come è attualmente, per rinnovarla ».

La festa, i paramenti, i bei canti, capivo bene che erano ancora co­se cariche di forme vecchie, dove forse prevaleva il rito sul conte­nuto, l'esteriorità sulla sostanza; eppure tutto questo, vissuto con amore, e la presenza di persone unite tra loro, avevano saputo far nascere una prima messa nuova.

Luigi B.