A don Foresi abbiamo rivolto qualche domanda sull'attuale problematica ecclesiale nei riguardi del sacerdozio.

 

uomo – comunità – sacerdozio

Pasquale Foresi

 

Se lei dovesse dare un solo consiglio, parlare di una scelta di fondo, imprescindibile, a coloro che devono essere sacerdoti oggi, cosa proporrebbe?

Io penso che se si vuol capite cosa è il cristianesimo e poi cercare d'intravedere cosa è il sacerdozio, bisogna capire prima ancora l'essere uma­no. E l'essere umano è qualificato da una scelta fondamentale, comune a tutti gli uomini, senza la quale non è possibile essere né sacerdoti, né cristiani, né veri uomini.

L'uomo a un certo punto della propria esistenza deve svegliarsi da quel dormiveglia — che sarà un dormiveglia religioso se viviamo in ambiente religioso —, in cui tutti, anche noi sacerdoti, siamo immersi, per rivolgere lo sguardo su se stesso, su Dio in sé, e prescindendo da quello che egli è, rinchiudersi nella sua stanza come dice il Vangelo, e fare quella opzione fondamentale che noi chiamiamo la scelta di Dio, che la Bibbia ci descrive nell'esperienza d'Abramo, strappato alla sua casa, alla sua famiglia, per una terra che Dio gli mostrerà. Questa mi sembra la prima cosa fondamentale nella vita, qualunque vocazione abbiamo: riuscire a fare un'esperienza umana opzionale, profonda, decisiva, dell'andare verso Dio.

E' una scelta che tutti dobbiamo fare o rifare. E' quello che molti uomini fanno in altro modo e con diversa profondità dedicandosi o a un partito, o a una scienza, o all'arte o alla filosofia. E' proprio questa scelta, — che implica tutta la loro vita — che li rende uomini. E' una decisione che troviamo anche nel mondo musulmano, nell'induismo, nel buddismo, nel mondo delle religioni in genere.

E' precisamente di questa scelta che ci parla Gesù, in maniera più precisa, più profonda, più totale, quando ci dice di seguire lui, di seguire Dio in maniera piena: « se qualcuno non viene a me senza disamare il proprio padre, la madre, la moglie e i figli... », « chiunque non porta la sua croce e mi segue... », « chi non rinuncia a tutti i suoi averi... ». Se non fate cosi, continua Gesù, siete come uno che edifica una torre lasciandola a metà, come un re che non sa fare bene i suoi calcoli, come sale che diventa insipido.

Se si vuole costruire il sacerdozio, o anche il cristianesimo, senza premettere questo distacco dalle creature, da sé stessi e dai beni materiali, allora viene fuori quell'ambiente che con l'etichetta è religioso, cristiano, sacerdotale, ma che poi non lo è affatto, eccetto forse per quella termi­nologia che è tolta dal Vangelo, ma che è ormai priva di ogni contenuto; dice anzi il contrario: è un vero e proprio etichettamento di un non-con­tenuto. E' la torre edificata fino a metà. Al contrario, succede di incontrare gente impegnata in un ideale non dico sbagliato, ma parziale, limitato, e t'accorgi di aver a che fare non con delle mezze torri, ma con delle per­sone e quindi, anche se purtroppo non sono cristiane, hanno tanta maturità.

In questa scelta, nell'incarnazione autentica di questa esperienza fonda­mentale, c'è secondo me la radice anche di una vera comunione tra sacer­doti, la quale se non la si comprende da uomini, non la si può compren­dere poi da cristiani e non la si comprenderà mai da sacerdoti.

In altre parole, questa esperienza non è ancora il sacerdozio, ma è sicuramente la base sulla quale può innestarsi il carisma ministeriale sacer­dotale. E' inconcepibile pensare infatti a un servizio ministeriale come quello del sacerdote se non c'è questo impegno religioso, questa scelta a seguire Dio, a seguire Gesù, al di sopra di tutto. Su questa esperienza di base poi ci possono essere alcuni che sentono una chiamata speciale ad offrire una testimonianza e un servizio particolari. Solo cosi si supera un sacerdozio basato su una prassi di carattere legalistico per fondarlo invece sul dono e sul rapporto personale con Dio.

 

Qual è la sua opinione sugli attuali movimenti di contestazione fra i sacerdoti?

Ci sarebbero tante precisazioni da fare, a riguardo dei contenuti di quelle contestazioni, dei motivi che le suscitano, delle possibili soluzioni che potrebbero avviarsi, ecc. Ma la cosa più urgente secondo me, è avere chiari i criteri per riconoscere le contestazioni positive e quelle negative. Perché anche i santi attraverso tutta la storia della Chiesa sono stati veri contesta­tori, che spesso hanno scandalizzato e scosso gli uomini dei loro tempi, atti­rando su di sé, non raramente, dure condanne e persecuzioni. Ma qual è la differenza fondamentale fra questi contestatori e i contestatori negativi? Diremo subito che un riconoscimento immediato appare a volte difficile. Ma se si analizzano a fondo la loro vita e le loro opere, si scoprirà che quelli non partono da una generica protesta negativa, ma dall'attuazione positiva di studi od iniziative che si rifanno sostanzialmente al Vangelo. Inoltre, riman­gono assetati di comunione con l'Autorità nella Chiesa e non si danno pace finché non trovano una soluzione, anche se occorresse del tempo, perché il Signore li spinge a non rinunciare al proprio messaggio. Un'altra caratteristica è che essi non partono da un « non », ma partono da un « sì », il si della loro anima a una verità scoperta nell'ambito della fede e poi illustrata in opere e pubblicazioni; o da una riscoperta di alcuni valori evangelici, vissuti prima nella loro vita, e poi effettuati nel concreto. I veri teologi e i veri spiriti rinnovatori sono quelli che cercano di vivere e di riscoprire il Vangelo in sé stessi per partecipare poi alla comunità ciò che hanno trovato.

Se si vuole avere perciò un lume discriminante anche nel momento attuale per distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo, ciò che è grano da ciò che è zizzania, mi sembra che occorra andare a fondo sul movente che ispira le varie contestazioni, i vari contestatori, sulla loro sete di comu­nione con la Chiesa, anche e soprattutto quella gerarchica. E' la ricerca vissuta di una verità evangelica? allora dovremmo ascoltarla anche se ci infastidisce, anche se ci importuna, anche se scuote i membri della Chiesa.

Certo, il modo di esprimere queste verità sarebbe bene che fosse pru­dente e gentile! Ma questo è reso spesso difficile proprio dall'ambiente che li circonda, appunto perché contestare è anche un reagire.

Si dovrà allora sfrondare ciò che certi contestatori aggiungono al loro messaggio o alle loro azioni importune da ciò che giustamente richiedono. Penso che l'Autorità deve avere la pazienza di Gesù che lascia crescere la pianta perché porti frutto, per poi eventualmente potarla perché porti frutti più abbondanti, o seccarla se tutto è frascame inutile.

Penso che se si tenessero presenti queste distinzioni, e se si guardasse più che alle forme, alla sostanza, oggi nella Chiesa si vedrebbero più conte­stazioni positive che negative.

 

Oggi si parla abbondantemente dei seminari. Come vede lei la forma­zione attuale al sacerdozio e quali prospettive prevede?

E' un tema troppo complesso, vasto e delicato per trattarlo bene in questa breve risposta. Comunque io credo che dei centri di formazione per quelli che devono diventare sacerdoti ci vogliano. Tra l'altro perché non si può regredire storicamente: quello che di buono si è conquistato attraverso la storia, si può migliorare, si può arricchire, ma non lo si può eliminare e ritornare indietro come se non fosse mai esistito. Infatti in certi posti dove si sono chiusi i seminari, si stanno ora rivedendo le posizioni. Se poi questi centri debbano essere fatti come prima o in maniera nuova, è un altro discorso. Quello che sta crollando infatti, è il vecchio tipo di seminario, inteso come separazione dal mondo. Solo che, come in ogni mo­mento di crisi, ci sono oggi esperienze che saltano all'eccesso opposto. Quello che mi sembra importante, in relazione al seminario come struttura, è che dovrebbe essere un centro, che può essere fatto in diverse maniere, dove ci sia la possibilità di avere una specializzazione del cristianesimo per coloro che desiderano diventare sacerdoti.

Credo però che tutta questa problematica diventa in certo senso secon­daria di fronte ad un altro discorso di fondo: anche per mia personale esperienza, ritengo che quello che è in crisi, prima che il seminario, è il « pre-seminario », cioè il cristianesimo alla base. I seminari infatti sono nati quando c'era una vita cristiana nelle parrocchie e nelle famiglie. La preparazione al sacerdozio avveniva allora nella vita sociale e dopo sbocciava nei seminari. Invece ad un certo momento, i seminari e la vita sociale sono andati avanti ognuno per conto suo e per strade completamente diverse. Il Concilio è stato precisamente un punto d'innesto della Chiesa nel mondo moderno, facendo superare tante forme ed istituzioni che non si erano ade­guate ai tempi.

La crisi dei seminari è stata ed è crisi della comunità, del corpo. Io ritengo che una soluzione fondamentale si troverà nella misura in cui prendano vita delle comunità cristiane dalle quali possano rifiorire tutte le vocazioni, anche quelle al sacerdozio, com'è sempre avvenuto laddove sono esistite comunità veramente vive. Da queste comunità verranno fuori cristiani capaci di far nascere moderni seminari di « nuovo » tipo. Solo allora potrà capirsi più chiaramente come dovrà essere la vita di quei seminari o centri di formazione. Adesso ancora non si può vedere chiaro, proprio perché mancano quelle realtà di base.

Non si può pensare di risolvere il problema del seminario come se fosse una realtà a sé, isolata. Il seminario non è altro che il punto di passaggio tra la comunità cristiana e il sacerdozio. Quindi per risolvere i problemi dei seminari bisogna tenere conto di queste due realtà. Le soluzioni si troveranno nella misura in cui nasceranno delle comunità vive e che ci sia un clero rinnovato il quale viva interamente per Dio.