Due coniugi :

 

"A noi pare che il sacerdote ..."

 

La figura del sacerdote, la sua funzione nella Chiesa e nella società di oggi e pertanto anche la questione della formazione di chi è indirizzato al sacerdozio sono diventate oggetti di discussioni abbastanza frequenti, sia in privato che in pubblico. Il contributo che vi può portare l'intervista pub­blicata qui non sarà tanto un approfondimento di carattere strettamente teo­logico o sociologico, quanto il fatto che gli intervistati, questa volta, non sono dei teologi, dei sacerdoti o dei seminaristi (sul parere dei quali il dibattito è stato imperniato, forse, in modo troppo esclusivo), ma dei laici, e cioè una coppia di marito e moglie, impegnati in un'esperienza abbastanza nuova di vita comunitaria in atto in una parrocchia piemontese. Le loro risposte, quindi, avranno il carattere di esperienze, e ci è sembrato giusto riportarle cosi, dal momento che il loro valore sta proprio nel fatto di essere frutto di vita vissuta.

 

Come vedete, in base alla vo­stra esperienza parrocchiale, la figura del sacerdote oggi?

Ci piace molto quella definizione che del sacerdote dà S. Agostino: il sacerdote è prima cristiano tra i cri­stiani e poi... parroco, giacché noi ora vorremmo parlare del nostro rap­porto col parroco. Per noi, questi otto anni di comunione con i no­stri sacerdoti sono stati un crescere insieme, tante volte anche sofferto: da parte dei sacerdoti per accettarci con tutte le nostre deficienze, le dif­ficoltà familiari; da parte nostra per accettare loro, per amarli, cosi come erano, per esempio nel loro voler fare troppe cose da soli senza la no­stra collaborazione o nella loro dif­ficoltà di aprirsi a noi. Poi, per Elsa, donna, anche la difficoltà di essere semplice con loro, per tanti scrupoli dovuti alla sua formazione. Insom­ma si trattava di superare una certa distanza e incomunicabilità.

C'è stato un lungo cammino per arrivare a quel rapporto col sacer­dote che abbiamo oggi. Sentiamo che è un rapporto con una base più grande e più concreta: quella cioè

di saperci tutti figli di Dio e quindi fratelli in Cristo. Questo ci aiuta in modo incomparabile, ci lascia libe­ri e semplici e ci permette di consi­gliarci a vicenda, di aiutarci a cre­scere. Cadono cosi anche le difficol­tà di essere donna e uomo. Tenendo fisso lo sguardo e il cuore in Dio e soltanto cosi! ognuno è vera­mente dono reciproco all'altro e ciò ci aiuta tutti a maturare.

D'altra parte, questo rapporto ba­sato sull'amore fa venir fuori anche la funzione giusta ed il posto giusto del parroco. Si scopre e si rispetta

infatti la grazia che egli ha per la comunità e per ogni singolo parroc­chiano. Cosi noi pensiamo e siamo convinti che il sacerdote non è colui che ha il monopolio delle anime o che ha, per cosi dire, la volontà di Dio in tasca, ma colui che in base al rapporto di carità con noi attua la grazia ricevuta da Dio dì cogliere i doni di ciascuno di noi. Riteniamo dunque che in una comunità il sa­cerdote non abbia privilegi speciali se non quello di amare e di soffri­re più degli altri.

 

Potete illustrarci con qual­che esempio come si attua con­cretamente questo rapporto col parroco?

Spesso ci si chiede di partecipa­re ad un incontro o di andare in qualche parrocchia a portare la no­stra esperienza. Può succedere allo­ra che il parroco ci dice: « si, si, è bene che voi andiate », mentre noi due giungiamo ad una conclusione diversa. E allora gli diciamo il no­stro parere, non per metterci in op­posizione contro di lui, ma proprio per ricercare insieme ciò che è meglio. Lo facciamo però staccati da ogni interesse personale, e cosi si può creare lo spazio per trovare quello che Dio vorrebbe da noi in questo caso concreto. Dopo di che si parte per attuare la decisione con tutta un'altra carica.

A noi pare, che dicendo al par­roco quello che sentiamo, sempre in questa disposizione di fare la volon­tà di Dio, diamo anche a lui la pos­sibilità di vedere le cose con mag­gior chiarezza e di mettersi davanti a Dio nelle sue scelte.

 

Non vi sembra che questo richieda da parte dei laici una maturità che ancora si trova soltanto in pochi?

Certamente dipende molto dall'im­pegno e dalla disposizione dei laici. Se un parroco ha intorno a sé delle persone che vogliono veramente rea­lizzare una vera comunione con lui, egli può esprimersi nella sua vera funzione ed agire con una luce mag­giore.

La settimana scorsa vedevamo ad esempio l'opportunità che tante cose materiali passassero dalle mani del parroco nelle nostre, proprio per­ché lui potesse avere più tempo e li­bertà per svolgere effettivamente la sua funzione di sacerdote, cioè per pregare, meditare, guidare le anime e ricercare continuamente la volontà dì Dio perché cosi la nostra comuni­tà fosse fondata sulla roccia e con la nostra più viva partecipazione potes­se rinsaldarsi, completarsi e santi­ficarsi sempre di più.

Purtroppo c'è invece in tante par­rocchie il giudizio da parte dei par­rocchiani verso il parroco. E questo è il maggior difetto che ci possa es­sere in una comunità, perché chi giu­dica, anche se è in buona fede, se­para e distrugge sempre.

 

Vedete anche un nesso tra quel tipo di inserimento del sa­cerdote nella comunità di cui abbiamo parlato finora e l'esi­genza dell'aggiornamento del sacerdote, oggi forse quanto mai sentita?

Noi pensiamo che molti sacerdo­ti impostino i loro sforzi di aggior­namento troppo esclusivamente sul piano della cultura e dello studio, trascurando una preparazione ade­guata ai problemi reali della vita. Anche i nostri sacerdoti erano molto in difficoltà quando si chiedeva un aiuto, un consiglio, per sapere ad esempio come comportarsi concre­tamente durante gli scioperi e in ge­nere nei confronti dei problemi e conflitti sociali. L'esempio citato è solo un aspetto della vita, intendia­moci, ma oggi è talmente in primo piano che un cristiano ha veramente bisogno di essere aiutato a fare del­le scelte in questo campo. Vediamo però che anche in questo punto quel qualcosa di comunione che già si è realizzato nella nostra parrocchia è veramente un aiuto per i sacerdoti. Li porta cioè a non essere teorici per quanto riguarda tutte queste realtà umane, come il lavoro, la fa­miglia, gli ammalati, la gioventù ecc, ma a diventare sempre più effi­cienti e concreti, nel ricercare con tutti noi le soluzioni migliori.

 

Spostiamo ora un po' il di­scorso e parliamo dei futuri sacerdoti, dei seminaristi cioè: come vedete voi, sempre in ba­se alla vostra esperienza, il rap­porto tra la comunità e la na­scita e maturazione della voca­zione sacerdotale?

E' logico che la comunità, attra­verso l'amore che è in essa, generi le più svariate vocazioni, sposati impegnati, vergini, e appunto anche sacerdoti. Ricordiamo ad esempio che fu proprio durante il funerale di una ragazza della nostra parroc­chia una esperienza di particola­re unità che un ragazzo che fre­quentava la comunità senti chiaro dentro di sé quale doveva essere il suo posto nella Chiesa: sacerdote.

L'esperienza, poi, di alcuni giova­ni indirizzati con motivazione poco chiara alla scelta del sacerdozio, i quali, dopo uno o due anni di per­manenza nella nostra comunità, senti­vano con più chiarezza la loro vo­cazione che non sempre coincideva con quella del sacerdozio, è pure un fatto positivo, a nostro avviso.

Un'esperienza che seguiamo par­ticolarmente da vicino è quella di un gruppo di giovani orientati al sacerdozio, inserito nella realtà della nostra parrocchia. Essi non sono un'isola a sé, ma vivono in una in­tensa comunione con tutti noi, e que­sto è molto importante. Vediamo in­fatti che loro hanno bisogno di at­tingere alla nostra esperienza di fa­miglia, e d'altra parte noi sposati sentiamo l'esigenza e la gioia di partecipare alla loro vita: andarli a trovare, parlare con loro dei nostri problemi e di quelli che hanno loro, uscire insieme, sono tutti modi at­traverso ì quali l'amore si può espri­mere. E nasce cosi un rapporto che fa bene sia a loro che a noi. Per cui ci pare che questo modo di pre­pararsi al sacerdozio, in continuo e vivo contatto con una parrocchia cioè, sia molto bello e utile, e pre­pari dei sacerdoti aperti e inseriti nella vita sociale e nella realtà di una Chiesa sperimentata viva.