identità
La crisi di identità nel sacerdote si rivela in definitiva crisi di
umanità.
E' un fatto che molto spesso il divino in noi
ha lasciato l'umano cosi come l'ha trovato, restando,
appiccicato al nostro essere senza un'effettiva fusione, senza essere — per cosi dire — molla e punto
d'arrivo del nostro perfezionamento umano, servendocene più come
categoria di discorso e termine di paragone e di giudizio che non come
restaurazione e integrazione delta nostra umanità che trova in
Gesù — perfetto uomo — il suo modello.
E pertanto questo divino è venuto a noia e sotto sotto
lo si accantona — quasi fosse responsabile della nostra deficienza umana —
per correre alla ricerca precipitosa delle dimensioni dell'uomo del
mondo.
Certo che l'abbaglio è notevole. Sarebbe — tanto per dire — come se un
Vincenzo de' Paoli si fosse fatto a titolo
personale barbone tra i barboni per contestare la ricca casta sacerdotale,
invece di trovare nel contenuto stesso della propria consacrazione sacerdotale
la propria realizzazione umana da poter essere indifferentemente amico dei
mendicanti e galeotti e consigliere spirituale di Luigi XIII.
Forse l'abbaglio odierno è causato da un falso concetto di umano,
poiché spesso lo si fa coincidere con
l'uomo naturale — anteriore a
Cristo o che da lui prescinde — come se oggi l'uomo non avesse
più bisogno di essere « liberato dal Figlio » (Gv. 8,
36) per raggiungere la propria totale realizzazione e di conseguenza la propria
vera identità; quasi cioè che fosse superfluo per l'uomo entrare in
comunione con Dio, in quello stesso rapporto ineffabile che è intercorso
tra Gesù e il Padre e per il quale Gesù, come uomo, è
stato il tipo dell'uomo « nuovo », l'uomo che sa essere
libero da ogni condizionamento storico perché trova nella sola e
totale dipendenza dal Padre (dall'Alto e non dal basso) la propria «
identità ».
Ma se Gesù è l'uomo esemplare, modello dell'uomo
totalmente realizzato, bisogna dire che storicamente egli ha raggiunto la
massima autorealizzazione là dove nel totale silenzio del Padre,
nell'abbandono, crede ancora all'Amore tanto da diventare egli stesso padre
della nuova creazione.
Agli uomini che oggi hanno l'impressione di
sperimentare per qualunque motivo il silenzio di Dio su di sé e sul mondo, e soprattutto a quanti avevano sinceramente puntato tutto su Dio e ora per il suo
silenzio si sentono irrealizzati e informi, si presentano due
possibilità: o regredire all'uomo naturale dichiarando bugiardo
Gesù oppure, come lui, credendo e identificandosi quasi per assurdo
nell'Amore del Padre pur tra l'incomprensione del mondo e insieme
sgomenti per il silenzio di Dio, diventare padri della nuova creazione e
ritrovare — nello stesso
tempo — la propria identità nella massima
autorealizzazione possibile all'uomo.
Silvano Cola