Tavola rotonda sul tema: "L'esperienza di Dio oggi"

 

PRIMA PUNTATA

la giusta lunghezza d'onda

 

Il tema trattato, troppo vasto ma molto attuale, verrà qui sintetizzato in due puntate. I partecipanti sono tutti studenti di teologia che si rifanno alla loro esperienza nella spiritualità del Movimento dei Focolari. Ecco i loro nomi e paesi di provenienza: Felix Heinzer {Svizzera), Enrique Cambón {Argentina), Norio Kudo {Giappone), Francisco Perez {Spagna), Vincenzo Zani, Luigi Bonazzi, Zeno Sartori, Tarcisio Benvenuti, da diverse regioni ita­liane. Abbiamo rispettato lo stile della conversazione, meno analitico ma più adatto a comunicare le loro esperienze.

 

 Se vogliamo analizzare anche brevemente la situazione dell'uomo d'oggi a riguardo dell'esperienza di Dio, bisogna tener conto di numerosi aspetti. L'uomo at­tuale, forse per il progredire delle scienze e della tecnica, per una sensi­bilità ed un contesto sociale nuovi, per l'influenza del marxismo e del freu­dismo, e per tanti altri motivi, sembra diventare sempre più insensibile all'e­sperienza di Dio, all'esperienza religio­sa. Guardini diceva che l'uomo primi­tivo aveva un tale senso del sacro che vedeva la divinità dietro cose dove il sacro non c'era (in un idolo, in un ful­mine, ecc), mentre l'uomo moderno ha talmente perso il senso del divino che non lo trova nemmeno dove c'è. Ci so­no persone che hanno una sensibilità particolare per il bello, per l'armonia, per l'ordine, ecc, e riescono ancora a trovare Dio nell'universo, nella na­tura. Ma sembra che il numero di que­ste persone diminuisca sempre più. E non è che questo si debba a certe correnti come la teologia della « mor­te di Dio» ed altre. Piuttosto è il contrario, queste correnti sono espres­sione dell'animo dell'uomo contempo­raneo, che quando legge ad esempio Bonhoeffer ritrova dentro di sé una risonanza e può dire: « questo è verissimo, lo potevo scrivere io stesso se fossi stato capace d'esprimerlo ». Ti trovi questi ragazzi e ragazze, nel­l’Università e negli altri ambienti, che ti dicono: « il problema della nostra generazione è la ricerca di un senso per vivere », oppure « dov'è questo Dio? io vorrei che Dio mi si mostrasse una sola volta in qualunque maniera, dopo lo seguirei, ma un solo segno chiaro e indiscutibile vorrei avere! ». Perché, si dicono, un Dio così « capric­cioso », così lontano, cosi silenzioso? Perché un Dio che è Amore sarebbe cosi crudele da lasciarci nell'incertez­za assoluta? Perché, se Dio vuole che tutti lo conoscano, giacché Lui è il senso ultimo della vita, non si mani­festa più chiaramente? Sembra, come diceva il Papa, che l'umanità stia pas­sando una specie di « notte oscura » a riguardo dell'esperienza di Dio. Si ha l'impressione di cominciare un'epo­ca capace di produrre dei « mistici del­l'assenza di Dio » piuttosto che della sua presenza.

Io penso che Dio è sempre Dio, e in ogni sua opera deve esprimere se stesso, cioè deve esprimersi Amore. Al­lora sia la natura, sia i rapporti inter­personali, sia la vita interiore, psico­logica, nel senso più intimo e profon­do sono amore, proprio perché espres­sioni dell'Amore di Dio. Quindi a qualunque livello della realtà noi guar­diamo, dovremmo poter trovare Dio anche oggi. Nonostante, sembra che l'uomo sia più insensibile attualmente a trovare Dio nella natura o dentro di sé o nel culto, e che l'accento si sia spostato sui rapporti, sull'impegno politico, sulla dimensione sociale.

E' facile rispondere che sebbene Dio « nessuno l'ha visto mai », è stato Ge­sù a rivelarcelo, come dice Giovanni. Cristo è « il volto di Dio ». Come si può continuare a parlare dell'assenza e del silenzio di Dio, — si direbbe —, quando Dio ha già parlato ed ha detto la Parola? Continuare a chiedere a Dio un'altra parola sarebbe un insulto, diceva Giovanni della Croce. E nono­stante, nemmeno questo basta, in sé, perché suona troppo astratto per la gioventù e l'uomo d'oggi. Come arri­vare a scoprire ed esperimentare il Cristo? Come capire la potenza e la verità delle parole della Scrittura?

Forse l'unica risposta valida saranno quelle comunità che mostrino nella lo­ro vita l'efficacia e la bellezza della Parola, che testimonino Cristo vivente in mezzo a loro. A questa esperienza di Dio pare sensibile l'uomo d'oggi.

Mi sembra molto vero questo. L'anno scorso, in un raduno di preti francesi, Wilfried Ha­gemann diceva che gli sembrava che tutte le vie « tradizionali » d'accesso a Dio (cioè attraverso la natura, attra­verso il sentimento religioso, attraver­so l'arte, la metafisica ecc), fossero in un certo senso precluse all'uomo d'og­gi, e che quindi l'unica via che gli re­sta è in questa esperienza del rapporto interpersonale, dell'unità, di Gesù pre­sente nella comunità attraverso l'amo­re scambievole. E che solo partendo da questa esperienza può ritrovare nuo­vamente anche quelle altre vie. Guar­dando alla mia esperienza vedo che è proprio cosi. Quando ero piccolo, il mio rapporto con Dio era infatti fondato sull'esperienza del sacro, era un rapporto «religioso». E volevo farmi prete proprio perché ero attrat­to dal sacro, come lo si esprimeva nelle cerimonie, nella musica d'organo, nell'incenso, le candele, ecc. Poi man mano questa realtà ha perso il suo fascino, o meglio questi « mezzi » per arrivare a Dio si sono in certo modo staccati da Dio, sono diventati auto­nomi, degli idoli cercati per sé stessi, e si sono trasformati in ostacoli tra me e Dio. Mi sembra che questa sia un'esperienza comune a tanti. Ma poi quando ho riscelto più pienamente Dio ed ho trovato la vita di unità, ho riscoperto, andando avanti, tutte quelle cose. Per esempio ho riscoper­to il valore della santità, ho trovato in me un entusiasmo per i santi, ho ri­sentito anche una certa vocazione alla vita contemplativa che richiederebbe tutto un discorso a sé. Cioè, attraver­so l'esperienza che noi chiamiamo Ge­sù in mezzo ho ritrovato anche tutti quegli altri aspetti dell'esperienza di Dio.

 

Enrique: Vedi come questo presenta in una nuova lu­ce anche quella specie d'insensibilità e « notte oscura » dell'umanità di cui si parlava? Quell'esperienza dell'assenza e del silenzio di Dio, non sarà forse una specie di pedagogia di Dio sull'u­manità? Una pedagogia che preclude all'uomo alcune strade per fargliene trovare più pienamente un'altra. Forse la Chiesa e l'umanità sono arrivate ad una maturità tale, da far scoccare l'ora di approfondire in maniera nuova que­sto aspetto della presenza di Dio nella comunità, per poi da li riscoprire an­che gli altri « luoghi » dell'esperienza di Dio.

Norio sembra che un pregio enorme di questa esperienza della presenza di Gesù in mez­zo alla comunità, sia il fatto d'essere universale, aperta a tutti gli uomini. Ci sono infatti certe persone che hanno una maggiore sensibilità religiosa, altre sembrano averne di meno. Il fat­to invece di entrare in comunione, in un rapporto vero con altri, è qualcosa che tutti possiamo fare.

 

Tarcisio: Questo posso confermarlo anche con la mia esperienza. Per me tutto è comin­ciato con un rifiuto. Io sono cresciuto in una famiglia molto religiosa. Non ho mai visto per esempio che i miei ge­nitori litigassero tra loro, c'era un rap­porto bello tra tutti noi a casa. Però a 18 anni, in liceo, ho rifiutato tutto, an­che l'essere bravo, l'avere una famiglia bella come la mia, ecc. Ero affascinato da quello che non va, dalla TV, dai giornali, da tutto il negativo che vede­vo. E quindi rifiutavo tutti i consigli. Non m'interessava tutto questo. Dice­vo per esempio: perché, se tu hai fat­to questa esperienza, io devo soltanto crederla e non farla anch'io? Un'esi­genza quindi di esperienza, di riguada­gnarmi il positivo, se esisteva, da me stesso. L'incontro con il Movimento è stato per me la riscoperta dell'umano, la riscoperta del rapporto serio tra gli uomini, non più solo un rapporto di gioco, di baldoria, di cameratismo. Ogni volta che trovavo una persona sapevo d'essere davanti a qualcosa di grande e di profondo, ad un mistero, ed allora un po' alla volta sentivo il desiderio di fare mio il tesoro del fratello. L'esperienza fondamentale di Dio quindi è cominciata cosi per me: mettermi davanti al fratello e sentire che al di là di questa porta c'è un tesoro immenso, e il desiderio di aver­lo anch'io, di condividerlo. Accanto a quel rifiuto (che era rifiuto anche del sacro, della Chiesa, della comunione frequente, delle associazioni, della mo­ralità in certo senso), io ho scoperto questo rapporto di amicizia vera, ed in questo rapporto poi ho riscoperto tutto il resto. Ma all'inizio mi fer­mavo a questo rapporto. E ancora dopo un anno di questa vita mi dicevo: « ma io non arrivo a Dio », e mi sen­tivo rispondere: « non importa, con­tinuiamo a vivere questo cammino passo a passo, a vivere insieme ». Cre­dere a questo mi ha portato poco a poco a percepire per esempio la real­tà di Gesù in mezzo, che non era solo amicizia, perché esperienze di amicizia io ne avevo fatte tante. In­vece questo rapporto di carità, nel momento in cui io lo vivevo, mi chie­deva tutto, mi dava in certo senso meno dell'amicizia, mi chiedeva di perdere, a volte di tagliare, di star zitto, di ascoltare, mentre nell'amici­zia come s'intende comunemente tu fai quello che vuoi. Mi chiedeva di mortificarmi nel mio esprimermi, nel mio volere una cosa o un'altra. Però quando rientravo in me stesso se ri­pensavo all'esperienza che avevo fatto, la sentivo infinitamente più grande e più ricca del rapporto di amicizia « all'antica maniera ». Quindi la ri­scoperta del Vangelo soprattutto. Ho capito che dovevo viverlo il Vangelo, se volevo capirlo. Non era facile certamente, ma attraverso queste espe­rienze, questi passi, questo cercare di vivere il Vangelo e non solo di stu­diarlo, il divino pian piano mi entrava dentro. Cosi mi svestivo sempre più dell'imparaticcio, della Scrittura come nozioni, e sempre più pescavo a quel­le esperienze che incominciavo a fare. Voglio dire che mentre una volta, ai molti gruppi che frequentavo propo­nevo sempre quelle cose che avevo studiato e che anche mi piacevano (mi domando se non era forse soprat­tutto per il gusto di ascoltarmi e per la compiacenza di offrire agli altri una risposta) in seguito sempre meno mi rifacevo alle cose imparate sui li­bri e sempre più invece a quelle espe­rienze, anche se ancora piccole, di co­munione che andavo facendo. Di fron­te ad una persona con un problema, mi accorgevo che non bastava rifarmi a quei concetti studiati, ma ci voleva una risposta che lo appagasse veramen­te; ci voleva la sapienza, e la sapienza pesca dall'esperienza, non solo da quan­to si è imparato. Una esperienza nei riguardi di Dio di questi ultimi tem­pi è anche quella che come uomo, nei confronti di Dio, io posso solo ri­cominciare, non posso fare altro. Non è che posso restare in Dio nel senso di sentirmi sempre a posto, di avere sempre la gioia dentro, di avere per­manentemente la pace, di non sbaglia­re mai nell'amare i fratelli. Io ho vi­sto che per me restare in Dio vuol dire ricominciare a credere nel suo Amore, ricominciare ad amare, che forse vuol dire pregare, o quando ar­riva il momento continuare, anche se non ho voglia, una lettera che avevo interrotto. Per me quella cosa signi­fica mettermi concretamente davanti a Dio: ricominciare ad amare. Questo tipo di esperienza di Dio attraverso la vita, attraverso l'amore, mi ha fatto non solo riscoprire « dal di dentro » tante realtà, come la confessione, o la preghiera, o altre, ma anche mi ha tol­to tanti traumi nei miei rapporti con Dio. Ad esempio mi ha tolto la paura di Dio che prima avevo, una specie di terrore del giudizio di Dio, che avevo respirato in certi ambienti fre­quentati e mi era rimasta dentro.

 

Felix: Questa tua esperienza forse si potrebbe riassumere dicendo che è l'amore che porta alla fede. Questo lo abbiamo sperimentato tante volte. C'è tanta gente che non riesce più ad aver fede, ma attraverso l'amore arriva a trovare un rapporto con Dio. Un ragazzo protestante ili un incontro in Svizzera, ci ha parlato per tre ore spiegandoci che lui non riusci­va a credere, ad avere un rapporto con Dio, perché lui — diceva — era un uo­mo a cui gli mancava questa antenna, questa sensibilità, questa lunghezza di onda, non si considerava un uomo religioso. Noi gli abbiamo detto: tu non devi preoccuparti adesso di ave­re la fede, tu ama, cerca di amare. Alla fine del raduno, attraverso que­sto donarsi, attraverso l'amore, è riu­scito a trovare questo rapporto con Dio. Mi sembra che sia una formula fondamentale, questa, per l'uomo di oggi. Uno la fede non se la può dare, perché — si sa — viene da Dio. Ma è anche vero che una volta ricevuta (nel battesimo), la fede muore (non si sente, non si capisce) se non viene esercitata e vissuta. E l'esercizio della fede non è altro che la carità in atto; è la carità che ti rende conna­turale a Dio e ti elimina in radice il « problema » della fede.

(continua)