Parola di vita

 

«Se un membro soffre, tutte le membra sof­frono con lui,

se un membro è glorificato, tutte le membra ne gioiscono».

(Cor. 12, 25-26).

 

La parola di vita di questo mese si trova in quella parte della prima lettera ai Corinti che è dedicata all'istruzione della comunità di Corinto riguardo all'ordinamento della sua vita comunitaria.

Paolo vi tratta un problema molto importante per la Chiesa corin­ziana, la questione «circa i doni spirituali» (12, 1) o i cosiddetti cari­smi. La posizione dell'Apostolo è molto chiara: la sorgente unica e quindi il principio dell'unità dei carismi e dei ministeri, è l'unico Spirito Santo mandato dall'unico Signore (cfr. 12, 4-5).

E' facile per noi che stiamo assistendo ad un vero risveglio dell'at­tenzione allo Spirito Santo e ai suoi doni (c'è chi parla persino di «boom» dello Spirito Santo), comprendere questa problematica che inquieta la Chiesa di Corinto. C'era una tensione tra i carismatici esta­tici (« pneumatikoi ») e i legalisti di allora, un fenomeno che si incontra in tutta la storia della Chiesa e che si ripropone oggi con particolare intensità. Si tratta cioè del rapporto tra carisma e ministero, tra libertà dello Spirito e organizzazione gerarchica della Chiesa. Rapporto che, (per mancanza di equilibrio — e come vedremo, — di amore) rischia spesso di scivolare nell'accentuazione di un aspetto a scapito dell'altro: o nel­l'anarchia spiritualistica o nella struttura rigida e senza vita.

Paolo, cosciente di questo pericolo, porta l'esempio del corpo, dove un membro (un carisma) esiste ed ha significato solo se vive con e per gli altri (12, 12-31). Un discorso che poi sfocia nell'inno della carità (capitolo 13). E' questa la risposta alla tensione di cui parlavamo prima: la carità. Essa infatti ordina i carismi senza ucciderli, realizza l'unità senza sopprimere la libertà. E ciò perché è divina, perché è spirito di Dio, anzi — come dice la prima lettera di Giovanni — perché è Dio, e Dio è allo stesso tempo unità assoluta e libertà infinita.

Ora, i due versetti 25 e 26 hanno un posto centrale in questo di­scorso. Enunziano ciò che potrebbe dirsi la legge di questo corpo che regola il rapporto tra le sue membra: « Se un membro soffre... ». L'im­portanza di questa frase viene in luce ancora di più se consideriamo che la sofferenza e la gioia, le due realtà che servono a Paolo per espri­mere questa massima, sono due esperienze privilegiate, proprio perché profondamente umane, ineliminabili, sono quelle che con tanta più faci­lità possono minacciare l'unità della comunità cristiana e, ugualmente, di ogni convivenza umana. Si vede spesso come il dolore indurisce ed arena un individuo mentre la gioia lo esalta e lo stordisce: in entrambi i casi si perde la sensibilità per la realtà che è fuori di noi, e in particolare per il fratello che sta accanto.

In quel corpo invece di cui parla Paolo, nella comunità cristiana cioè, sofferenza e gioia diventano occasioni particolari per costruire l'unità e per realizzare una crescita reciproca. Questo perché la comu­nità cristiana non è soltanto un organismo umano, ma « il corpo di Cristo» (12, 27), che si presenta con la veste di sofferenza nei momenti di croce e di abbandono, e con la veste della gioia nei momenti di resurrezione.

Con altre parole: la comunità cristiana si costruisce in unità proprio perché riceve da Cristo la forza di vivere nell'amore questa dialettica di sofferenza e di gioia.

A livello personale e comunitario questo implica poi la costante identificazione a Cristo, amato e abbracciato nel suo mistero pasquale soffrendo con chi soffre, per arrivare — assieme — alla gioia e alla gloria della risurrezione.

Felix Heinzer