vita gens

 

"Quelli non sono come gli altri..,,

La partenza per Zambana era stata un po’ laboriosa. Quando don Giulio ci aveva invitato gli ave­vamo risposto subito di sì. Ma al­l'ultimo momento erano sorte di­verse difficoltà. C'era chi doveva sospendere un'altra volta i suoi stu­di, chi doveva rinunciare ad un invito a passare alcuni giorni in Turchia, ma soprattutto si sentiva l'incertezza di partire quando più della metà dei componenti il no­stro complesso Gen's 73 era già tornata nei propri paesi Si ripensa per un momento a quel nostro sì, riparliamo con don Giulio e con lui vediamo che è ugualmente il caso di partire.

Così quando la sera dell'8 aprile ci troviamo nelle cuccette del treno che ci porta a Trento (siamo in cinque; Felix, Vincenzo, Pino, Lu­cio e Luigi) ci guardiamo in fac­cia, lasciamo a Roma i nostri im­previsti, le difficoltà, e partiamo con nell'anima un unico desiderio: vi­vere assieme alla comunità di Zam­bana questi giorni di preparazione alla consacrazione della loro chiesa.

Sapevamo di trovare là persone che cercano di costruire attorno ai sacerdoti una vera comunità par­rocchiale, qualcosa ci aveva già detto don Giulio, ma quando ar­riviamo sul posto troviamo un'ac­coglienza che supera le nostre a­spettative. Alla stazione amici che ci attendono e poi, arrivati in pae­se, famiglie che fanno a gara per ospitarci. Non ci sentiamo degli ospiti ma persone gradite ed at­tese.

Mentre si attende l'ora del pran­zo don Giulio ci parla un po’ di Zambana. E' un paese di 1500 abi­tanti, ricostruito dopo che una fra­na nel 1955 aveva sepolto e di­strutto quello vecchio. Da circa tre anni lui è parroco di questa comunità assieme a don Pio, ed è proprio la vita di comunione tra loro due che alimenta il loro apo­stolato in parrocchia. Anche que­sta settimana è stata pensata in questa linea. Vorrebbero offrire alla gente della loro comunità, attra­verso le persone che ogni sera par­lano, esperienze e testimonianze di un cristianesimo pienamente vissu­to in tutti i momenti della vita, nelle varie situazioni e condizioni. Un cristianesimo che è amore ge­nuino per il fratello, che vuol ren­dere visibile il testamento di Gesù che tutti siano uno e per questo ti fa impegnare ad amare gli altri così come Gesù ha amato.

Qualcosa è già successo dopo i primi giorni. « Questa mattina — con­tinua don Giulio — è venuto a tro­varmi un giovane, filomaoista, e mi ha detto che non può più tergi­versare con Dio perché ieri sera, quando si sono presentati i Gen, ha colto in loro una presenza del divino che non può più negare ».

Questo ci fa subito capire che il nostro primo impegno è quello di inserirci delicatamente in questa trama di rapporti nella carità che don Giulio ha costruito con don Pio, con un drappello di persone che sono come il cuore della par­rocchia, e, quando cantiamo nei vari incontri, non facciamo altro che cercare di esprimere nel canto quel rapporto di amore che ci lega e che è espressione della nostra scelta di Dio.

I bambini, in particolare, sono quelli che per primi rimangono presi

dalla nostra presenza, dai nostri canti e con loro si stabilisce subito un rapporto di amicizia profondo. Non è l'ammirazione di un ragaz­zino per un adulto che canta bene, o che suona una chitarra. Natural­mente c'è anche questo, ma la ra­dice della loro simpatia è molto più profonda. Forse alcuni fatti pos­sono aiutare meglio a capire. Dopo averci incontrato, una bambina tor­na a casa e chiede alla mamma una bottiglia di vino che inten­deva regalarci. Le spiega: « Quelli non sono come gli altri complessi che hanno soldi e possono girare; quelli sono ragazzi poveri ». Al che la mamma risponde: « Se sono ar­rivati qui è perché possono ». La bambina si mette a piangere e la mamma sente il bisogno di infor­marsi meglio. Così viene a sapere da don Pio che effettivamente noi eravamo li perché ci avevano pa­gato il viaggio. Si confessa allora di quella sua reazione come della mancanza più grave della setti­mana.

Un'altra va a dire a don Pio: « Sai quando Vincenzo canta non è come quelli della televisione. Pri­mo perché ride, anzi sorride. Se­condo perché ha qualcosa che non ti so esprimere, ma che quelli della televisione non hanno». E non parliamo poi della gara che face­vano a portarci bibite, sigarette, ca­ramelle, e della festa che ci face­vano quando ci incontravano. Una festa dove si coglieva in loro l'at­teggiamento maturo di chi vuol amare l'altro e basta; a loro mo­do, certo, ma con vero amore.

La sera del sabato è riservata a uno spettacolo musicale. Tra le al­tre cose eravamo arrivati anche per questo. Mentre la gente che du­rante tutto il giorno aveva fatto fila per le confessioni si accosta alla comunione, noi ci appartiamo un momento e nel nome di Gesù chiediamo al Padre la grazia di po­ter dare con le nostre canzoni uni­camente una testimonianza della Sua presenza in mezzo a noi, e di come Lui in noi faccia nuove tutte le cose.

La chiesa è piena, occorrono se­die perché nei banchi non c'è più posto, e per un'ora e mezza diamo il nostro spettacolo. Una decina di canzoni intervallate da esperienze con le quali diciamo cosa è suc­cesso nella nostra vita quando ab­biamo incontrato Dio, e alcuni fat­ti successi in quei giorni.

La risposta delle persone è im­pressionante, non solo attraverso i frequenti applausi, ma più ancora per quel qualcosa di nuovo che entra nella loro anima e li illumi­na. Molti ci dicono — a spettacolo concluso — che sono rimasti par­ticolarmente impressionati dall'uni­tà che c'era fra di noi, dal fatto che mentre uno cantava gli altri che suonavano cercavano di essere attenti a lui, che quando uno par­lava gli altri lo ascoltavano e tan­ti ci dicevano: « Ho capito che anch'io devo incominciare cosi ». E' una reazione che ci sorprende. Parlandone poi ci si diceva: « Co­me spiegare il fatto che noi can­tiamo canzoni e la gente sente di doversi convertire a Dio? C'è troppa sproporzione tra la causa e gli effetti». E avvertiamo che una del­le più forti grazie che Dio ci ha dato in questi giorni è stato di capi­re che è autentica mancanza di giu­stizia quella di voler prendere il posto di Dio e di non credere in­vece alla forza rivoluzionaria che Lui ha quando è presente in mez­zo a noi.

La domenica è il giorno della con­sacrazione. Al mattino arriva anche il complesso internazionale Gen Ros­so che, in tournée nel Triveneto in quei giorni, vuol cogliere l'occasione di presentarsi all'Arcivescovo. Sono loro ad accompagnare la liturgia con i canti e noi siamo ben con­tenti di aver fatto come da prepa­razione al loro arrivo.

La cerimonia, anche se snellita nel rito, dura più di un'ora eppure l'in­teresse delle persone, anche per la presenza del vescovo, non si affievo­lisce. E quando il vescovo al termi­ne delle sue parole che invitano la parrocchia a dare una testimonianza di unità, legge il telegramma del Pa­pa che augura alla comunità di di­ventare un centro vivo di vita cri­stiana, la gente risponde con un for­te applauso, come personale impe­gno a quell'augurio.

Intanto durante la giornata arriva­no, numerose, testimonianze che esprimono come la gente abbia sen­tito e vissuto quella settimana. Una di queste diceva: « Ci vorrebbero molte chiese da consacrare ». E tan­te altre a sottolineare che erano stati giorni particolari per la comunità. Un agricoltore scriveva cosi: « In questi anni avete gettato un seme; la pianta è nata tra tante difficoltà, ma è nata. In questa settimana l'a­vete coltivata, con concimi scelti ar­rivati persino da Roma. Presto ve­dremo i fiori e i frutti ricchi di vita­mine, di vitamina A come amore, di vitamina C come carità. E chi ne mangia sarà immune da ogni male». «Certo che vedendo queste cose — commentava Pino — senti la gioia e la bellezza di diventare prete ».

Era arrivato il momento di par­tire e di lasciare una comunità in mezzo alla quale c'eravamo trovati a nostro agio. Dopo la cena ci in­contriamo con una trentina di per­sone, per il saluto. Una di loro pone una domanda: « Quando partite voi lasciate un vuoto, e non è un vuoto di persone. Allora cos'è questo vuo­to? ». La domanda era rivolta a noi e Felix cerca di rispondere: « E' un segno — credo — che in questi giorni abbiamo cercato di amarci e per questo abbiamo sperimentato la presenza di Gesù fra noi. Una espe­rienza che dobbiamo continuare a fare, ognuno al proprio posto. Que­sto vuoto è proprio un invito a non fermarci nel bel ricordo di questi giorni ma a continuare in quel cam­mino che ci è apparso con tanta luce e denso di verità».

Luigi Bonazzi

 

 

 

carismi e universalità

 

Riportiamo ancora un'altra risposta data nel corso del dialogo aperto tenuto all'ultimo incontro per seminaristi. La domanda è di quelle ormai di prassi nei nostri raduni e mette in luce una difficoltà abbastanza frequente soprattutto in quanti sono al primo contatto con questa spiritualità.

 

« Vivere in profondità un carisma, non ci porta a chiuderci agli altri? La vocazione del sacerdote diocesano non dovrebbe essere quella di essere "Chiesa", quindi aperto a tutte le spiritualità, prendendo il buono in tutte, facendo eventualmente una sintesi, ma non compromettendosi con nessuna? »

 

Sono anni che andiamo ripetendo ai sacerdoti diocesani: « se vivi il Vangelo ti realizzi pienamente nella tua vocazione e quindi proprio come sacerdote diocesano ».

Cosi quando un francescano conosce e vive questa spiritualità non diventa un'altra cosa: sente di « attuarsi » come francescano, poiché se la povertà non viene vivificata dall'amore non vale nulla.

Quanti salesiani, ad esempio, ci dicono: « Ma è proprio questo che don Bosco voleva da noi. Lui diceva che non avrebbe voluto darci nessuna regola se avessimo sempre vissuto la carità scambievole». E si accorgono che rimettendo alla base della loro vita l'amore scambievole, con precedenza sul loro sistema pedagogico, riscoprono con entusiasmo il carisma autentico del proprio fondatore.

La stessa cosa succede quando — per continuare gli esempi — un trap­pista conosce la nostra vita. Non gli diciamo di uscire dalla Trappa. Gli diciamo: « Guarda che se tu vivi questa spiritualità e stabilisci un rapporto d'amore scambievole con i tuoi confratelli — perché l'ante omnia del Van­gelo è sempre l'amore scambievole — in quel momento tu hai la luce e riporti vivo fra gli uomini d'oggi il carisma del tuo fondatore ».

E se sono due sposati che vogliono vivere questa spiritualità diciamo loro: « Vivendola veramente, voi vi attuate come persone sposate; potrete stabilire cioè una comunione di vita tra voi e coi figli che testimonierà ante omnia l'amore. Diventerete cosi segno per il mondo dell'unità che c'è tra Gesù e la Chiesa ».

Ogni spiritualità aiuta le persone a realizzarsi in quella vocazione speci­fica, ma è anche chiaro che ogni spiritualità si spegne se non viene ali­mentata e vivificata dalla carità reciproca. E quando questa c'è, è proprio allora che, oltre a sentirti realizzato nella tua vocazione particolare, scopri con infinita meraviglia la bellezza di tutte le altre spiritualità e di tutte le altre vocazioni.

Di conseguenza, è proprio il vivere in profondità un carisma la strada per aprirsi a tutti gli altri e scoprire cosi la bellezza della Chiesa.

Quanto al compromettersi, poi, questa è una legge di vita, è la legge dell'incarnazione. Dio lo trovi sempre, nella storia, attraverso persone con­crete, in una Chiesa concreta, e se uno non vuol compromettersi con qual­cuno fino in fondo, in realtà non vuol compromettersi con Dio.