rischio e
certezza
La precarietà delle nostre certezze quando non sono sostenute
e convalidate dalla vita.
E' possibile voler diventare sacerdote senza
che Dio sia la cosa più importante della
propria vita? Questa è stata, almeno inconsciamente, la mia
situazione. L'ho capito chiaramente la prima volta che mi son sentito
dire: « senti, dei preti nell'inferno
può darsi che ce ne siano, ma delle persone che hanno amato Dio puoi
stare sicuro di no ». Lo sapevo che una cosa è
lo stato di perfezione, un'altra la perfezione con cui si vive il proprio
stato. Il fatto è che allora quella frase non restò come un bello
slogan nella mia testa, ma cambiò qualcosa dentro di me. Ho visto
la mia vita come un enorme armadio, con tanti cassetti: c'era il cassetto dell'apostolato, quello dei problemi sociali che
avevo vissuto da vicino data la mia estrazione dalle classi più umili,
in un altro cassetto tenevo il problema della mia realizzazione
personale, e poi non mancava nemmeno quello dell'entusiasmo e della
donazione generosa. Logicamente, c'era anche Dio. Può anche darsi che fosse il cassetto centrale, quello più grande e
più importante. Ma era un cassetto tra gli altri. Quello che ora capivo
invece, era che Dio doveva diventare tutto: il tutto della mia vita
e, in Lui, ordinatamente, tutto il resto.
Una delle strade per cui
ho cercato Dio è stata quella dello
studio. Per un po' di anni attraverso la filosofia. I problemi sono cominciati quando studiavo teodicea. Alcune
di quelle prove sull'esistenza di Dio non mi convincevano affatto. Altre mi
sembravano logiche, giuste. Non avevo niente da ridire, eppure non
m'interessavano. Mi lasciavano vuoto e
indifferente.
All'inizio non mi sono preoccupato. « Non si può capire tutto al primo colpo
», mi dicevo. Sapevo che sia nella realtà
come nella nostra mente esistono delle risorse inaudite assieme a una
complessità paurosa di problemi.
Mi son buttato a leggere avidamente i
libri più interessanti ed attuali che allora
trattavano l'argomento. E' stata la prima delusione. I libri mi
aumentavano i problemi, o al più mi davano delle idee interessanti;
un rapporto col Dio vivo, no. La seconda illusione fu quella di sentire
l'esperienza di Dio di quelli che avevo attorno. Ne ho sentite tante.
Inutilmente. Erano valide per loro che le avevano vissute. A me davano un
po' di luce, ma se l'esperienza non la facevo io, poco mi servivano quelle
degli altri.
Il fatto è
che pian piano toccavo fondo. Ho smesso di comprare libri che parlassero di cristianesimo; ho capito che m'indirizzavo ad
abbandonare la fede. Era chiaro che se Dio scompariva dalla mia vita, le cose
mi si sarebbero complicate. Per lo meno sapevo che avrei perso quella
felicità e quella pienezza di vita che in qualche modo avevo
cominciato a trovare nel cristianesimo. Tutta la mia vita — quella vita
che volevo non soltanto vivere, ma sapere perché la vivevo —
perdeva buona parte del suo senso.
E tuttavia non potevo fermarmi. Non riuscivo
a fabbricarmi un Dio alienante, soltanto perché mi rendeva più facile la vita
o mi risolveva dei problemi.
A questo punto qualcuno ha saputo
ascoltarmi per quattro ore senza aprir bocca. Alla fine mi dice una sola frase:
« Cristo non è venuto fra
noi per portare un sistema di idee, ma una vita. Se vuoi
capire che il cristianesimo
è vero non ti basta pensarlo, devi
metterti a viverlo fino in fondo... ».
Il ragionamento filava dritto. Dopotutto
si trattava di un « leitmotiv »
di tutto il N. Testamento: « chi fa la verità viene alla luce
», « a chi mi ama mi manifesterò », « chi non
ama non sa nemmeno come bisogna conoscere», e cosi via.
Dio era troppo importante. C'era una sola
cosa da fare: rischiare. Ho piantato tutto per vivere un periodo con una
comunità che il cristianesimo cercava di
viverlo sul serio. Dall'Argentina son finito prima tra le colline toscane,
poi in quelle romane. Erano uomini normali, con limiti ed anche sbagli. Ma
l'amore era più forte di tutto. Un amore distillato dal dolore. E' stato
un tempo duro, intenso, bello.
Lì
Dio non soltanto si studiava, ma la sua presenza si avvertiva, travolgente,
nella vita della comunità. Almeno per i suoi effetti in noi ed attorno a
noi.
Se la fede « non è un grido », non è nemmeno uno schedario
con le risposte belle e pronte per ogni problema. Non per niente i mistici
parlano di « oscura luminosità ». Voglio dire che quella
esperienza, che continuo fino ad oggi, non ha tolto il rischio dalla mia vita.
Non c'è mai la sicurezza assoluta; ogni esperienza, ogni realtà,
possono essere ambigue e relative. Niente nella vita mi permette di
adagiarmi, di installarmi comodamente. Niente, quindi, può esimermi
dall'amare. E' proprio vero che quando si
ama si vede, e quando non si ama, la luce è impossibile.
oggi continuo a pensare
di dover diventare prete. Ma è,
in certo senso, secondario. La cosa importante è che la vita mi si
è trasformata in un'avventura divina. Grazie soprattutto a
questa esperienza: che nelle parole della Scrittura ho trovato più
vita, più forza, più verità, che in nessun'altra
parola. Non soltanto da un punto di vista soprannaturale, ma anche umano. Mi
è successo proprio il contrario che con le altre realtà che ho
trovato nella vita. Queste, quanto più le uso meno mi dicono, pian
piano mi abituo, mi si scolorano tra le mani. Sia che si tratti di un paesaggio
meraviglioso, di un cibo che mi piace, di qualunque bellezza che mi attrae, di
un problema intellettuale che appena risolto si
« sgonfia » e mi crea il bisogno di altri problemi e nuove
soluzioni... Quelle, invece, più le vivo e più mi
sorprendono per la ricchezza che contengono. Sono come una miniera
inesauribile. Quando incominciavo a viverle non potevo immaginare
cosa mi attendeva andando avanti. Che potessero schiudermi degli orizzonti
tali, sempre nuovi e sempre più ampi, sia per l'intelligenza che
per ogni aspetto della vita. Non è strano, mi si dirà, dal
momento che quelle Parole coincidono con la Verità. Sì. Una Verità, però, che « è
vita ».
Enrique Cambón