Tour del Belgio in cinque giorni

 

Venerdì 2 marzo

E' in corso un raduno sacerdotale al centro Mariapoli. Fernand, un sacerdote belga, mi avvicina e sen­za tanti fronzoli mi propone di pas­sare un paio di giorni in Belgio. Si tratterebbe di fare alcuni incontri con vari gruppi di studenti di teolo­gia, desiderosi di sapere qualcosa di più preciso sulla nostra esperienza. Dieci minuti dopo la cosa è decisa: la domenica successiva partirò per Bruxelles.

 

Domenica, 11 marzo

Aeroporto di Fiumicino. Sto aspet­tando che l'altoparlante chiami i pas­seggeri per l'imbarco.

Dodici ore fa abbiamo terminato il congresso Gens: cinque giorni ricchi di luce e di grazia che ieri hanno avuto il loro culmine in una giornata stupenda a Loppiano.

Mi sento portato da questa cari­ca e allo stesso tempo so che non mi ci posso appoggiare, dal momento che sta per incominciare una tappa nuova e sconosciuta. Quando parto, mi sento tranquillo, sicuro dell'unità di chi lascio alle spalle e di chi mi aspetta là.

Atterriamo a Bruxelles e, appena entrato nella hall dell'aeroporto, ve­do spuntare dalla folla la faccia di Fernand che è venuto a prendermi. Già da lontano comincia a salutar­mi, e sento subito di essere arrivato a casa mia. La stessa cosa quando, mezz'ora dopo, arriviamo alla casa di Fernand e di Lode. Vi si perce­pisce quel clima inconfondibile di famiglia, di unità: ed è questa la base di tutta la loro attività pasto­rale. Loro due, assieme a un terzo sacerdote che attualmente sta fuori, formano un'équipe alla quale è affi­data la pastorale fiamminga di due quartieri alla periferia di Bruxelles.

Il Belgio è bilingue, e in modo particolare lo è la sua capitale. Di per sé io sono abituato a un feno­meno del genere, perché sono Sviz­zero. Eppure questo fatto mi colpisce con un'intensità finora mai speri­mentata, quando, nel tardo pome­riggio, vado alla messa. E' una mes­sa in francese. Prendo in mano il libro dei canti e vedo che è per metà in francese, per metà in fiammingo. Anche i manifesti e gli avvisi della parrocchia, all'uscita della chiesa, so­no in francese a sinistra, in fiam­mingo a destra. Mi sembra di intui­re il dinamismo di questo fenomeno non solo per il campo politico e so­ciale ma anche per l'ambito eccle­siale: due lingue, due maniere di pensare, due mentalità, che possono diventare causa di divisione e di contrasto, ma che, vissute e integrate in una comunione d'amore, possono trasformarsi in una ricchezza enorme.

 

Lunedì, 12 marzo

E' il giorno del raduno dei sacer­doti che, come Nand e Lode, vivono la spiritualità del Movimento.

E' un incontro semplice e molto concreto. Ci si capisce senza tante parole. Durante il pranzo mi fanno raccontare le ultime notizie di Ro­ma, soprattutto del nostro congres­so. E' un aggiornamento che in que­sti giorni dovrò fare ancora parec­chie volte. Sento però che non è un informare teorico ed astratto, ma un comunicare una realtà che continua ad essere viva e presente.

Nel pomeriggio i ruoli si inver­tono. Un padre gesuita viene a ve­derci e ci racconta del suo lavoro che svolge tra i religiosi e le reli­giose in crisi. Per il clima d'aper­tura e di ascolto che trova egli rie­sce a esprimersi in maniera molto intima e profonda. Cosi mi fa sen­tire più mio un pezzo di Chiesa che finora, malgrado le notizie che si sentono da tante parti e che si leg­gono, sui giornali, conoscevo piutto­sto superficialmente.

 

Martedì, 13 marzo

Ci troviamo presso Anversa, in una casa di amici, che da fattoria è stata trasformata in casetta da week-end. Ci siamo presi tutti e tre una giornata di riposo e ne approfittia­mo per visitare la città di Anversa, facendo addirittura un giro in barca nell'immenso porto. Sento che ve­dere tutte queste cose mi distende e mi riposa e, allo stesso tempo, mi aiuta a farmi più uno con questo paese, con la sua popolazione e la sua mentalità.

Nel pomeriggio andiamo nel semi­nario diocesano di Anversa. Un com­plesso moderno, dove non c'è un unico grande edificio, ma una decina di piccole case, dove si vive in gruppo. Si punta molto infatti sulla vita di équipe, come ci spiega Jan, il seminarista con il quale ci trovia­mo. L'incontro con lui mi sembra tanto prezioso, anche perché mi fa conoscere una struttura nuova, che potrebbe offrire tante possibilità per una vita comunitaria più intensa, nell'ambito della formazione sacer­dotale. Ma Jan, con molta sincerità, ci parla anche delle difficoltà che loro incontrano. A parte il fatto che sono piuttosto pochi (8 in teologia e 13 in filosofia), risulta chiaro che la struttura non basta da sola a creare comunione. E mi sembra che l'esperienza di vita comunitaria vis­suta dai Gens potrebbe offrire un contenuto valido proprio per questa struttura. Lo stesso per il problema del « dopo » : qui l'esperienza del movimento sacerdotale potrebbe ve­ramente colmare quel vuoto e quel­l'interrogativo che si presenta a Jan e ai suoi compagni nella prospettiva di un futuro impegno sacerdotale e pastorale, prevalentemente individua­lista, e non corrispondente alla for­mazione in équipe, offerta dal semi­nario. -

La stessa sera Nand e io siamo nel seminario di St. Truiden, nella parte orientale del Belgio. E' un se­minario che già esteriormente si pre­senta completamente diverso, perché ricavato da un convento france­scano; uno stile e un clima che mi sembrano piutttosto tradizionali.

Ci accoglie il rettore della sezione filosofica, con una dozzina di alun­ni, di cui la maggioranza già stu­denti di teologia. Ci chiedono tante cose. Dobbiamo raccontare la storia del movimento dei focolari, poi an­che le nostre esperienze personali, nei seminari e nella pastorale. Vo­gliono sapere come viviamo il Van­gelo, e quindi parliamo della parola di vita e dell'ultimo raduno Gens.

C'è una unità tanto forte tra Nand e me, ed è questa realtà che colpisce, più che le nostre parole. « Una testimonianza di vita cristia­na semplice ma profonda », commen­ta il rettore nel salutarci. Al ritorno una grande gratitudine nell'anima per il dono che Dio ci ha fatto con questa esperienza di « Vangelo tout­court ».

 

Giovedì, 15 marzo

Andiamo al seminario di Brugge, dove un gruppo di seminaristi ci aspetta per conoscere di più la no­stra esperienza. Questa volta ci ri­troviamo in una ex-abbazia benedet­tina: molto bella ma un po' troppo fredda e monumentale per un semi­nario — questo per lo meno è quan­to sento nell'entrarvi.

E' un bel gruppo che ci accoglie, e anche qui, almeno per la prima ora, c'è con noi il rettore. Le doman­de che ci fanno sono più o meno le stesse di ieri a St. Truiden. E an­cora una volta Nand ed io non ab­biamo da offrire che le nostre espe­rienze apparentemente cosi piccole e modeste. Ma sentiamo che proprio queste sono il dono più prezioso che possiamo dare a loro, perché frutto di un cristianesimo che vogliono vi­vere. Loro stessi ce lo confermano: il seminario rischia di prepararli più o meno bene a fare il prete, ma di aiutarli poco o niente a diventare cristiani.

Quest'affermazione potrà sembra­re paradossale, ma credo denunci una realtà che veramente esiste e che è forse uno dei motivi principali nella crisi attuale dei seminari.

Vedo comunque che quei semina­risti avvertono molto forte questo disagio, e costato in loro una grande sete di comunione, di spiritualità, di cristianesimo autentico e concreto.

Quando partiamo ci lasciamo con l'impegno di portare avanti, ognuno al suo posto, questa rivoluzione, e ci scambiamo anche gli indirizzi per restare in contatto.

 

Venerdì, 16 marzo

E' il giorno della partenza. Vado a pranzare nel focolare di Bruxelles, per donare un po' quello che sono stati per me questi cinque giorni. Ed anche li mi colpisce quella sensazio­ne ormai familiare e allo stesso tem­po sempre nuova di trovarmi a casa, in famiglia, sin dal primo istante, con gente che prima non conoscevo, ma che condivide il mio stesso ideale.

« Così sarà stato tra i primi cri­stiani », penso quando me ne vado. E la stessa idea mi passa per la testa quando saluto Nand e Lode all'ae­roporto.

Sento infatti di aver vissuto con loro dei giorni di vera fratellanza e di « aggiornamento » esistenziale, e sono sicuro che di tutto questo, dopo un po', sparirà ciò che è solo un bel ricordo, ma rimarrà quella comu­nione che abbiamo realizzata e che continuerà a crescere nella misura in cui ognuno di noi la vive con chi Dio ci mette accanto adesso e in ogni momento.

Felix Heinzer