bagagli
che ingombrano
E anch'io giunsi alla scuola sacerdotale
di Grottaferrata.
Tenevo abbastanza al fatto di conoscere il Movimento
da quasi due anni e mezzo e di aver partecipato sempre, durante tutto
questo periodo, ai raduni che i sacerdoti della nostra diocesi che vivono
questa spiritualità tenevano ogni
settimana. Inoltre ero stato tre volte agli incontri per sacerdoti al
Centro Mariapoli di Rocca di Papa, due volte alla Mariapoli di Schwyz e tre volte a incontri per sacerdoti svizzeri, ed a
quello di Ausserberg nel Vallese;
in modo particolare, credevo di aver capito il mistero di Gesù
Abbandonato.
Era stato proprio durante quell'incontro
che mi era stata fatta la proposta di andare alla scuola sacerdotale di
Grottaferrata. Ho dovuto superare tanti ostacoli, ma finalmente ci sono
arrivato. L'ho cominciata con la coscienza di avere alle spalle niente
meno che trent'anni di attività pastorale e di aver fatto anche qualcosa per il
regno di Dio. Mi sentivo un prete a posto, solido, tanto da far mio il motto:
« il mio Dio è una rocca-forte ». Essendomi formato in un
ambiente « clericale », abituato a non mollare su certi modi di
fare che credevo assoluti, mi ero di fatto bloccato nell'atteggiamento del
« non avvicinarti troppo, fratello, e non toccare il mio intimo ».
Ero perfino orgoglioso della mia chiusura e fermezza. Insomma: sono
arrivato alla scuola con la convinzione di essere una persona da rispettare.
Se dovessi scrivere tutto quello che mi è successo lì, ci vorrebbe un libro intero.
Certo è che è stato
un periodo pieno di
luce, di grazie, di vita. Dirò solo i titoli
essenziali. Arrivai a gennaio, quando era iniziata la seconda parte della
scuola. Tutti gli altri avevano già alle spalle
tre mesi di vita intensa, e avvertii subito che tra loro c'era un
clima tanto soprannaturale. Preso dentro da questo spirito di fratellanza
e di amore scambievole mi sentii subito a casa. Ero stracontento e mi
credevo capace di tenere il passo con gli altri. Ma pian piano mi resi conto
che Dio mi metteva in questione, perché mi faceva capire chi ero io e
chi era Lui.
Così per abituarmi ad uscire da me stesso e a
liberarmi dagli attaccamenti falsi mi ha fatto fare una esperienza
di dolore, un dolore forte. C'è da aggiungere che non riuscivo
a parlarne con nessuno, anzi mi sono chiuso sempre di più in me stesso.
Cominciai a chiedermi quali potevano
essere i motivi di questa crisi e finii col dare
la colpa agli altri. Mi dicevo che si chiedeva troppo a chi faceva la
scuola, che non si teneva conto delle leggi psicologiche, che il concetto
di spiritualità che ci veniva proposto era sbagliato...
Ma non cambiò niente, e mi sembrava che la mia situazione non avesse vie d'uscita. E' stato il responsabile del
nostro gruppo, che ha ben vent'anni meno di me, che, a suo modo, mi ha aiutato
a tirarmi fuori. Mi ha fatto capire chiaramente
che toccava a me fare il primo passo. In quel momento avvertivo chiarissimo
l'appello di Dio ad uscire da me stesso e ad affidare tutto alla comunione tra
noi. Quando riuscii a farlo, vidi crollare tutto un sistema di convinzioni,
e fui capace di confessare al mio gruppo che avevo capito che alla radice di
tutto stava la mia incoerenza, il mio orgoglio, l'incapacità di
amare con un amore senza interesse.
Dover ammettere che nella mia vita
sacerdotale molte cose non avevano avuto Dio come fine unico fu molto duro, però fece crollare un castello di carta, un certo
atteggiamento « clericale », cioè, che era diventato
quasi la mia seconda natura.
Ma fu proprio questo aprirmi agli altri,
nella certezza che Gesù era presente in
mezzo a noi, che mi fece sperimentare la pienezza, la luce, la gioia, la
chiarezza, e fu così che feci l'esperienza del legame profondo tra
dolore e gioia, tra morte e risurrezione. Penetrai di più nel mistero di
Gesù abbandonato. Ho toccato con mano che Dio attraverso la vita
della scuola mi vuole aiutare a penetrare sempre più profondamente
nel suo mistero. E questo non attraverso la riflessione individuale,
bensì attraverso l'unità vissuta con gli altri.
Quest'unità
soprannaturale è una forza veramente divina, una prova tangibile
dell'operare di Gesù in mezzo a noi. In questa vita credo vi sia una
possibilità di soluzione della crisi sacerdotale di oggi. Viene superato anche il conflitto tra le generazioni,
perché qui ho visto sacerdoti che hanno superato i cinquant’anni
e seminaristi di venti vivere in una comunione nella quale ognuno vede
nell'altro un fratello in cui amare Gesù.
Mi sembra, per concludere, che la scuola
sacerdotale sia un test di autenticità
e, proprio per questo, di grande speranza perché ci aiuta a scoprire il
nostro legame con il Cristo, nel suo abbandono e nella sua risurrezione.
Karl Mattmann